La versione di Bramante

Vado a trovare i Ciolfi che vendemmiano, al podere SanLorenzo- Da qualche anno ci faccio volentieri un’incursione, ritrovando il nonno di Luciano – Bramante – e il suo senso del lavoro (novantanove anni quest’anno). Chi pensa, come me (e come recita la Costituzione all’articolo 1) che la Repubblica è fondata sul lavoro, dovrebbe venire a vedere Bramante, al tempo della vendemmia.

Perché Bramante l’ho conosciuto quarant’anni fa, quando venivo a comprare la legna per le stufe di Fonterenza, nelle mie incursioni in Toscana, da Milano, e poi l’ho ritrovato come nonno di un vignaiolo che apprezzo molto e che ce la mette tutta – lui e la sua famiglia – con una tenacia e un ottimismo che mettono di buonumore.

Quest’anno Bramante non ce la fa a muoversi tra i filari con secchi e cassette diventati troppo pesanti per lui. Allora si dà da fare attorno alla diraspatrice, con un forcone che a me pare francamente anche più pesante. Ma lui si sentirebbe umiliato a stare senza far niente. “La vita è bella – mi fa – ma a questa età ci vedo meno e ci sento meno; non è bello capire che si sta facendo un ragionamento e non sentire bene”. E’ sereno “perché non mi manca niente e in casa mi rispettano”; ma la vita da puro spettatore non gli andrebbe a genio. Ognuno deve darsi da fare, contribuire ad andare avanti. Questo è il suo sguardo, il suo pensiero èDSCN1894 un’edizione speciale del senso della vita

Scene da un Matrimonio a Montalcino

DSCN1159DSCN1171DSCN1201Solo per dire che un Matrimonio è un Matrimonio è un Matrimonio, in qualsiasi luogo del mondo venga celebrato. Ma qui siamo a Montalcino, luogo di paesaggi rinomati in tutto il mondo, c’era il Sindaco in persona a celebrarlo (senza togliere alcunché a Assessori e Funzionari!), c’era una signora molto efficiente che ha preparato i documenti in più indispensabili per l’occasione, c’era un traduttore ufficiale e accreditato, anzi una traduttrice, c’erano i testimoni (due tipi molto speciali), c’era la giovane figlia degli sposi e la vecchia madre della sposa, c’era il bouquet di dalie e rose (preparato da Alba con i fiori del suo giardino, diciotto minuti prima dell’ora dell’evento), c’era il riso, c’erano nuvole nel cielo che hanno lasciato cadere alcune gocce di pioggia (sposa bagnata …), … infine c’era lo champagne (e patatine).

Perché un Matrimonio è un Matrimonio è un Matrimonio.  Anche a Montalcino, luogo rinomato in tutto il mondo per i bellissimi paesaggi.

FURORE

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Rileggo spesso i libri già letti; la seconda lettura è come quando torni a cibarti con una specialità che ti aveva appagato, che ti ha lasciato un ricordo attraente – proprio come succede quando vai in vacanza nel luogo perfetto o ceni nel ristorante dove sai che ritornerai, perché niente ti ha deluso, anzi ti è rimasto un ricordo tale che hai sempre voglia di ritornarci.
Lo stesso accade con i libri; ma se c’è un libro che non rileggerei volentieri è proprio “Furore”, per la sua carica di disperazione, perché ti fa toccare con mano com’è la vita senza diritti, che cosa succede quando la terra finisce nelle grinfie dei poteri distanti dalla gente, quando i conflitti sociali erano spersonalizzati come il cuore di un tornado che tutto spazza via.
Eppure bisognerà che lo rilegga, per rinfrescarmi la memoria e trovare l’energia e la lucidità per controbattere – insieme a tutti quelli che lo stanno facendo – l’allucinante progetto che minaccia i comuni – popolazione, attività agricole, turismo, paesaggio, economia – del comprensorio Amiata – Val d’Orcia – Maremma.

Brunello on the road

La giornata è frizzante con pochi gradi in meno, rispetto alla solita temperatura tiepida di questo pseudo-inverno; un bel po’ di gente sta concludendo l’ultima giornata di Benvenuto Brunello, dove sono stati consumati tutti i riti dovuti. Un giro di boa annuale per rassicurare gli animi, un vero e proprio esame di maturità che alcuni svolgono da privatisti. Per tutti una data da segnare sul calendario.

Leggo un articolo sul Corriere della Sera in cui si danno un po’ di numeri sull’andamento dell’occupazione in agricoltura. Ne hanno parlato in occasione del 32° convegno internazionale sull’agricoltura biodinamica che per la prima volta vedo recensito su cinque colonne in un quotidiano così conservatore e ligio alle ortodossie. Avrei molti commenti, ma preferisco uscire per una camminata e mettere alla prova il mio titubante ginocchio.

Camminare vuol dire apprezzare il mondo circostante; mi succede persino a Milano o in altre città, mi capita nelle periferie industriali (ormai dismesse) alla Mario Sironi. A maggior ragione una camminata è quanto di più godibile nella campagna molto pettinata e ammansita che mi circonda … “Coltivare in modo etico per creare lavoro e qualità” è all’incirca il titolo del Corriere e penso che se lo hanno scritto è perché c’è già una filiera di interessi pronti a trarre profitto e vantaggi da questo modo nuovo che nuovo non è. Qualche tempo fa parlando con il sindaco di questo paese gli dicevo che sarebbe un colpo grosso fare di Montalcino un’enclave del “bio”; non è un’idea (solo) mia, sono ben più di dieci anni che ne parlano i produttori di Brunello che hanno scelto la via della naturalità, ma certo che se tutta questa zona fosse ‘organic’ sarebbe la prima al mondo a compiere una scelta così netta e così piena di futuro. Il premio sarebbe un balzo della reputazione e del fatturato complessivo, per non parlare dell’attrazione che una scelta così radicale eserciterebbe sul turismo di alta qualità (e sugli investimenti).

Un po’ immalinconita dalla consapevolezza che qui non basterebbe il mitico “nudge” per mandare in porto una scelta del genere, perché mancano proprio i presupposti per  un’evoluzione di quella portata (che farebbe epoca e incoronerebbe Montalcino e il suo vino in modo definitivo e clamoroso), mi concentro sulla luce che illumina le cose e le creature, rendendole uniche ed effimere allo stesso tempo.DSCN8916DSCN8918DSCN8919DSCN8922DSCN8925DSCN8927

Una sera con Furore

A cosa serve leggere libri – in particolare i romanzi -? Mi rispondevo mentalmente da sola lo scorso giovedì sera, mentre mi tornava in mente la trama di “Furore”, (ovvero The grapes of Wrath, tradotto impropriamente come ‘grappoli di odio’) …Mi rispondevo mentalmente, ricordando la situazione da cui prende le mosse il romanzo di Steinbeck e accostandola all’assemblea gremita – ma tranquilla (tranquilla, ma non supina) – a cui stavo partecipando, e riflettevo sugli eterogenei interessi che riguardavano sia i partecipanti presenti, sia i molti soggetti coinvolti assenti. Che cosa c’entra la lettura di libri con le centrali geotemiche che la regione prevede di installare tra Amiata e Montalcino?

E a che serve leggere i romanzi? A capire meglio e a vivere come proprie le esperienze degli altri; o a riconoscere le situazioni e le loro dinamiche, anche quando sono meno palesi, forse . Chi ha l’abitudine all’informazione non sempre utilizza quella che gli viene dai romanzi che ha letto. Questi solo apparentemente ci rappresentano una finzione; perché chi scrive romanzi ci mette sempre un pezzetto della propria storia o di quelle che ha visto accadergli intorno. Perché le storie degli uomini si inseguono, sospinte da pulsioni identiche, e a saper distinguere ci sono anche i buoni e i cattivi. L’altra sera proprio Furore mi tornava alla memoria, una lettura giovanile che mi aveva turbato nel profondo; mi aveva angosciata l’idea di quelle famiglie spossessate, costrette a lasciare una vita e andare via senza speranza e senza futuro. 

Di certo il contesto in cui mi trovavo non aveva le tinte drammatiche di quel romanzo (che peraltro non è pura fantasia, bensì una storia che ci riporta ai tempi della grande crisi negli Stati Uniti); ma continuava a farmelo tornare in mente e dati i tempi che stiamo attraversando mi sono chiesta se qualcosa lì sospeso a mezz’aria, o dietro agli occhi attenti di quelli che ascoltavano senza un mormorio o un gesto di polemica, mi aveva suscitato il ricordo di quel libro così lontano.

Non rileggerò subito Furore, ma lo cerco e me lo tengo a portata di mano. E’ una lettura scomoda e pesante, fatta di questi tempi, ma è persino un libro con un lieto fine, anche se non per tutti i protagonisti della storia. E sono convinta che rileggere quel libro – corposo e apparentemente inattuale – aumenterà la mia capacità di capire.

Notturno

 

Immagino che succeda a tutti: quando si guida di sera, dopo un incontro, con le parole dette ancora nella testa, con immagini e impressioni negli occhi, la mente è come un animale al pascolo, che vaga qua e là …

Così, l’altra sera – ma erano solo le cinque – dopo aver fatto visita a un amico, nella sua cantina, sono uscita e il sole era tramontato lasciando dietro di sé ancora un bagliore, un riflesso di ciò che era stato il giorno, qualcosa che bastava appena a distinguere il profilo delle colline dal cielo appena un po’ più chiaro. Sarà stata la luce particolare (o il buio, chissà) ma mi è tornato in mente Montalcino com’era, prima del tempo del vino, quando l’avevo conosciuta, un pomeriggio di luglio e poi la sera e la notte seguente.

Con questi pensieri, mi trovavo a guidare vicino a un podere che si chiama Scopeto, dove un artista visionario quarant’anni fa aveva costruito un labirinto – se ricordo bene – pensando a Don Quijote. Da quel ricordo nitido di contorni e sfocato di colori (pastello) mi si sono srotolati i ricordi di anni dimenticati; ricordi in cui si intrecciano le vite dei non pochi che hanno incontrato questi luoghi in un tempo così diverso da questi ultimi vent’anni in cui il nome di Montalcino automaticamente richiama il Brunello e basta, e si dimentica di quello che c’era prima. 

Il luogo era un concentrato di sentori e profumi; ricordo che si arrivava qui e per un giorno si era come rincitrulliti dall’aria, dagli odori delle erbe e della terra, e dai pensieri. Montalcino era come una sorgente di energia; era come scoprire un mondo intero. DSCN8371

Purtroppo

‘Grazie carabiniere gentile e coltivato che hai usato l’avverbio “purtroppo“, non dovuto, ma diventato improvvisamente indispensabile nella nostra conversazione mattutina’.

E’ andata così; ore sette circa, vado a camminare – accidenti all’ora legale, più realista del re – è ancora quasi buio, l’aria è tiepida, la giornata si annuncia perfetta per la vendemmia – per chiuderla, oppure per darci dentro approfittando del sole caldo che asciuga la terra imbevuta d’acqua. Salgo, di buona lena, verso una delle vigne che frequento per camminare sola e in silenzio; è un luogo, questo, dove due anni fa ho visto passeggiare due deliziosi conigli (uno quasi domestico, perché buttato dall’auto dai padroni che andavano in vacanza) finiti nel mirino della volpe che avevo visto in agguato spiare dal bosco limitrofo. In questa vigna ho anche visto pascolare un plotone di caprioli habitués; per un lungo periodo all’alba vi stazionavano colombi in visita da un vicino podere; stamattina nel semibuio sentivo pispolare, zirlare, quasi cinguettare …DSCN7464 Vicinissimo al mio orecchio frullio di ali spaventate, proseguo e continuo a sentire suoni e richiami, ahh richiami, ecco! Scopro dodici gabbiette con altrettanti tordi bottacci prigionieri e mi metto a brontolare ad alta voce … ma è consentito cacciare con i richiami vivi; ancora oggi in tempi non ancora di nuova fame, possiamo costringere un tordo bottaccio alla vile pratica del malinchismo? In altre parole, si può ancora oggi cacciare usando un tordo come richiamo contro i suoi fratelli pennuti? Ai miei berci, si materializza un vecchio, grande e cadente, si qualifica (con gentilezza) quale fiorentino e mi chiede – senza vergogna – se di solito il passo avviene in quel punto. Altrettanto spudoratamente gli spiego (con aria amichevole) che il passo, no, avviene di là dal bosco, praticamente per starci a tiro bisogna camminare sul bordo della provinciale. I poveracci in gabbia zirlano e pispolano, spaventatelli, saltando di qua e di là, contro le sbarre dell’angusta prigione. Penso di saltare addosso al vecchio e dargli una bella stretta a due mani (intorno al collo scarno): so però che non è così semplice strangolare un uomo … mi riprendo in tempo e gli chiedo se sa di trovarsi in terra altamente inospitale – Grosseto, qui, vero?, mi fa -. Gli sottolineo che siamo sul confine, ma in terra pericolosa e senese, gli ringhio con un mezzo sorriso. Poi lo lascio alla sua solitaria e squallida cacciata con un “inboccallupoecrepilcacciatorechelasciaibossolinellavigna”. Estrae dal taschino un bossolo esausto e me lo sventola sotto il naso. Me ne vado, pensando che domenica si celebrerà la Sagra del Tordo; mi auguro che sia più che altro un rito simbolico – una festa – accompagnata da un’adeguata mangiatina vegana e, ovviamente, un po’ di vino.

Il Carabiniere subentra quando decido di informarmi sulla reale liceità di richiami vivi e pispolanti. A domanda, gentilmente, mi chiede di pazientare, perché sospetta che sì, siano perfettamente legali, e dopo averlo verificato, torna al telefono, conferma “sono permessi” e aggiunge “purtroppo“.

Mai mi è accaduto di provare affinità e consonanze tali, con un Carabiniere (e raramente i toni mi sono suonati così calati in un clima di calma consapevolezza. Basta! Mi fermo qui a scanso di eccessi.

La Danza immobile della Finanza

I ricchi, quelli veri, possono essere molto simpatici – soprattutto quando lo sono in misura tale da far parte di un mondo totalmente alieno, in cui tutto avviene diversamente e molto facilmente -, invece il giornalismo prono nei loro confronti è molto meno attraente. Questo mi è venuto in mente, l’altro ieri, leggendo il Corrierone e rammaricandomi sentitamente per un articolo che sta al vino come i racconti di certi ‘reportage’ di guerra scritti in albergo stanno al sangue che si versa nelle battaglie dove si muore.

Così, dopo aver incontrato per la prima volta Piero Palmucci, nell’ormai lontano 1995 (esattamente sabato 24 giugno 1995), agli inizi del suo faticoso e appassionato (e appassionante) lavoro, e dopo averlo reincontrato e frequentato negli anni, fino a diventarne in un certo senso amica, sono rimasta esterrefatta nel “ritrovarlo” (insieme all’uomo che con il suo “senso del Sangiovese”- Giulio Gambelli – l’aveva indirizzato e sostenuto e fatto crescere) raccontato implicitamente come uno che dato “il microclima, il terreno, la posizione, …” ben indovinati, si era ‘ritrovato’ a produrre un vino formidabile…

E’ proprio questo giornalismo che riduce il vino famoso a una perla rara che uno molto facoltoso che fa tutt’altro può semplicemente comprare, perché con i soldi si può fare. E aggiungo per chiarezza: va benissimo che un ricco alieno acquisti questi beni: spesso poi le cose procedono come si deve, perché spesso i ricchi sono anche molto ambiziosi e perfezionisti. Tuttavia il vino non è – da quello che osservo, conosco e so, da qualche decennio – solo una sala d’attesa. E’ lavoro – tanto lavoro – è gente capace che scruta la terra e la capisce, è rischio (quando una grandinata, una stagione storta, un incidente di percorso mettono a repentaglio un’annata), è soprattutto talento e passione; ed è un peccato che chi si mette a raccontare Re Brunello (e non il Re dei vini, perché esistono anche altri reami), si incarti davanti a una montagna di soldi – fino a darne conto al lettore (parliamo di vino?) – anziché davanti alla complessa storia di Piero Palmucci, alle sue visioni e alle sue fatiche e al racconto della scontrosa passione di quell’uomo (Gambelli escluso in quanto c’entra solo con il suo personalissimo rapporto col fare vino di Piero).

E, naturalmente non c’è (ancora nei suoi vini) solo il Palmucci, ma penso ai tanti piccoli viticoltori, alle grandi famiglie che nel vino ci stanno da sempre, e penso anche ai grandi proprietari che sono mille miglia distanti dai primi, ma che della poetica del vino fanno altrettanto parte. E’ la conoscenza di questo variegato mondo che può migliorare la tipologia dei consumi del vino, e nel contempo, la comprensione di quel “lavoro”(!) e del nostro tessuto paesaggistico e perciò produttivo. Non il capitalismo che quel mondo se lo incastona nella corbeille dei successi mondani: e, ribadisco, senza alcuna pre-riserva nei confronti di quel capitalismo (quando ha fatto i soldi facendo). Il vino è importante per il nostro paese; la ricaduta mondana è una spolverata di belletto su un mondo vero, complesso, profondo quanto la terra.

E’ questo giornalismo di avant’ieri, così lontano dal lavoro e così incantato davanti alla ricchezza, che allontana la gente dal (vero) mondo del vino, un mondo importante che, in questo scorcio temporale così strano, con guerre sull’uscio di casa e con la finanza che governa gli umani e tra un po’ ci dirà anche a che ora si fa la pipi, ancora esiste, costituisce un principio di realtà, ed è – posso assicurare: io che di ricchi buoni e cattivi, banali e coltissimi, ne ho conosciuti un bel po’ e da molto vicino – più affascinante del denaro, addirittura irripetibile. Tant’è che chi il denaro ce l’ha, ne spende un po’ per comprarselo. Il mondo del vino è un mondo infinitamente più attraente e dinamico e battagliero e reale della sala d’attesa dorata descritta sul Corsera: si vende la terra, si vendono i muri, si acquistano vigneti e annate, si acquistano persino uomini di talento, ma non si compra la passione, né la fatica di fare, né la poetica del vino. Che sono un po’ le forche sotto cui passano tutti gli uomini (e ovviamente, le tantissime donne!) del mondo del vino, anche quelli che non vanno in prima persona a zappare la vigna. Ma questo la proprietà del Corriere della Sera non lo sa, intenta a seguire la danza immobile della finanza. lavoro finito

Salto de’ Tassi

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Per una volta i tassi non sono quelli con cui veniamo afflitti e ricattati quotidianamente dalla politica italiana ed europea ai suoi minimi. Per una volta questa è una buona notizia (GoodNews from Montalcino) e il salto è nella modernità; perché FranciBio è un assaggio di modernità, un frizzolo di diversità. E’ un qualcosa che rompe con le consuetudini, un po’ rigide e conformiste di questo luogo sopraffino che ancora (non è solo il mio parere) non si esprime al suo meglio, svelando tutte le sue sfaccettature. Bene questa è una ‘sfaccettatura’ che merita di essere registrata e sottolineata debitamente, e sarà fatto. “Salto de’ Tassi”, un po’ per gioco, un po’ perché bisognava dargli un titolo e Fabio Tassi ha fatto il salto giusto.

Da Franci Bio ci sono stata in un’occasione preziosa, venerdì scorso, con Francesco Leanza che presenta e parla dei suoi vini e del suo fare vino. Vent’anni fa, più o meno, Leanza è stato il primo a lavorare la terra, a fare una vigna, a produrre il suo Brunello, in modo naturale, con uno sguardo che partiva dalla passione per quel lavoro e per il Sangiovese, e – non certo da ultimo – per Montalcino. A Francesco Leanza devo gratitudine, perché la sua testimonianza, con le mani sporche di terra, ha incoraggiato molti a seguire il suo esempio. La forza del pensiero che ha messo in quello che faceva e fa, con talento e passione ha rotto schemi e concrezioni. Una persona e uno sguardo che non possono non piacere. Soprattutto dopo aver assaggiato i suoi vini! DSCN6933

Agostina e l’estate

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Un luogo come in Toscana, la bottega di Agostina, che qui diciamo “da Luciano”, e non sono nemmeno certa che gli faccia piacere se la chiamo ‘bottega’, perché magari questa parola gli suona riduttiva.

Ma non è di questo che volevo parlare, perché la cosa interessante – entrando qui – è che accanto ai prodotti consueti, che ti aspetti di trovare in un emporio di paese (e ci sono tutti), se sbirci un po’ di lato c’è Agostina che spignatta in cucina, e i profumi sono quelli che ti fanno venire l’appetito.

Sant’Angelo è uno strano paese, pieno di angoletti da scoprire e di cose da assaggiare. Spesso la bellezza è anche buona, anzi quasi sempre; oggi ho trovato le verdure ripiene: a ciascuno il suo ripieno, così ho scelto i peperoni e gli zucchini tondi (che non so mai se sono maschili o femminili), uno ripieno di ricotta e l’altro glurg! non mi ricordo più. In realtà queste verdure  – colori a parte – non sono molto fotogeniche, ma sono tutte così buone che anche la giornata è sembrata migliorare di colpo. E le ho fotografate ugualmente, le verdure ripiene, prima di pranzo, per non perdere di vista questo classico dell’estate. Come ai tempi di una volta, sembra di essere in Toscana..