‘Grazie carabiniere gentile e coltivato che hai usato l’avverbio “purtroppo“, non dovuto, ma diventato improvvisamente indispensabile nella nostra conversazione mattutina’.
E’ andata così; ore sette circa, vado a camminare – accidenti all’ora legale, più realista del re – è ancora quasi buio, l’aria è tiepida, la giornata si annuncia perfetta per la vendemmia – per chiuderla, oppure per darci dentro approfittando del sole caldo che asciuga la terra imbevuta d’acqua. Salgo, di buona lena, verso una delle vigne che frequento per camminare sola e in silenzio; è un luogo, questo, dove due anni fa ho visto passeggiare due deliziosi conigli (uno quasi domestico, perché buttato dall’auto dai padroni che andavano in vacanza) finiti nel mirino della volpe che avevo visto in agguato spiare dal bosco limitrofo. In questa vigna ho anche visto pascolare un plotone di caprioli habitués; per un lungo periodo all’alba vi stazionavano colombi in visita da un vicino podere; stamattina nel semibuio sentivo pispolare, zirlare, quasi cinguettare … Vicinissimo al mio orecchio frullio di ali spaventate, proseguo e continuo a sentire suoni e richiami, ahh richiami, ecco! Scopro dodici gabbiette con altrettanti tordi bottacci prigionieri e mi metto a brontolare ad alta voce … ma è consentito cacciare con i richiami vivi; ancora oggi in tempi non ancora di nuova fame, possiamo costringere un tordo bottaccio alla vile pratica del malinchismo? In altre parole, si può ancora oggi cacciare usando un tordo come richiamo contro i suoi fratelli pennuti? Ai miei berci, si materializza un vecchio, grande e cadente, si qualifica (con gentilezza) quale fiorentino e mi chiede – senza vergogna – se di solito il passo avviene in quel punto. Altrettanto spudoratamente gli spiego (con aria amichevole) che il passo, no, avviene di là dal bosco, praticamente per starci a tiro bisogna camminare sul bordo della provinciale. I poveracci in gabbia zirlano e pispolano, spaventatelli, saltando di qua e di là, contro le sbarre dell’angusta prigione. Penso di saltare addosso al vecchio e dargli una bella stretta a due mani (intorno al collo scarno): so però che non è così semplice strangolare un uomo … mi riprendo in tempo e gli chiedo se sa di trovarsi in terra altamente inospitale – Grosseto, qui, vero?, mi fa -. Gli sottolineo che siamo sul confine, ma in terra pericolosa e senese, gli ringhio con un mezzo sorriso. Poi lo lascio alla sua solitaria e squallida cacciata con un “inboccallupoecrepilcacciatorechelasciaibossolinellavigna”. Estrae dal taschino un bossolo esausto e me lo sventola sotto il naso. Me ne vado, pensando che domenica si celebrerà la Sagra del Tordo; mi auguro che sia più che altro un rito simbolico – una festa – accompagnata da un’adeguata mangiatina vegana e, ovviamente, un po’ di vino.
Il Carabiniere subentra quando decido di informarmi sulla reale liceità di richiami vivi e pispolanti. A domanda, gentilmente, mi chiede di pazientare, perché sospetta che sì, siano perfettamente legali, e dopo averlo verificato, torna al telefono, conferma “sono permessi” e aggiunge “purtroppo“.
Mai mi è accaduto di provare affinità e consonanze tali, con un Carabiniere (e raramente i toni mi sono suonati così calati in un clima di calma consapevolezza. Basta! Mi fermo qui a scanso di eccessi.