Se mai ho avuto la sindrome del nido vuoto – disturbo quasi impossibile per chi ha provato spesso un bisogno acuto di passare qualche momento in solitudine, come pausa tra incontri impegnativi o difficili – ora sto scoprendo la fisicità intensa di una rete del cui divenire non mi sono quasi accorta, tanto veloce e impalpabile è stata la sua costruzione, suggellata da nascite e nuove parentele interessanti e interessate a scambi di idee e di conoscenza … E il vino, inteso come comunità ricca di sfumature e di passione, aiuta, favorisce e alimenta l’interesse reciproco.
In pochi anni sono entrati nella mia vita nuovi paesi e nuove interessanti persone, trainati da due piccoli esseri consapevoli del loro potere. Il vecchio film – “sei gradi di separazione” – in cui si teorizza che con sei passaggi di ‘testimone’ ognuno di noi può entrare in relazione con chicchessia, è largamente superato da una realtà che lascia vagare la mia immaginazione in tre continenti e tra idiomi diversi, inclusi alcuni dialetti e un vernacolo insidioso.
Perché ne scrivo? Mi sono accorta del valore di una rete (conosco e so pesare quella costituita dalle conoscenze che si basano sulla propria reputazione) proprio attraversando questi tempi difficili, in cui, per paradosso, mi pare che venga un po’ meno lo spirito di solidarietà, che a me sembrerebbe invece indispensabile. E l’idea di una estesa rete di relazioni parentali, con gente che lavora e studia in una miriade di settori molto diversi tra di loro, che vive in luoghi agli antipodi, per distanza o per settori d’interesse, che parla e pensa in lingue così diverse tra loro, mi appare come un’abbagliante ricchezza.
Provengo da due famiglie numerose e complesse, ma sono cresciuta come figlia unica, perciò più sola e impreparata alla moltitudine di relazioni tra consuoceri, cognati, parenti acquisiti: forse proprio per questa disabitudine, mi interessano molto e le sento come un accrescimento della mia esistenza e non come un limite o un intralcio. Sono arrivata a pensarmi come parte di una tribù, come membro di un clan e mi scopro a canterellare una tiritera che arricchisco giorno dopo giorno di nuove rime baciate, il cui inizio fa: da-lin … da-lan … noi siamo un clan … e poi prosegue – ogni giorno una rima – andando così a disegnare idealmente un paesaggio di persone e personaggi che formano tutti insieme un mio mondo immaginario che si aggiunge a quello in carne e ossa. Man mano che conosco e riconosco un nuovo membro della tribù ci ricamo sopra un verso che descrive e amplia, a modo mio, il mio clan: così affettuoso, variegato e vivace.