Cronache dalla Campagna

il cielo accanto alla vigna

Come interpretare quello che leggo e ascolto, dopo i risultati elettorali…? Non è la prima volta che il modificarsi delle opinioni mi fa venire in mente la forma della “camme”, familiare soltanto a quelli che hanno frequentato i motori e l’albero a camme.

Vedo che, dopo il persistere della demonizzazione del ‘nuovo’ e dell’inconsueto, da parte di un giornalismo troppo vicino ai centri del potere (“altrimenti perdi il posto, bellezza!”), un giornalismo sordo e cieco a qualsiasi istanza da parte di chi non è ben dentro le stanze, protetto da una qualche sigla – vanno bene il sindacato, i partiti, associazioni di categoria: gli emblemi che rappresentano interessi ben codificati, anche se di minoranza non importa – le opinioni firmate faticosamente (e forzosamente, in molti casi) stanno virando, gli sguardi diventano possibilisti; e anche la tentazione dell'”inciucione mortale” è in agguato.

Questo dopo elezioni così inedito mi appare sempre più come una specie di sessantotto sui generis: luogo di istanze a cui “il sistema” è stato sordo e con cui ora deve venire a patti. Ma, dentro questa cosa, ci vedo dell’altro – oltre ai giovani senza futuro, alle speculazioni della Germania (e nobn solo), all’Europa che si comporta come la matrigna di Biancaneve, alla finanza assatanata -: c’è, dentro la cosa odierna un motore ancora più potente,  una specie di istinto primordiale, qualcosa che è più forte e immediato nelle creature giovani, ma che è sistito e resiste anche nei vecchi più allenati a guardare verso il futuro, anche quando è conto terzi.

Quando cesserà l’impasse tecnologico che mi ostacola nella redazione di queste righe, interrompendomi continuamente, vorrei scriverne meglio e più chiaramente; per ora mi limito a scrivere che (forse) finalmente ci si accorgerà che la terra, l’agricoltura, le risorse di cui abbiamo fatto man bassa fino a un minuto fa, dovranno essere presi in considerazione in modo diverso e più vero. Dovrà succedere, anche se questo sarà in profondo conflitto con gli interessi di tutta la politica che ho conosciuto fino a ieri. Una politica troppo intenta a fare affari, troppo dimentica delle idee che avevano motivato la nascita dei diversi (tra loro) partiti, che hanno scordato la loro diversità e le idee originali e che, a causa di questa dimenticanza, sono moribondi.

 

 

Grillo Parlante

Al tempo in cui un’inconsapevole felicità era ancora possibile, una sera d’inverno, arrivando da Milano nei luoghi in cui ora vivo (quasi) stabilmente, aprendo l’uscio al piano superiore del casale in cui correvo appena possibile,  sentii un flebile, ma chiarissimo, richiamo.
Anche se non avevo una grande dimestichezza con le cose di campagna, avevo letto molto, e in uno dei primi precoci libri che la mia brava mamma – calvinista e previdente – mi aveva regalato, c’era Pinocchio e c’era anche il mitico grillo della fiaba.
Il ricordo – del libro, della mamma, del dopoguerra di povertà che lei aveva saputo trasformare in una necessità di apprendere per sopravvivere – affiorò con immediatezza prendendomi un po’ in contropiede, insieme alle parole che la mamma non aveva mai usato per indurmi a guardare e leggere i libri che giravano per casa.

Per lei, leggere per imparare era naturale; ed era ovvio leggere di cose e idee diverse da noi e dal mondo in cui vivevamo la nostra vita quotidiana. Leggere e scambiare idee e notizie che possono smuovere i nostri pensieri e rinnovarci è il regalo che mi viene dagli anni bui – alla lettera! – del dopoguerra milanese, bui però vissuti con una mamma cosmopolita, ma severa, curiosa ma prudente, con un senso non comune per i colori, la musica e la cultura.

Mi veniva in mente il senso di mia madre per la cultura e per la terra – tutto quello che troppi politici ignoranti (mediamente) e avidi hanno sottratto ai cittadini e al Paese, per troppo tempo – seguendo i risultati delle elezioni, ieri sera.

E chi pensa che il problema non è culturale, contrappongo una semplice – davvero elementare – riflessione: che cosa, se non una grandissima ignoranza collettiva, può indurre milioni di persone a votare per qualcuno che – dopo aver proposto (con tutti i mezzi) modelli rozzi, violenti e di una pornografia incolta – fa traboccare il vaso in suo favore con una promessa terminale che sarebbe bastato aver letto una riga di giornale negli ultimi mesi, per sapere che era rivolta a una platea di idioti?

E quanti altri – a parte coloro che hanno avuto vantaggi da una classe politica corrotta e spompata, palesemente priva di ideali e pronta ai compromessi – hanno interesse a rivotare quegli stessi uomini (e qualche donna) nei cui occhi si legge agevolmente una storia di disinteresse per    , i bisogni e per i sogni (più che leciti, doverosi) di un’intero popolo che vive in un Paese meraviglioso, ma ignorante?

Brunello ritrovato a Sant’Angelo in Colle

Se una sera alla vigilia di Benvenuto Brunello, Franco Ziliani ti telefona a casa dicendoti di raggiungerlo alla trattoria del Pozzo di Sant’Angelo in Colle, per assaggiare tre vini “stratosferici”, ci sarà ben una ragione – mi sono detta, dopo aver risposto alla sua telefonata. -.
Perciò mi sono avventurata sulle fredde pietre del microscopico paese e ho percorso i trenta metri che mi separano dalla piazza, nella sera serena che contraddiceva il catastrofico meteo pre-elettorale.

– Così si è chiuso un cerchio – ho pensato dieci minuti più tardi, mentre Carlo Lisini mi versava nel bicchiere un po’ del Brunello 1975, prima ancora che lo mettessi a fuoco sul tavolo dove, tra bicchieri e piatti, due bottiglie che ormai appartengono alla storia (le annate ’75 e ’80) e una terza che baldamente la prosegue (2006, con grande passo), erano state aperte per Ziliani e Roberto Giuliani.

Ma nessuno dei tre poteva sapere che 1975, per me, voleva soprattutto dire ritrovare un tempo e dei luoghi. Un tempo e un mondo rintracciabili più che altro nel ricordo – le facce sono cambiate, i poderi sono cambiati, le vigne sono più consapevoli di sé stesse -. Nel ’75, quando avevo incontrato Montalcino, mica sapevo che cosa fosse il Brunello, né lo sapeva – nei termini odierni – la maggior parte delle persone e delle famiglie, che pure avevano vigneti.

Le Lisini le ho ritrovate nelle classiche belle etichette bodoniane, insieme alla loro preoccupazione per il paesaggio, messo a rischio da intrusioni eccessive, alla loro passione per la musica e per i viaggi, alla consapevolezza che gli imminenti successi avrebbero avuto un costo.

Tutto il resto l’ho ritrovato nei vini, di una fedeltà incredibile alla loro vigna e alla storia di  famiglia. Tutto il resto è un racconto complesso – enciclopedico, lo definivo iersera, non molto appropriatamente -, un ponte fra me oggi e l’intreccio di facce e alberi, di case e amori, di cibo e libri, e tante storie, che mi legano a questo luogo, anche (mi succede) con un po’ di resistenza. A volte nel bicchiere c’è qualcosa che trascende il vinoMetti una sera al Pozzole luci e il ricordo38 anni fa dal notaio Carliun anno luminoso: ero già qui ad assaggiarloMi raccontava Elina Lisinisfumature non secondarieIo e il Brunello (ma quello vero!)Contemporaneità e si sente davvero.

Ricordare lo “USP”!

Si pronuncia iu es pi e sta per unique selling proposition, una formula di marketing tutt’altro che campata in aria. A questo proposito mi preme dire che il marketing non è mai campato in aria – solo i giovanottini in tailleur blu di fininvestiana memoria hanno creduto di crederlo – . E solo gli ometti orecchianti che si sono occupati di quella comunicazione un po’ così (pseudo giornalismo che però è anche promozione, ma siccome so usare il computer ti fò pure la grafica, tanto che ce vole), senza analisi, senza cultura professionale, senza esperienza alcuna, se non nell’arraffar soldi, hanno pensato di proporre strategie di marketing, prescindendo da qualsiasi conoscenza (e nello specifico non alludo a quella del politico importante o del potente di turno!).

No lo USP (è stato elaborato dagli scienziati del marketing di P&G,un secolo fa, e funziona tutt’ora)  comporta la consapevolezza di quale sia la caratteristica esclusiva del proprio prodotto – quello cioè che nessun’altro potrà mai permettersi di vantare – , e prevede che se ne abbia cura, la si potenzi, la si metta in bella evidenza, la si proponga al cliente.

Questo mi veniva in mente ieri, mentre girellavo per la bella cantina de il Palazzone, progettata da un architetto che sa di essere toscano e se ne ricorda.

Questo mi torna in mente – non solo a Montalcino, luogo in cui abito attualmente – ammirando un’Italia che produce cose mirabolanti, avendo memoria di sé stessa.

Ma di certo a Montalcino e in altre isole d’Italia, in cui un prodotto eccelso come il Brunello, si esprime in così tanti stili che non finisci mai di farne esperienza, ha dietro facce così appassionate, e nel bicchiere ti dice cose sempre uniche; con un vino così, che ha intorno un paesaggio non ancora carpito da speculazione e miopia, viene più facile dirlo o scriverlo.

“Si ricordi dottore, onorevole, senatore, amministratore, uomo politico di qualsiasi parte: si ricordi dello USP”. E sarebbe ora che, oltre a ricordarselo, la politica italiana e i suoi uomini ne facessero la loro bandiera, il loro iu es pila campagna èun architetto che non dimentica di essere toscanobrunello in cantinaVivere a MontalcinoOgni vigna uno sguardo diverso.

“Vedo le mure e gli archi. Ma la gloria non vedo” (e la politica nemmeno).

Abito in un luogo dove l’aria è pura e ci si vede attraverso, e profuma. Dove anche gli agricoltori più restii – e ne restano pochi – si sono convertiti all’agricoltura più naturale, con mano più leggera, con un’idea che nel piatto o nel bicchiere resti niente chimica e tanto gusto. Sto in questo luogo dove la polvere è quasi pulita, dove i capelli si sporcano poco. Fuori, il paesaggio lascia immaginare che qui sia possibile vivere una vita più armoniosa e meno aggressiva (questo sentimento, invece, è un po’ meno riconosciuto).

Appartengo a una categoria di persone che attraversa l’intera società – classi socio economiche, comportamenti di consumo e appartenenze culturali diversi – tante persone diverse, tutte accomunate dalla percezione che questo nostro paese debba trarre le risorse per stare sulla scena mondiale, da alcuni formidabili beni – ambiente, agricoltura d’élite, prodotti e attività culturali, design, ricerca, artigianato – che si sono formati nei secoli, grazie all’ingegno e all’esperienza di gente che ha saputo mettere le proprie mani al servizio delle proprie idee, con singolare abilità. E questo, non altro, è il nostro vero vantaggio competitivo.

Non so quanti siamo, ma si capisce bene che esprimiamo un sentimento in crescita, certe volte stimolato anche da uno spirito di sopravvivenza residuale. In realtà non ci vorrebbe molto a capirlo, che il paese avrebbe tutto da guadagnare da una strategia di sviluppo, dove a “crescere” fossero, l’aria pulita, la cultura e l’istruzione, il recupero o la rivisitazione delle vecchie costruzioni, la bontà dei prodotti, la bellezza del contesto (in cui vivere, fare vacanza, e anche pensare); insomma la qualità della vita in generale.

Gli spazi dello sviluppo per ora, invece, sono tutti occupati dall’affarismo, dall’incultura, dall’illegalità mascherata, dall’idea di fare soldi prima di tutto. Ma le cose stanno cambiando: alla prova dei fatti e davanti a questo nuovo mondo, sempre più persone capiscono che bello è meglio, che meglio (sembra banale scriverlo) piace di più, che quello che piace di più ha più successo. Cioè il bello ha più successo. Bisognerebbe diffondere questo sillogismo.residence paradiso

 

Merenda Sinoira tra Collemattoni e Mascarello

Metti una mattina frizzante di febbraio in cui la campagna è in quella specie di interregno visuale per cui non beneficia ancora dei verdi smaltati e roridi della prossima primavera, né delle sfumature nebbiose che reimpastano il paesaggio quando le giornate invece si accorciano.
Metti una settimana allucinata, tra il Papa che lancia messaggi tra il sublime e il codice cifrato; la galassia che dà segnali di inquietudine, la magistratura che ce la mette tutta per lasciarti a bocca aperta…e le elezioni imminenti.
Se tu fossi in città, dopo un caffè e la mazzetta di quotidiani – al massimo un giretto col cane – ti rintaneresti in casa. Invece, in questo luogo benedetto dagli dei, su questo colle antico coronato da case ben tenute, poco abitato, ma piuttosto civilmente e in modo piuttosto polietnico, può capitare che a un produttore (di Brunello di Montalcino: di che cos’altro, sennò!?) gli giri di fare un botto ante-BB, forse per impressionare l’inclita e il colto, forse in una specie di pre-allenamento in vista dell’imminente ondata di visitatori…

Questa mattina è stato il Bucci Marcello a lasciarci a bocca aperta (ma subitamente riempita, col suo Brunello, preceduto dal Rosso) inaugurando una grandiosa gamma di “frutti” del maiale; sopressate e ammazzafegato, prosciutti e buristo, per allargarsi ad un’aringa con cipolle, che col maiale non c’entrerebbe, ma che è ugualmente leggera…

L’inevitabile complicità di Gianfranco del Leccio ha fatto il resto; ma se non ci fosse stato Luca – con la sua bonomia – sarebbe mancato un pezzo importante della compagnia.

Il Talenti, mio medico incurante (produttore e figlio di una leggenda del Brunello), un signore di Montalcino giunto non casualmente, Paul – new entry dei luoghi -, Jolie vera musa di di Sant’Angelo in Colle – con il suo sguardo dolce e profondo – il Bucci stesso e la sottoscritta (ho contribuito colpevolmente con una bottiglia di Barolo Mascarello / 2000), abbiamo osservato il sole che cambiava le ombre ridisegnando la piazza fuori dall’uscio del Leccio, pensando (almeno io lo pensavo) che nemmeno un meteorite avrebbe potuto give me a pig foot and a bottle of BrunelloMarcello e Paul: due mondisono le nove (del mattino) e tutto va benela quasi conclusioneSì, siamo a MontalcinoDSCN4816bevo collemattoni pensando al paese com'eraturbare questa merenda sinoira. Forse nemmeno il pensiero delle imminenti elezioni.

(Con tante scuse ai piemontesi, per il furto lessicale, ma complimenti per il Barolo, forse persino dal Bucci Marcello di Collemattoni).

Noi Chez Claudia, gli altri a bocca aperta

Non credo sia casuale che in una manciata di giorni il Papa ci abbia lasciati a bocca aperta con il suo “passo indietro”, l’asteroide comesichiama stia manifestandosi in tutta fantascienza – tra Cuba (una bufala?) e la Siberia (ma sto a spalle strette perché mi dicono che sia in arrivo) – e queste stravaganti elezioni siano precedute (e magari saranno anche accompagnate?) da ondate di arresti cosiddetti eccellenti (ma a me sembrano quasi tutti dei barboncelli rifatti).

Una nemesi? Vedremo, comunque solo e unicamente se il malloppo sarà recuperato; solo allora potremo (dovremo!) spellarci le mani applaudendo la Giustizia in qualsiasi accezione sarà fatta. Perché chissenefrega se quattro tipi che hanno imparato ad annodarsi la cravatta di Marinella – col nodo giusto – finiscono in galera: non serve a niente. Chissenefrega se altri che si son messi a cantare all’ora giusta e vanno in giro ossequiati e riveriti.

Ciò che conta veramente è che i cittadini lavoratori, i giovani, i vecchi, le famiglie, le imprese, il lavoro tutto, rifiutino di pagare per quelli in galera, e anche per chi l’ha schivata. Ciò che conta davvero è fare in modo che tutti restituiscano il malloppo accumulato – pur se tramutato in beni -. Perché ciò avvenga, bisogna calmamente evitare di appassionarsi alla vendetta e guardare ai risultati concreti perseguendoli fermamente; spingendo e premendo e facendo opinione solo in quella direzione.

La stessa determinazione, l’identico cinismo che loro hanno messo in campo nel molto benederubare la collettività, vanno investiti per far tornare i soldi indietro. Perché se ciò non accade tutto sarà stato inutile: persino la rinuncia del Papa (e forse anche l’asteroide e le sue performance). Sarebbe solo un altro spettacolo ad uso dei cittadini, un’altra presa in giro.DSCN4780cavolo e gamberonedessertfine pranzoDSCN4802

Nel frattempo un’amica mi ha invitata @ChezClaudia (www.chezclaudia.it), a Firenze, dove abbiamo trovato un’accoglienza fuori ordinanza; un pranzo di pesce gustoso e leggero: il meglio che potessi desiderare per digerire certe cronache italiane.

La Berluscana

Sant'Angelo davveroQualche voce si è levata, lamentando la perdita di paesaggio, bellezze naturali, capacità d’attrazione del nostro paese; segnalando il consumo del suolo che avviene come se il suolo stesso fosse un’entità infinita, mentre invece è la risorsa meno rinnovabile che ci sia: una volta consumato non ritorna, non si ricrea.
Ma questo non l’abbiamo ancora capito; perché ci si accorga del danno che ci causa l’assenza totale di una strategia, a fronte dell’impellenza di “fare fatturato”, cominciando dall’edilizia, bisognerà che arrivi qualche mente illuminata, perché pare che da noi la luce sia venuta a mancare.finta toscananasce la toscana finta
Mi piacerebbe riuscire a mostrare quello che – non sono la sola per fortuna – sento a questo proposito, senza polemiche (da tempo le ritengo inutili, se non dannose), e spero di far capire anche che ragionare di queste cose è urgente; stiamo perdendo il paese che ha attratto il mondo intero, per la sua bellezza e nonostante la diffusa ignoranza. Ora la bellezza è stata profondamente guastata: l’Italia è come un bel vestito dal taglio sapiente, fatto di un tessuto raffinato, con un bellissimo disegno, ma buttato là in un angoletto, stropicciato e bucherellato dalle tarme. Urge rammendo!
Abito in cima a un colle, in un “hameau” delizioso di un comune significativo per le sue bellezze paesaggistiche, ma noto soprattutto per il vino strepitoso che vi si produce. Tutto ciò che circonda le vigne – tenute come gioielli, ornate di rose, bordate da cipressi a volte plurisecolari – conferisce al vino un valore ulteriore: il valore – inestimabile! – della bellezza colta e non banale: qualcosa che non diviene dalla sera alla mattina, ma cresce negli anni ed è sedimentato nei secoli, anzi qui si parla di millenni (le origini di questo minuscolo insediamento ci riconducono ai primi secoli D. C., ma vi sono testimonianze etrusche e anche preistoriche.
Sul poggio di fronte, ora si può vedere – dal vecchio villaggio originale in cui sto – un’imitazione (direi piuttosto, una parodia), di “un bel borgo toscano”; con una chiesa finta (campanile a vela e, immagino, presto una campana), tutte le caratteristiche dello stile poderale (supposto tale) co-presenti: scale, logge, i merli come in un castello; insomma un complesso, grande quasi quanto il paese – che è semi disabitato – in cui sto; un luogo in cui si potrà pensare di stare in Toscana, ma senza gli aspetti fastidiosi dello stare “nel vecchio”.
Un luogo (sproporzionato) per starci, in Toscana, ma senza farne l’esperienza, magari con una schwester che governi il tutto affinché nemmeno un granellino di scomodità (o supposte tali) rovinino una vacanza patinata, pettinata, stilizzata, magari intorno a una piscina e uno shop finta bottega…
Per fortuna il cemento è stato rivestito in pietra, e soprattutto, per fortuna questo residence non è molto visibile. Ma ho trovato aberrante il pensiero di creare un luogo finto antico, ad imitazione del vero davanti a un villaggio vero: qualcosa che entra nel nostro paesaggio e che si pretende sia guardato come “non intrusivo” (mi immagino), come se fosse qualcosa di “tipico” e di bello, come se pretendesse di essere toscano, al posto di ciò che toscano lo è davvero (ma in quanto autentico, imperfetto!). Mi è venuto in mente l’aspetto di un notissimo politico, che preferisce apparire per ciò che non è (più): giovane, anziché mostrare il proprio lato vero – reale – certamente migliore (comunque più autentico) di quello che il trucco non riesce a dissimulare. Comunque il fascino della Toscana, ha più valore della sua imitazione: solo Berlusconi non se ne era accorto.

Tra Bosco e Banca

In un paese di ex -boscaioli, come questo – gente figlia di gente che il bosco l’ha conosciuto bene e di bosco ha (anche) campato – non è strano ritrovarsi a camminare in mezzo a meraviglie naturali, magari disseminate di manufatti umani, che vengono da un tempo recente, tutto sommato, ma che pare ormai remoto.

Eppure, uno dei richiami di questo luogo, è proprio la natura, talvolta quasi incontaminata, perfetta per camminarci in tutte le stagioni, e scoprire la mitica biodiversità di cui si sono riempiti inopinatamente la bocca i politici ignari di cosa sia un passo a piedi (nella generalità, perché c’è anche qualche amministratore pubblico che la strada nel bosco la conosce!).

Sarebbe un richiamo fantastico per quel popolo cosmopolita che va a piedi – colto, sensibile, rispettoso della cosa comune, e pure (abbastanza) ‘ricco’ -; un richiamo supportato e rinciccito dalla via Francigena (che qui passa), che dà un motivo in più per camminare (anche se chi va a piedi già sa che fa bene allo spirito e alla mente).

Anche per dimenticare – o ricordare più lucidamente e meno rabbiosamente – i dispiaceri che non “la banca” – ma chi l’ha usata pro domo propria e dei propri sogni di grandeur – ha inflitto a una popolazione laboriosa, che ha il solo torto di essersi lasciata suggestionare dalla reputazione che i padri dei padri hanno costruito in cinque secoli di fatiche e sacrifici, e di essersi fidata di uomini che non se lo meritavano, camminare nel bosco è perfetto.

E tra Spoon River e Walden ho sempre preferito il secondo: ho sempre pensato che la vicinanza della natura non sia consolatoria, ma nutriente; che il lutto non debba essere recriminazione (semmai nostalgia), ma precede ed è propedeutico alla rinascita. Me l’ha insegnato la vecchia prof di biologia al liceo e non l’ho mai dimenticato.

lentisco e altri arbusti profumatiopalescenze acquatichel'acqua si fa strada naturalmenteil verde è tanti coloricapelvenere e altre bellezzela luce scopre i misteri del boscoun elefante nostrano
un verde non riproducibile“Scopri il bosco, facci camminare i tuoi amici e gli amici dei tuoi amici: nel bosco c’è un tesoro, un pezzo di storia che affascinerà i tuoi clienti, i tuoi ospiti. Impara il bosco, dove l’uomo ha ammansito (un po’) la natura e capisci meglio chi sei e dove vai…” Viene da pensarlo, quando ci si accorge che il bosco è un po’ dimenticato – fatto salvo il periodo della caccia -. E viene da ricordarlo puntualmente, magari cercando un claim più convincente – tipo: “il mercato da tempo si è accorto della natura e della sua importanza; teniamone conto, prima che sia troppo tardi, prima che altro venga distrutto da qualche speculazione un po’ miope, che ci si ritorcerà contro; prima che qualche altra sirena torni a cantare canzoni equivoche.”.

 

La Badante Sbadata

(Scritto oggi per distrarci un po’ dagli ‘affaires’ nostrani- e ce n’è di che-).
C’era una volta (e c’è ancora!), pochissimo tempo fa da queste parti, una signora vecchia ma non vecchissima e ancora in gamba, le cui figlie – pur rispettando il desiderio di autonomia e di indipendenza della madre – si rendevano conto che la sua salute un po’ precaria e la sua solitudine, potevano metterne a repentaglio la sicurezza.

Cosicché decisero, con il suo accordo, di affiancarle una badante e si misero a cercare la persona più adatta al carattere della mamma. Trovarono, dopo un’accurata ricerca, una giovane donna straniera – una romena che parlava molto bene l’italiano e che piacque alla mamma – che venne quindi ospitata adeguatamente e che per svariati mesi affiancò la vecchia signora, con cui andava d’amore e d’accordo, in un rapporto che manifestava piacevoli aspetti affettuosi, molto rassicuranti. Le due donne – visitate regolarmente dalle figlie della vecchia – vivevano in armonia e quando, trascorsi sei mesi o giù di lì, la giovane romena manifestò il bisogno di tornarsene a casa per un mese di vacanza, non vi furono problemi, anche grazie all’assicurazione di un ritorno puntuale al lavoro.

La vecchia signora prendeva ovviamente i pasti con la sua giovane compagna e assistente e ogni mattina divideva con essa una bella fetta del ciambellone rustico che preparava ogni qualche giorno e restava piacevolmente fragrante per quasi una settimana. Un semi-dolce come usa presso molte famiglie, in campagna da queste parti, ma non solo qui…; una ricetta semplice che la signora aveva anche insegnato alla giovane.

Alla vigilia della partenza, la badante si accinse a preparare il gustoso ciambellone per la settimana entrante e chiese alla vecchia signora il permesso di impastarne anche un secondo da portare a casa e magari consumare, in parte, durante il lungo viaggio di ritorno nel pulmino; un piccolo desiderio prontamente esaudito.

Così la giovane badante partì, lasciando un po’ sola la signora, tuttavia piena di speranza per il non lontano rientro della giovane. Il mattino successivo alla partenza, la colazione a cui si accingeva la vecchia signora si preannunciava solitaria, con la piccola (ma ghiotta) consolazione del ciambellone, preparato dalla giovane badante.

Quando si accinse a tagliare il dolce, però, la signora incontrò un inciampo imprevisto: infatti impastato nel cuore del ciambellone, accuratamente avvolto c’era un pacchetto ben sigillato e lì dentro tutti i suoi ori di famiglia, insieme a un piccolo gruzzolo di cartamoneta di piccolo taglio, forse frutto di ripetute – ma affettuose – ‘creste’ sulla spesa.

L’amarezza e la delusione furono immense, ma un po’ stemperate dal pensiero della faccia della sbadata badante al momento in cui, giunta a destinazione, avrebbe tagliato il suo ciambellone. La signora e le figlie hanno chiamato ripetutamente al cellulare la giovane badante, che però non ha finora risposto.