Un gavettone particolare

“Ma perché ridi? Io trovo che non ci sia niente da ridere: è stato un gesto grandemente incivile …”.

Così mi apostrofa un figlio che mi coglie mentre scorro un pezzo nelle pagine fiorentine del Corriere della Sera; la cronaca è quella che riporta l’incresciosa e maleodorante ‘jettata’ da parte di un sostenitore storico del PD, deluso per una promessa non mantenuta – così almeno desumo dalle cronache che riprendono commenti e denunce – durante la presentazione di un libro di Enrico Rossi, presidente della regione Toscana nonché vittima del gesto.

E, sì, confesso: mi è scappata una risata, magari un po’ fuori dalle righe, forse un po’ isterica, certo molto amara. Ma quella risata aveva un suo perché e vorrei tentare di spiegarmelo, contrariamente a tutti quelli che hanno sghignazzato (più di quanti si possa pensare) magari solo perché è successo al Rossi e loro sono di un’altra fazione …

Quando poi, dal pezzo di colore, sono passata a leggere la cronaca nuda dei fatti, con dati e numeri e mi sono resa conto del pensiero del macellaio – protagonista della bravata – ho capito con un brivido, che mai avrei potuto spalleggiare uno che voleva solo ‘macellare più agnelli’.

Insomma, era stata una risata di bassa lega, la mia? Sì e no.

Sì, e ho appena spiegato il perché; ma anche no e lo spiego qui di seguito.

Liberiamoci innanzi tutto dall’idea che possa piacermi un gesto violento nei confronti del rappresentante di un’istituzione: ci sono le sedi e le circostanze adeguate, per esprimere il proprio dissenso – pacificamente e con civiltà – consigli comunali, assemblee, parlamenti vari; e poi cortei, sit-in, manifestazioni, raccolte di firme, lettere ai giornali (ai pochi non acquistati dai vari potentati, ovviamente). Ma, via!, tirare una secchiata di letame solo perché si è delusi da un rappresentante del partito che si è sempre sostenuto e votato è davvero incivile e volgare, volgare come la sostanza usata per dare (immagino) più concretezza e verità al gesto.

E allora perché una signora, che non condivide la motivazione a quell’azione, che non ha alcuna simpatia per chi ha compiuto l’azione, che ritiene doveroso manifestare le proprie idee con maniere nette e civili, cede all’ilarità, leggendo quella cronaca?

Prima di tutto per un senso paradossale di sollievo. Perché durante questa cupa estate di sangue, disseminata di orrori perpetrati da psicopatici che oscuri manovratori si ostinano a proporre come guerrieri di un dio nemico della nostra religione (e meno male che c’è un Papa coraggioso e capace di chiarire che è una guerra squallida, di soldi e potere), in mezzo a tante bombe, una secchiata di merda mi ha suscitato una specie di ‘sollievo’ – e mi scusi il presidente Rossi: il sollievo non è contro di lui! – la notizia ha avuto un sapore casereccio e folcloristico, tale da essere quasi rassicurante.

Tra una donna sgozzata o bruciata viva ‘perché non mi voleva più’, un bombardamento di ospedale con partorienti incluse, un prossimo presidente del paese più potente del mondo che assomiglia paurosamente al dottor Stranamore, e poi Nizza, Rouen, Orlando, Dacca, Parigi, Monaco, questa estate fa rimpiangere gli inverni più crudi, fa desiderare una glaciazione di tutto.

Dunque, che sarà mai un po’ di letame, il cui fetore (dato che è sterco animale) ha un retrogusto anche un po’ bio!

Ma nel riso c’era pure dell’amarezza, non è stata una risata allegra, tutt’altro. Perché insieme all’attimo di sollievo, di cui sopra, mi venivano in mente ben altri e più civili dissensi, come quello dei cittadini che vogliono essere sentiti sulla geotermia – con dati, esperti a sostegno e contro, economia, numeri, salute, linee di “sviluppo” sempre più virgolettato e fraintendibile –; cortei e striscioni della cui rimozione ho letto e ascoltato testimonianze dirette. Anche in questo frangente constatando le ambiguità di uomini più sinistri che di sinistra.

E poi, nel gustoso pezzo di ‘colore’ sul Corriere (di cui sopra) si accenna a un ipotetico effetto emulazione, con uso della stessa materia (organic, in inglese) da parte degli alluvionati di Carrara e di Albinia, da parte dei superstiti della strage di Viareggio sugli ex vertici delle Ferrovie, da parte dei risparmiatori e investitori delusi e traditi da qualche istituto: … E l’immagine di impeccabili cravatte e camicie, di tasmanian, di lini finissimi, di completi scelti con oculatezza da Bardelli (solo dai più raffinati), sottoposti a una jettata di letame ‘derivato’ è stata, in un primo momento, irresistibile, ma poi mi ha fatto venire la nausea.

E non è davvero l’odore del letame ad essere nauseabondo. Però chissà che questo gesto, a suo tempo evocato dal Benigni prima maniera, non introduca l’idea di ricominciare a parlare ai cittadini con un po’ di lealtà dei problemi comuni e degli interessi della gente.

 

Carabinieri e pervasivi

Mentre ci si domanda a chi convenga questa improvvisa proliferazione di attentati (a poveri preti solinghi, a famiglie spensierate, a giovani che celebrano la sera festaiola) e mentre si comincia a pensare – oltre il gesto o la catena dei gesti – che questo è il prodromo di qualcosa di cui ignoriamo forma e sostanza, viene anche da chiedersi a che ‘santo’ votarsi per un briciolo di sicurezza in più.

Dopo mesi (anni, decenni) di lettura di quotidiani che, anche senza scandagli profondi, ci lasciano sospettosi e certi. Sospettosi nei confronti di tutto e di tutti, certi dell’universale disonestà, soprattutto di quelli al di sopra di ogni sospetto, uno cerca di capire a chi potrebbe aggrapparsi, chi chiamare, dove bussare, in caso di pericolo – vero, fasullo, immaginario o isterico – … E, certo, in città tutto è più anonimo e ingegnerizzato e complesso, mentre tra un leccio e un ciuffo di ginestre, lungo il filare di una vigna o sotto un olivo – qui in campagna – l’allarme si intreccia con la conoscenza, il pericolo è una mosca nel latte (o così ci illudiamo), il riferimento è più netto: chiamo i Carabinieri.

Il blu solcato dalla striscia rossa, talvolta con giubbotto più o meno segnaletico è il vero punto di riferimento. Talvolta arcigno, talaltra più ‘alla mano’, ma sempre “nei secoli fedele” e dotato di severità confortante, almeno in comunità piccole e definibili dove tutti apparentemente si conoscono, ma all’occorrenza non si riconoscono o diventano improvvisamente irriconoscibili (o sconosciuti!).

Il carabiniere – l’uomo dentro la divisa – è senza maiuscola. Se tutti i Carabinieri si somigliano quando sono in divisa, ogni tanto bisognerebbe ricordarsi che dentro ad essa sono uomini con mente e cuore e sensibilità diversissime. Sbaglia chi lo dimentica, perché si chiamano i Carabinieri e rispondono uomini, garantiti da una divisa che li chiama tutti a un identico spirito di servizio, a dei parametri, a delle operazioni in cui ognuno mette la propria umanità, il proprio sistema nervoso, chi – addirittura – un’idea poetica!

Bisognerà imparare a tenerlo presente, con spirito di sussidiarietà (come richiesto dai tempi), sempre di più; qui in campagna ci sono loro e la loro storia.

Balle, balle e rotoballe

Leggo la recensione di un libro che raccoglie le opere e la storia professionale di Mario Bellini. Ricordo di averlo incontrato un’ultima volta a una sfilata di Armani. Avevo un ricordo vivido di quando era arrivato all’ufficio sviluppo de La Rinascente. Eravamo già stati trasferiti in piazza Carlo Erba. Prima il nostro ufficio era all’ultimo piano, di fronte al Duomo e la luce inondava l’ufficio, strutturato in una sorta di open space ante litteram.

Negli uffici di piazza Duomo avevo conosciuto Alvar Aalto, Eero Saarinen e Vuokko Eskolin – lo stile finlandese andava molto e io vestivo Marimekko -. Il trasferimento in Carlo Erba aveva significato anche per me un transito dal tempo dell’utopia a quello dei ‘piedi in terra’. Ma sempre in un mondo ad alto tasso di creatività.

In Carlo Erba, un giorno, si erano materializzati Mario Bellini, Italo Lupi e Roberto Orefice. Tre achitetti che (immagino) Augusto Morello, che dirigeva quell’ufficio con talento, passione e occhio al futuro, aveva stanato e catturato per aggregarli al gruppo di grafici e designer che componevano l’ufficio. I Tre non si fermarono molto: si capiva che l’ufficio sviluppo era solo una ‘stazione’ di un cammino ambizioso e fortunato. Era l’intermezzo su un percorso di meritatissimi, grandi, successi professionali. Ma Mario Bellini non era il direttore del design della Rinascente!

Morello, a quel tempo, aveva una prima moglie, un’ungherese con gli occhi color topazio, e Mario Bellini non solo aveva una marcia in più, ma era anche pieno di vitalità e di empatia. Ma non era il direttore del design della Rinascente, come sta scritto sulla recensione del libro.

Ieri, incontrando due ex colleghi di casa editrice, tra inauditi e ghiottissimi pettegolezzi (tutta roba vera!) abbiamo ricordato un po’ di appropriazioni indebite di meriti editoriali da parte di un direttore dell’area libri famoso soprattutto per le scappatelle sentimentali.  “Io speriamo che me la cavo” – per esempio della cui presentazione in comitato editoriale, da parte di Gabriella Ungarelli, ho memoria precisa e di cui ricordo l’accoglienza tiepida da parte dei soloni presenti- viene millantato come successo personale da uno di quelli che usano il passo pesante e la voce stentorea per dar conto dei propri successi. Come pure è accaduto per un autore come Dan Brown – mi ricordavano i colleghi – individuato e proposto da un giovane editor Magagnoli, anche lui vittima di trattamento analogo.

Allora uno fa bene a chiedersi quanti ‘tradimenti’ di verità, magari più delicate, si consumano, in assenza di testimoni dotati di buona memoria, e quanto pagano questi ultimi nel momento in cui si affacciano – sul web o sulla carta – per raccontare ciò che sanno. La memoria è strana: meno uno ha talento, più ricorda come proprio il frutto di quello altrui.

Chi non racconta balle è il campo, la terra, il grano che cresce. Qui, in questo tempo di mezza estate, il paesaggio è disseminato di bellissime rotoballe. DSCN0139E io vado a camminare tra quelle.