La Triennale, ogni anno

DSCN9650Vivo in campagna, si sa, per la maggior parte del mio tempo; ogni volta che torno in città – soprattutto se si tratta della città da cui vengo – la vivo intensamente, poiché i miei occhi e i mei sensi hanno appreso altri paesaggi (quelli in cui desideravo vivere, da sempre) che però lasciano ampio spazio alle mie nostalgie e anche ad altre visioni.
Uno dei miei ricordi più vividi (e più lontani negli anni) riguarda il momento in cui ho capito, provando una sofferenza acutissima, che avrei potuto vivere solo una vita (forse due). Sarà per questo che mi piace Murakami Haruki, che nei suoi libri riesce a raccontare proprio questo sentimento.
Ciò che non potevo sapere, in quel momento così tanti anni fa, era che invece avrei potuto vivere vite diverse, se fossi stata capace di metterle in fila, una dietro l’altra, come i vagoncini di un treno-giocattolo, magari agganciati l’uno all’altro o forse no. Me ne sono accorta l’altro giorno ritornando alla Triennale (lo faccio ogni anno, è più facile vedere dove si è arrivati); ho pensato di visitare la mostra curata da Italo Lupi (è stato mio collega, tanti anni fa e mi ricordo sempre il suo naso che pesca un po’ in bocca …) che illustra il design italiano, prendendo le mosse dalla prima metà del ‘900 e di seguito mostrando molto bene autori e oggetti, della seconda metà del XX° secolo che mi sono familiari, perché ci ho vissuto accanto, li ho visti lavorare e ho visto nascere quei pezzi e potrei citare a memoria alcuni dei discorsi che si facevano a quel tempo. Quella è stata una vita intera, unica, con amori e tutto il resto; unica e distinta, iniziata quando sono uscita dall’Accademia e durata pochi intensissimi anni; poi è finita quando ho cominciato a lavorare in un’agenzia di pubblicità.

Insomma è impossibile raccontare tutto in un blog, anche se questo format mi dà l’impressione di parlare ad alta voce, di raccontare, con un bicchiere di vodka (o d’acqua, che è lo stesso) davanti.

Ma la Triennale si è sommata ad altri incontri, anche casalinghi, al riconoscimento di una “modalità” (si dirà così?) che sta facendo irruzione (oppure scivola dentro, chissà) nella nostra vita – di certo nella mia – una nuova medialità che modificherà, cambiando forse anche i modi di sentire e di vedere, di certo modificando le percezioni.

Nello stesso ‘girone’ c’è un bel po’ di paesaggi e di habitat natura (ancora e nonostante tutti i miopi in circolazione). Ed è come se questi due contesti (attenzione: non si tratta di contrapposizioni tra città/tecnologia e natura/paradiso perdente) fossero due vite che procedono in parallelo, portando alla luce storie che scorrono una accanto all’altra.

 

Il Ritorno della Schiscetta

Quello che pochi anni fa – all’inizio dell’epocale ribaltamento di fotogramma – poteva anche sembrare l’inizio di un’era di revival quasi modaiolo, ora appare (e si fa pure toccare con mano) in tutta la sua crudezza per quello che è, un tempo nuovo, da affrontare con occhi tersi, muniti di buoni strumenti culturali – quelli che ti permettono di non soggiacere se non ce la fai, e comunque ti consentono di sopravvivere – per esempio la padronanza della propria lingua (almeno quella!), e l’abitudine a consultare dizionari e vocabolari, non solo per essere certi del significato delle parole che stiamo adoperando per esprimerci, ma anche per arricchirla di tutte le sfumature richieste dai nostri pensieri (almeno da quelli che vogliamo dividere con qualcuno). E a proposito di pensieri: a me sembra che si pensi meno; si mugugna molto ma in modo un po’ vacuo, poi però mi pare che ci si accontenti di pensieri minimi. Si potrebbe obiettare che tutte le energie sono concentrate altrove, impegnate ad affrontare un’esistenza diversa da come ce l’avevano lasciata immaginare… sarà ma mi pare che anche a questo proposito circolino poche idee, poche riflessioni costruttive e che si metta in campo poca energia.

Questa riflessione non riguarda solo la gente in generale, ma anche (soprattutto) i mezzi d’informazione e il loro rapporto con la politica o almeno con ciò che ne resta. Difatti mi pare che giornali e tv (ma anche la radio) siano diventati dei ripetitori e che solo pochissimi media analizzino in modo critico le “proposte” che la politica emette. Insomma un piattume, con la gente zitta zitta e i più audaci tra i giornalisti che riportano – ma quasi di sfuggita – questo silenzio di bonaccia, che non dice nulla di buono. E’ un silenzio che parla di annichilimento più che di rassegnazione.

Ma in questo spaesamento spuntano gesti e comportamenti (saranno nuove abitudini?) un po’ come i fili d’erba che si fanno strada nelle fessure di un marciapiede poco curato. Non so se sia un “fare di necessità virtù” o un rifugiarsi nei piccoli gesti (talvolta sono minuti piaceri) consolatori. Qua e là si assiste a dei ritorni e a rivalutazioni che rispondono a due criteri: quello di far risparmiare e a pari merito quello di ‘far bene’.

Una delle riscoperte più notevoli è quella della schiscetta – non solo come oggetto, per chi ne possiede una -; sta diventando una nuova abitudine, e chi non ha la schiscetta rimedia con un Tupperware scientificamente riempito a casa, con cibo casalingo – più sano, più economico (mi pare che il sandwich sia in calo) -. Prevedo che ci saranno ristoratori che compenseranno eventuali e non augurabili contrazioni di fatturato entrando nell’ora pranzo con proposte / schiscetta allettanti soprattutto per chi non ha a casa qualcuno che cucina.

Osservavo – ma non sono riuscita a fare una foto! – l’altro giorno a Milano una vetrina di Humana, un’agenzia per il lavoro. Numerosissime le offerte, ma non ho la più vaga idea delle retribuzioni; cercavano “sarte finite”, “responsabili delle vendite, lingua cinese”, “interpreti” (lingue varie), e una sfilza di addetti a lavori manuali che credo si stiano tutti rivalutando. Perché si tende ad aggiustare tutto, a riparare (c’è stata pure una manifestazione in questo settore). Se ora fossi in cerca di lavoro eviterei però un’attività che prevede un intermediario, l’eviterei come il fuoco. L’intermediario assomiglia troppo a uno che ‘rastrella’ i lavori da fare, li distribuisce, riscuote dal cliente, trattiene un’abbondante provvigione e paga chi ha lavorato “a babbo morto”.

Se cercassi lavoro, mi munirei di una schiscetta – possibilmente di metallo come quelle originali con cui potevi anche scaldare il cibo contenuto (il fermaglio che la chiude fa le funzioni di un manico di pentola) – e mi avventurerei ogni mattina verso un lavoro manuale (da cercare in rete). DSCN9633Un lavoro che richieda abilità specifica, ma soprattutto pazienza e buona educazione. Cercherei di apparire (oltre che essere, beninteso) affidabile; credo che l’affidabilità sia una qualità apprezzata che sta un po’ come una specie di ombrello al di sopra di altre capacità più specifiche. In un mondo in cui tutto è molto labile – la parola data ha un valore molto relativo – e non ci si può fidare più manco di chi governa, penso che l’affidabilità sia un valore in crescita (ma non si tratta della parola che di per sé, ancora una volta, non basta!). L’altro aspetto che curerei è l’esercizio di buona educazione e un lessico non troppo ricco (i clienti non capirebbero o diverrebbero sospettosi), ma molto corretto e puntuale, senza (troppe) parolacce. E poi una schiscetta piena ma non stracolma di cose buone per poter sostenere un lavoro efficiente, senza cadute di tono (né di zuccheri!).

Camino Real

Fiumi di inchiostro, ma anche di lacrime, lacrime di nostalgia, per un tempo che visto da qui pare ormai irraggiungibile. Un tempo che non tornerà mai più, nemmeno per i figli. Il terremoto in Messico, di cui ho sentito stasera alla radio, con Città del Messico già scossa dalla morte del grande Gabo mi ha fatto tornare in mente la sua raccomandazione per la scelta dell’albergo – “Macché Sheraton, porta ancora i segni dell’ultimo terremoto, ha crepe profonde sessanta centimetri; devi andare al Camino Real, è l’unico albergo sicuro, e ricordati la città è costruita sugli orti galleggianti degli antichi abitanti che vi coltivavano il mais, anzi il teosinte – l’antico grano basico (forse l’equivalente del nostro triticum progenitore del frumento) – ed è su quelle colture interrate che hanno costruito i grattacieli odierni”. Marquez mi guarda dalla maquette posata su una libreria qui accanto; capisco, gurdandolo, che sono troppo impressionata da questa morte divenuta il punto alla fine di una frase. Resta il consiglio: dormire al Camino Real, che è anche un bel nome, reale in tutti i sensi, anche quelli sconsigliati dal buon senso …

L’Antro del Mago

Scivola sull’acqua e ti avvolge silenziosamente; all’inizio non te ne accorgi, poi ti avvii quasi in trance verso l’uscio – a volte socchiuso a volte aperto – che occhieggia in basso al termine della ripida scala, seguendo l’odore. Entri e puoi immaginare una specie di ombelico segreto che collega quest’antro con il bacino increspato lì fuori. Tutti i pensieri che ti sono venuti guardando l’acqua di Santa Caterina si sono trasformati in sentori, profumi, odori speziati e benefici. Dalla penombra emergono ceramiche e vetri, cassetti e stipi, etichette e flaconi. E’ l’orto delle meraviglie catturato dal mago Giannelli che sa e qualche volta dice, che studia e lavora, ma non prega per niente.

La regola è un’altra, quella laica della conoscenza cercata e ricercata, un giorno dopo l’altro, fino a farla diventare una collezione di pensieri curanderi. Fuori le acque fremono appena, svaporando in attesa della notte.

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Viva il Maiale

Viva, viva il maiale: non quello che butta la carta e le cicche in terra – paragonato impropriamente al nobile e intelligente animale -; e nemmeno quelli che anche se c’è la raccolta differenziata – con dispendio di soldi ed energie pubblici – fanno finta di niente e continuano a buttare le vecchie scarpe nel cassonetto dell’umido …; ma nemmeno il riccone supermacchinato (e supergrasso) che siccome ha la targa straniera se ne frega dei limiti di velocità, tanto le multe non le paga e se proprio le dovrà pagare a lui gli fa un baffo. Ma non intendo nemmeno il maiale che si trova nella bottega del bravo Carlo Pieri – ma sotto forma di costolette e salsicce e salami e prosciutti – …

Intendo dire il maiale in quanto concetto (“del maiale non si butta niente”); perché sta tornando in voga, magari un po’ forzosamente, ma sapete com’è – una moda tira l’altra – … A Milano stanno rilanciando il concetto di “ripararazione”. Riparare, aggiustare, restaurare e magari pure rieditare, le cose vecchie – biciclette, mobili, giocattoli, vestiti (a proposito sto pensando di farmi risvoltare il mio bellissimo cappotto che da color prugna diventerà chocolatbleuclair – che è il colore del #tiriparoio -).

E allora ci sono i giapponesi che hanno inventato quel preziosissimo modo di ‘riparare’ con l’argento – kintsugi o kintsukuroi – qualsiasi ceramica o porcellana, ma c’è anche il riediting di mestieri vecchi come il ciabattino o il ‘ciclista’ inteso come il riparatore di biciclette; a Milano sono spuntate botteghe (eleganti!) in cui si rieditano i vecchi tailleurs o i cappotti e si stringono o allargano i vestiti. Ma con stile e garbo. Che sia la decrescita? Ma sarà poi felice? Questo è tutto da vedere e da immaginare (e da governare). In ogni caso: viva il maiale, animale prezioso, ma che da vivo è anche molto simpatico e intelligente.

Camminare

DSCN9329DSCN9326DSCN9337DSCN9345DSCN9351DSCN9368DSCN9377DSCN9372Andare, un passo dietro l’altro formando un vasto cerchio molto irregolare; mai tornare sui proprio passi, non solo metaforicamente.
Guardare fuori per vedere dentro: verso l’Infernino è tutta una salita, ma è anche un viaggio nelle meraviglie. Mario e Laura non ci vengono da un bel pezzo – sono sicura che è lui che non vuole – ma qui è pieno dei loro sguardi e degli occhi che hanno avuto per questa terra. Mario mi ha insegnato a vedere oltre, Laura mi ha fatto capire che non c’è niente di male a puntare verso il meglio. Ma difficilmente torneranno da queste parti: si tengono al riparo dalle melanconie che potrebbero intaccarli. Intorno all’Infernino siamo cresciuti tutti un bel po’; tornarci ora – a parte la strada che ogni anno rimugina se stessa – è (anche) prendere le misure del cambiamento, ma invecchiare non ci mette al sicuro dai tormenti. Avevamo tutti contato di lasciare un mondo più intelligente con un po’ di bellezza per tutti…  Alberto Moravia, già ottantenne, ai tempi di una crisi in cui incombeva la minaccia di una guerra atomica aveva scritto che un conto è morire pensando che il mondo e gli altri vanno avanti verso un mondo migliore, quanto è drammatico invece andarsene con la consapevolezza che niente sarà come avevi sperato! Ma che c’entra Moravia con questa bella camminata, tra un podere e l’altro, di traverso a un bosco e accanto a una fonte, in cerchio verso il villaggio?

E’ Primavera?

L’Italia è un paese sempre più strano; anche la primavera è stranita. Intere colline sono diventate giallorosse  – non in quanto tifose della Roma – e qualcuno magari si irriterà anche perché lo scrivo. Perché l’Italia è così strana che se scrivi che è stato fatto qualcosa di sbagliato fai del male all’economia, perciò chi sbaglia deve essere tutelato e di sbagli non si deve parlare perché si diventa disfattisti …

Mi viene in mente il sindaco di Cortina che si è irritato in quanto le Fiamme Gialle hanno pizzicato un po’ di evasori e ha dichiarato: ecco adesso quelli lì andranno a fare shopping altrove. Quasi che, pur di far arrivare turisti nel suo comune auspicasse totale tolleranza per chi evade il fisco. Anche se penso che quella specifica mossa fosse più che altro propagandistica e demagogica, ho trovato la dichiarazione di costui alquanto rivelatrice dello sbandamento di certi supposti public servant

Ho fotografato intere colline rosso fuoco (quelli lì sono i più cretini: non hanno nemmeno letto le istruzioni), filari di vigneti che paiono sottolineati con la tempera vermiglione, bordi di strade sventatamente arrossiti, prati a macchie di leopardo …

Pubblico solo una di quelle foto in cui non si riconoscano né aziende né luoghi geografici. Ma la mia domanda resta – anno dopo anno – sempre la stessa. Lasciando perdere ogni considerazione relativa alla salute (anche di chi usa questi prodotti), ma non ci si rende conto di quanto si ammazza il paesaggio, diserbando intere colline e facendole diventare color autunno, durante la primavera? Conosco già le risposte – sono davvero disperanti – e trattano (anche) il turista da idiota. 

Sarebbe un discorso ben lungo da fare; io mi limito a chiedere “dipingereste la primavera con i colori dell’autunno?”.DSCN9316

Una notizia buona (e una così così)

La notizia buona è che “non è diserbo” quello che a me era parso tale … scusate, voi quattro gatti (o cinque) che mi leggete vi sarete magari persi (“ma questa di che sta parlando?”). Ma una notizia buona va data subito, prima che si raffreddi, anche se è giunta mezzanotte. Sì perché la notizia buona è arrivata per telefono poco fa e siamo talmente assaliti da quelle pessime, dalla depressione, dall’idea che tutto in questo momento vada per il peggio (in effetti, però, non pare ci sia tanto da stare allegri …), che quando ti assicurano che una cosa che ti sembrava orrenda non è così, non solo, ma fa anche inorridire molti altri, non puoi che esserne lieta e affrettarti a farlo sapere ai quattro gatti (o cinque) che leggono i tuoi post senili.

Dunque ripeto, tanto per essere chiara e farlo sapere a tutti: sull’amato pratino dello Scalo, popolato di pratoline, pratino molto grazioso di cui ho scritto alcuni giorni fa, in un giorno di pioggia, nessuno ha sversato del diserbo (né chi lo accudisce, né altri di nascosto) e le chiazze che ci hanno allarmato (non ero la sola) dipendono da un fisiologico ricambio dell’erba: la vecchia muore – mi hanno spiegato, mi illudo senza allusioni – e talvolta lascia dei resti giallastri. La seconda parte della notizia buona è che chi me l’ha comunicato mi ha fatto sapere di odiare il diserbo e disprezzare tale pratica … e mi ha convinta.

Poi – ehm ehm – ci sarebbe quella che ho annunciato come la notizia così così, perché non saprei come catalogarla altrimenti, cercando di non farmi altri nemici (che non sempre si limitano a portarti onore), ed è la seguente: nessuno, davvero nessuno, ha smentito la presenza dell’F35 – nel meraviglioso pratino delle pratoline in cui ho temuto che avessero sversato la robaccia -, che ho chiaramente citato nello stesso post.DSCN9181. Il che vuol dire delle due cose l’una: o l’F35 non è stato rimosso, o a nessuno interessa che stia lì!