Vivo in campagna, si sa, per la maggior parte del mio tempo; ogni volta che torno in città – soprattutto se si tratta della città da cui vengo – la vivo intensamente, poiché i miei occhi e i mei sensi hanno appreso altri paesaggi (quelli in cui desideravo vivere, da sempre) che però lasciano ampio spazio alle mie nostalgie e anche ad altre visioni.
Uno dei miei ricordi più vividi (e più lontani negli anni) riguarda il momento in cui ho capito, provando una sofferenza acutissima, che avrei potuto vivere solo una vita (forse due). Sarà per questo che mi piace Murakami Haruki, che nei suoi libri riesce a raccontare proprio questo sentimento.
Ciò che non potevo sapere, in quel momento così tanti anni fa, era che invece avrei potuto vivere vite diverse, se fossi stata capace di metterle in fila, una dietro l’altra, come i vagoncini di un treno-giocattolo, magari agganciati l’uno all’altro o forse no. Me ne sono accorta l’altro giorno ritornando alla Triennale (lo faccio ogni anno, è più facile vedere dove si è arrivati); ho pensato di visitare la mostra curata da Italo Lupi (è stato mio collega, tanti anni fa e mi ricordo sempre il suo naso che pesca un po’ in bocca …) che illustra il design italiano, prendendo le mosse dalla prima metà del ‘900 e di seguito mostrando molto bene autori e oggetti, della seconda metà del XX° secolo che mi sono familiari, perché ci ho vissuto accanto, li ho visti lavorare e ho visto nascere quei pezzi e potrei citare a memoria alcuni dei discorsi che si facevano a quel tempo. Quella è stata una vita intera, unica, con amori e tutto il resto; unica e distinta, iniziata quando sono uscita dall’Accademia e durata pochi intensissimi anni; poi è finita quando ho cominciato a lavorare in un’agenzia di pubblicità.
Insomma è impossibile raccontare tutto in un blog, anche se questo format mi dà l’impressione di parlare ad alta voce, di raccontare, con un bicchiere di vodka (o d’acqua, che è lo stesso) davanti.
Ma la Triennale si è sommata ad altri incontri, anche casalinghi, al riconoscimento di una “modalità” (si dirà così?) che sta facendo irruzione (oppure scivola dentro, chissà) nella nostra vita – di certo nella mia – una nuova medialità che modificherà, cambiando forse anche i modi di sentire e di vedere, di certo modificando le percezioni.
Nello stesso ‘girone’ c’è un bel po’ di paesaggi e di habitat natura (ancora e nonostante tutti i miopi in circolazione). Ed è come se questi due contesti (attenzione: non si tratta di contrapposizioni tra città/tecnologia e natura/paradiso perdente) fossero due vite che procedono in parallelo, portando alla luce storie che scorrono una accanto all’altra.