Un tubino nero di Prada – una roba seria, non gli stracci che mi par di ritrovare su Vanity e similari. Sì quel vestito era perfetto, anzi lo è ancora, perché è lì appeso e basta tirarlo giù dalla sua gruccia, per constatarlo. Lo indosso in una foto piuttosto bella, scattata da uno di quelli bravi (e buoni: scelgono bene e scartano tutti gli scatti che denunciano le tue debolezze – spirituali e carnali – ). Sarebbe perfetto e mi ero ripromessa di tornare a indossarlo, anche se la spilla perfetta da abbinargli me l’hanno rubata il 31 marzo del ’95.
Invece in quella foto ho una bella collana di corallo (ma la foto è in bianco e nero) sul collo già rugoso, ma molto energetico (chissà se si capisce che cosa voglio dire); semmai sono i due uomini ai miei lati che si immaginano (entrambi) protagonisti e onnipotenti. Due che in ogni caso hanno provato a esserlo – onnipotenti – usando tutti i mezzi e mezzucci utilizzabili alla bisogna; magari anche rinunciando a un pezzetto di ciò che amavano di più. Per esempio un cambio moglie – ovviamente moglie nuova di zecca, in cambio di quella usata e un po’ frusta – ; se la precedente era ricca di suo, quella nuova è molto bella (magari con un passato turbolento: no, non due parole, una sola!). Se la prima aveva intorno a sé una famiglia molto ammanigliata con la politica (gauche caviar), quella nuova può recuperare con solidi agganci internazionali, da vera pierre di successo.
Eh sì, un compleanno è così: apri l’armadio, prendi atto che la tua silhouette non è più quella d’antan, e ti accorgi che gli anni sono scivolati via, come sul taffetà di questa bella giacca, ancora portabile, e i pensieri ti portano lontano… Se faccio il censimento delle giacche sono messa davvero bene; invece col tubino e relativi ricordi agrodolci niente da fare. Ho persino una giacca – nera, di lana ritorta, fodera di raso bianco – di mia madre. La mamma compirebbe cento e otto anni, quest’anno, e la giacca va sugli ottanta. Presa a Parigi negli anni trenta, taglio tornato in auge (viva il revival), da prendere in considerazione per la lunga stagione incerta. Latouche approverebbe: questa è vera decrescita, ohibò, ed è pure felice se stringo l’inquadratura sulla giacca e non mi guardo troppo attorno.
Poi ci sono un bel po’ di cosette, lì appese, di cui non so liberarmi, perché sarebbe come privarmi di un bel po’ dei miei sogni; lo spolverino di Missoni, la giacca lunga e assurdamente colorata presa a Chicago, il cardigan di lamé … sì lo so che il futuro è piccolo, ma se una come me vaga tra gli abiti appesi nell’armadio può anche illudersi che quella gonna di raso color prugna e l’altra blu a pieghe stirate sul davanti un giorno di questi, un bel giorno di luce tiepida, se le rimetterà. Invece no!
Ma se con le gonne mi va male posso trovare altre consolazioni: le sciarpe – tante, moltissime, alcune così eleganti che sarà difficile indossarle senza sembrare una buzzurra che ostenta – , oppure i soprabiti; ma chi lo mette mai un soprabito elegantuccio tra una zolla e l’altra?
Il compleanno è una cosa strana; te lo trovi appeso nell’armadio, scopri che ti sta stretto, ma vorresti indossarlo ugualmente. Un po’ come se uno volesse ritrovare il tempo perduto e raccontarsi di nuovo una storia. Auguri.