Percorso Aromatico

Non me ne vorrete se mi rifaccio al grande  Gilles Clément, parlando del mio transito mattutino nel paesaggio della campagna intorno a Sant’Angelo (Montalcino). Anche se vado di fretta – come ti prescrive il medico (!) – non posso fare a meno di pensare alla sublime bellezza dei luoghi; e non posso che rammaricarmi pensando che il paesaggio è tutto ciò che ci resta, del nostro paese. Sì, le opere d’arte, i monumenti, le città, i palazzi; sì, lo so, ma di questo passo ce li sfileranno senza troppo chiasso, insieme alle opere d’ingegno divenute imprese e ai toponimi che mezzo mondo ci ruba per dare un tocco “italiano” ai prodotti taroccati (italian sounding)…. Insomma molta amarezza accompagna il bel risveglio nella campagna; amarezza appena attenuata dalle erbe che passando tocco e mi parlano con i loro intensi odori. All’andata, mi procuro una fogliolina d’alloro, dalla siepe intorno alla casa di Paola (che ora mi sgriderà) accanto a cui passo salendo verso la via leopoldina. Mi sbriciolo la foglia tra le dita e mi lascia una lieve oleosità sui polpastrelli e un intenso profumo che sa di gloria (e d’arrosto). Poi proseguo e incontro le vestigia di quelli che sono stati ciuffi di finocchiello: ora son smunti, ma l’aroma è intenso e mi faccio scivolare tra i denti qualche grano che mi inonda di ricordi d’infanzia (castagne bollite col finocchiello). Sulla via del ritorno struscio una mano su un rosmarino che saluto e mi riempie di energia. Chiudo il percorso con una fogliolina di nepitella che addirittura mi assorda. Chi potrebbe immaginare tanta energia in una così piccola erba. Gilles Clémant permettendo, questo è il mio “quarto paesaggio”, quello che parla al cuore e alla mente di quelli che hanno voglia di sentire. 

Nuovi Paesaggi, per modo di dire

Ve ne siete accorti? Mentre la finanza cambiava il nostro mondo, le nostre vite e poi, di conseguenza, il modo di sentirli e di ‘percepirli’, alcuni caballeros hanno sellato cavalli freschi, indossato nuovi costumi di scena e ora cavalcano lanciando grida sonore, tra queste “Paesaggiooooo!” oggi è lo strillo che va di più. Si può proprio dire che la parola ‘paesaggio‘ vada per la maggiore, e fa niente se chi la pronuncia oggi fino a ieri sghignazzava, trattando da mentecatto chi sottolineava il valore etico e anche economico del paesaggio, un bene che finisce, se non se ne ha cura.

Mano a mano che gli effetti perversi della crisi, e la superficialità con cui è stato affrontato un cambiamento annunciatissimo, colpiscono i fatturati, ci si rende conto che chi segnalava il paesaggio (e tutto ciò che contribuisce al suo permanere e al suo divenire) come un capitale da tutelare, non è un fesso: e chi sottolineava le nuove sensibilità che si affermano nei “consumatori” più colti (che diventano sempre più selettivi), è attento e informato, e ha anche antenne più lunghe di chi ha avuto in mente solo il ‘bottom line’ e ha creduto che il cosiddetto “sviluppo” fosse davvero sostenibile.

Non so se le new entries dei paesaggisti “de noatri” credano davvero alle parole che stanno inserendo nei loro discorsi, non so nemmeno se abbiano capito che senza storia non si fattura. Ma sarebbe bene che tutti quelli che finalmente si stanno spostando su questa riva, capiscano anche che il “cliente” ora vuole che la storia sia vera davvero, e non sia il solito copia-incolla di parole orecchiate e rifritte, come siamo stati abituati dalla politica d’accatto.

 

Il Golfo Mistico di Montalcino

Anni fa, un noto copywriter nel venire a trovarmi aveva guidato lungo la via cassia, da Siena a Buonconvento e poi salendo il colle dei lecci, e attraversando Montalcino, era giunto fino a Sant’Angelo, la piccola frazione che si fa in due – il Colle e lo Scalo – sulla via che conduce in maremma.
Arrivato al podere in cui abitavo, esordì lapidario «la differenza si vede, quasi la si respira»: alludeva all’atmosfera dei luoghi (poi si è dilungato cercando di spiegarmelo) non tanto e non solo ai paesaggi attraversati (che io continuo a trovare notevoli, anche con i cambiamenti intervenuti negli ultimi trent’anni), ma ai micro-segni, alle tracce che si colgono qui, persino nell’aria che respiri.
Gli autoctoni non lo sanno, oppure lo sentono ma trovano ciò naturale (ci vivono dentro da sempre!), immersi come sono nel lavoro e nella vita quotidiani. Qui la presenza del vino e delle attività ad esso connesse è così totalizzante da fare velo a tutto “il resto” (a ciò che fa splendere il luogo).

Ho conosciuto moltissimi ‘luoghi del Vino’ e ne ho ammirato i paesaggi, i castelli, le fattorie, le vigne. Ho camminato in tante campagne, montagne e colline. Ma in nessun posto ho avvertito, già respirando, il senso speciale della terra che si sente qui.
Lo capisci bene camminando, ascoltando, anche annusando: qualche volta riesci a distinguere quasi fossero i suoni diversi di tanti strumenti, ma il più delle volte tutti i suoni si fondono in qualcosa che stenterei a definire ‘genius loci’, perché quello che provi è sublime, ma è allo stesso tempo facile, reso accessibile da una forte componente edonistica, qualcosa che ti mette subito in relazione con Montalcino, come succede ascoltando la musica.

Tutti i Colori del Vino che Verrà

Che cosa ci attende dietro l’angolo?

Chi ha vendemmiato ha il privilegio di scoprirlo giorno dopo giorno, seguendo la vita delle sue uve e poi dei mosti e il brulichio invisibile dei lieviti che lievitano, piano piano. Ogni vignaiolo rivive ogni anno la nascita di una creatura viva, i suoi balbettii, la sua fisionomia che va delineandosi, notte dopo giorno e settimana dopo settimana. Così nelle cantine – grandi, piccine, o immense che siano – un profumo acuto accompagna questi giorni che rinfrescano, le prime anelate (e purtroppo tardive) piogge, le giornate che si accorciano, le notizie – pessime, subdole e oscure – che logorano gli animi.

Ma intanto il vino cresce, diviene, imperterrito; il mosto dialoga con gli invisibili lieviti che volano intorno, che producono misteriose evoluzioni e i vignaioli seguono con sguardi e aggrottare di sopracciglia il viaggio appena iniziato che può durare anche anni; la fiducia abita qui, non nei palazzi del potere, ma nelle cantine del lavoro. Tanti, appassionati, meravigliati essi stessi da quello che avviene sotto i loro occhi, a portata di naso, lavorano con semplicità, lunghe ore senza smettere mai. E crescono i profumi che annientano l’ammorbante odore di troppa politica putrida. E questo è lavoro che diventerà “prodotto”: una parola troppo fredda, che non rende l’idea del miracolo del vino, che – quando la terra e gli uomini (‘menschen’  cioè uomini e donne nella parola stessa!) lavorano insieme, senza tradimenti reciproci, senza promesse da marinaio, senza illusioni mirabolanti, ma con semplicità – è davvero una storia d’amore…. 

Il Paese dei Ciclopi

Odilon Redon, “Le Cyclope“, museo Kröller-Müller

Il ciclope è una figura della mitologia greca; è il discendente di un’antica razza di giganti, caratterizzati dalla presenza di un solo occhio.

Avete due occhi? Buon per voi se avete due begli occhi, entrambi in perfetta salute; ve lo auguro di tutto cuore e potremmo finirla qui. Potrei lasciarvi pensare che ogni tanto io deragli un po’ dal percorso – l’età c’è, il carattere pure – ma invece vengo a darvi un’informazione utile. Eh sì, perché stamattina mi ha telefonato un’amica fiorentina che da tempo è in terapia per curare un grosso problema alla macula di un occhio. Mi ha dunque raccontato che la terapia a cui si sottopone dà buoni risultati – bene!! – che lasciano sperare per la conservazione della sua vista. Però mi ha anche detto di aver fatto una OCT (una Tomografia dell’occhio) all’occhio, per così dire, sano, e i medici hanno scoperto che, purtroppo, anche quell’occhio che non le aveva mai dato alcun fastidio ha gli stessi problemi dell’altro che è già in cura.

Dunque, una notizia buona (la cura funziona) e una cattiva (l’occhio che sembrava sano e invece non lo è), ho pensato. Invece no: una notizia buona (vedi sopra) e due notizie cattive, perché oltre a dover curare quell’occhio che sembrava in salute, i medici le hanno detto che la ASL non paga quella terapia (che funziona, ma è costosa) a due occhi, ma solo a uno.

Tra le peculiarità di questo paese – dove uno stuolo di ragionieri algidi ma eleganti sta, per così dire, governando la crisi, affinché le banche e i grands commis dello stato non abbiano a soffrirne troppo – c’è anche il processo al secondo occhio, se pretende di ammalarsi dopo il primo.

Per il terzo occhio – quello che ci permetterà di vedere oltre la nostra stupidità – c’è un piccolo stand by di ingenui che ancora pensano che potranno continuare ad andare in bici senza pagare una congrua tassa di circolazione (i ragionieri stanno facendo scuola), ma tenendo aperto un occhio solo: l’altro non serve.

Vabbé, su tutto ciò, per ora, chiudiamo un occhio, e che sia sano, mi raccomando!

Paperopoli quella vera, senza Banda Bassotti

Apro il giornale e leggo che Inpdap e Enpals, i due istituti previdenziali del pubblico impiego si fondono con Inps. L’impatto di questa fusione va a creare un “buco” di circa dieci miliardi nei conti Inps e … mette a rischio, in futuro, l’erogazione delle pensioni a tutti i lavoratori!

Ma da che cosa è stato provocato questo buco? Semplice: dall’evasione dei versamenti dei contributi Inpdap, da parte delle Amministrazioni Pubbliche, che sono abitate da utopisti, o da incapaci, per non dire altro e rischiare querele.  Mentre nella Paperopoli dell’amica Silvia – che mi ha mandato queste immagini del papero Odino e dei suoi famigliari – l’amore regna sovrano, nella Paperopoli Italia regna la Banda Bassotti. Non abbiamo ancora finito di scoprirne tutte le malefatte (e sono certa che questa macro evasione – mai sanzionata, né da Inpdap, né dalla Corte dei Conti – sarà  tenuta discretamente lontana dall’attenzione del popolo, che poi magari si lascia tentare dalla “antipolitica”).