Ogni volta che poso gli occhi su un salmone – in una vetrina o ben sistemato e guarnito, su un piatto, servito a tavola – vedo soprattutto il suo colore, ed è il colore del maglione più brutto che io abbia mai indossato. Rivedo le trecce (adesso sarebbero di moda, mi pare), il collo appena alto, la finitura a costine sotto la vita. Ma io ricordo soprattutto il colore: né carne né pesce, mi verrebbe da dire.
Ma quel maglione l’ho indossato per anni, si può dire per tutta la mia adolescenza e anche un po’ oltre. L’ho portato con gonne scurette che attenuavano la sua brutta tinta e non ho mai pensato di ‘mitigarne’ il colore con una sciarpa, anche perché in quegli anni le sciarpe avevano unicamente la funzione di scaldare il collo e non erano ancora divenute un capo d’abbigliamento molto decorativo, talvolta strategico, come oggi.
Ho portato quel maglione durante gli anni del liceo; i primi tempi per affetto, poi per scaramanzia, infine perché – divenuto un po’ logoro (come tutto quello che mi piace indossare) – il maglione color salmone era diventato bellissimo.
Anche una mia compagna di liceo che veniva da Roma ma apparteneva a una grande famiglia di imprenditori milanesi, negli stessi anni, indossava quasi sempre un maglioncino smilzo, azzurro polvere, di buona lana e confezionato a mano. I suoi avevano i beni bloccati e nonostante vivessero in un palazzo di loro proprietà, quasi in centro a Milano, non avevano liquidi… ma se torno con la memoria a quegli anni, ricordo molte ragazze indossare lo stesso capo continuamente; si era nel secondo dopoguerra ed eravamo tutti molto frugali, anche quelli che oggi definiremmo ‘ricchi’.
Il mio maglione color salmone, invece, era un regalo di Natale, di uno dei rari Natali passati con mio padre a casa e non per mare, o oltremare. Ricordo bene il momento in cui l’ho avuto in dono, avendo ai fianchi – quasi a sorreggermi (ma era un effetto ottico) – mio padre e mia madre, rispettivamente a sinistra e alla mia destra. Però non ricordo chi mi ha dato materialmente il maglione. Rammento però che sentivo una tensione speciale, capivo che i miei trattenevano l’emozione, ma solo qualche giorno (due o tre) dopo ho capito che il mio brutto maglione era stato acquistato con gli ultimi soldi rimasti ai miei genitori, dopo quello che allora si chiamava “rovescio di fortuna”, capitato a mio padre che aveva acquistato un negozio il cui proprietario non aveva mai pagato le tasse.
Strano, ma vero, il fisco negli anni cinquanta, in casi come quello, caricava tutto l’importo evaso sull’acquirente; o forse il venditore era irreperibile. Mio padre era completamente rovinato, dopo esser stato per anni un uomo abituato a un discreto benessere. Solo pochi giorni dopo Natale, a mio padre fu offerto un incarico molto ben retribuito e con quei guadagni sarebbe riuscito a pagare quel debito e a mantenermi al liceo.
Mangio salmone molto di rado, ma ogni volta che mi capita è come se mangiassi un pezzo di quel Natale, con le facce attente e un po’ trepidanti dei miei, che avevano osato spendere gli ultimi soldi per non farmi mancare un regalo.