La finestra di Brunello

Ai (bei?) tempi della pubblicità – quella degna di questo nome, ora in piena evoluzione – come pubblicitari italiani eravamo talmente consapevoli dell’arretratezza del nostro paese, da cercare in continuazione ispirazione e modelli nel mondo anglosassone (solo in un secondo tempo anche nella vicina Francia), per proporre ai nostri clienti – cioè ai clienti delle agenzie in cui lavoravamo – annunci, spot cinema e tv, affissioni, nonché quell’insieme di attività chiamate below the line, degni di strategie avanzate, in grado di cambiare davvero la situazione dei prodotti che ci erano stati affidati.

Commettevamo però due peccati d’ingenuità: il primo era quello di considerare gli imprenditori italiani più maturi e colti di quanto non fossero nella realtà delle cose; ma il secondo era forse più grave, per dei professionisti della comunicazione, ed era quello di dimenticare la totale assenza di sense of humour degli italiani tutti. Sense of humour che era – è ancora – il tono e lo stile della comunicazione anglosassone, a cominciare dalla pubblicità e le consente di non scivolare nella mielosità.

Solo una cultura dotata di molta autoironia, infatti, poteva e può permettersi certi ads e certi messaggi che nel nostro paese così “controverso” sarebbero suonati melensi. A questo riflettevo, pensando all’imminente ouverture di “Benvenuto Brunello”. E mi veniva in mente la pagina di una campagna pubblicitaria (americana) di un’auto che non ricordo (sono passati parecchi anni), con un visual singolare, bellissimo e impossibile, con un messaggio che lo sottolineava. L’immagine infatti ritraeva (alla lettera) fotograficamente, ma con uno stile ‘botticelliano’, la suddetta auto, in un prato fiorito all’inverosimile, sotto un cielo stellato (e con la luna), in cui però trovava posto anche un sole perfetto, in un clima da sogno quale può essere evocato solo da un abile ritoccatore capace di rendere fotograficamente plausibile una situazione di real unreal, e dare corpo ai sogni più straordinari.

Il perché di questo ricordo, apparentemente slegato da questo appuntamento annuale con un vino conosciuto davvero in tutto il mondo (anche solo di nome), è presto detto, ma non altrettanto facilmente. Per abitudine, per deformazione professionale – anche se non lavoro più in quel settore, certe cose mi restano appiccicate – sono abituata a ‘vedere’ istintivamente certi aspetti di luoghi e situazioni, in modo piuttosto immaginifico, e … sì, per me il Brunello è anche un prodotto; ma un prodotto speciale(come un’opera d’autore) da tenere al riparo dalla pubblicità, come tutti i grandi vini (non le marche, però: c’è  differenza, tra le due cose). Perché un grande vino trova “da solo” il suo posto nella nostra immaginazione, inserendosi nel mondo immaginato da ciascuno di noi e in quello di ogni suo potenziale consumatore / conoscitore, in modo singolare e molto personale. Proprio in modo irreale, come fosse evocato da immagini – come quella che ho sommariamente raccontato qui sopra – che danno corpo più a sentimenti (spesso sfuggenti) che a sensazioni organolettiche. Una bottiglia può (proprio come un libro, per esempio) anche essere solo acquistata, per il piacere di possederla, e tenuta lì, magari non per collezionismo. Per pura emozione. Come quella che proviamo ascoltando musica o quando ci affacciamo a una finestra e guardiamo un paesaggio che ci ispira.DSCN8836.

 

Da “Tenuta” a “Podere”: che cosa si dice per piacere!

Viviamo in tempi impietosi: non piace ciò che è bello o piacevole, ma di solito piace ciò che è ricco e si manifesta senza fare sconti; però c’è un limite a questi fenomeni e consiste nelle opinioni che si creano, mutano, evolvono e non sempre si riesce a orientare. La comunicazione dilaga e si intreccia con informazioni, soprattutto on line, in modo tale che è solo parzialmente controllabile, e le opinioni si formano su misteriose convergenze di sensibilità o di allergie. E da noi non si è ancora acquisita l’abitudine (e messa in conto la spesa) di studiare preventivamente il mercato e ciò che lo muove, nemmeno di andare a vedere perché i consumatori comprano una merce, se lo fanno convinti, se sono soddisfatti, se pensano di tornare a farlo o se sono in una fase di latenza. Chi avrebbe tutto l’interesse a farlo, arriva sempre con un po’ di ritardo ad accorgersi di quello che i sociologi chiamano “il cambiamento”;   non sapendo o dimenticando che “il cambiamento” è un fenomeno mobile – dura dalla notte dei tempi e finirà con la nostra specie -.

Nulla è fermo, insomma, nemmeno nel vivace mondo del vino, abitato da gente che mima l’affetto per la campagna e per la ‘veritas‘ che ‘in vino‘ dovrebbe appunto trovarsi. Ma il mondo del vino, rispetto ai fenomeni relativi al “cambiamento” nell’accezione socio-psico è particolarmente in ritardo. Sembra ieri che andavano per la maggiore (ed esclusivamente) lo stile blasone di famiglia/tradizione…; altrettanto recente (mi pare) è l’attenzione del mercato per l’imprenditore di tutt’altro settore o il politico, super-ricco, che si compra una super tenuta e ostenta super enologo, super ettari, super impianti, super tecnologie, super avveniristicamente. Il tutto sciorinato sulla stampa fedele in modo tale da mettere ettolitri di distanza tra sé e quelli che erano lì a produrre vino magari da un secolo o due (mi viene in mente la moglie di uno, che ho avuto occasione di incontrare mentre dichiarava “io sono la padrona” e pareva uscita davvero da “Il padrone delle ferriere” di ottocentesca memoria).

Ci sono però anche imprenditori intelligenti che praticano lo stile più aggiornato dell’understatement, e c’è un fenomeno nuovissimo che ho notato e mi ha incuriosito: una specie di mimesi, di travestimento, in cui mi sono imbattuta in questo mondo simpatico, dove di solito ci si limita ai pantaloni di velluto a coste, indossati più che altro con ironia, per dire “guarda che qui siamo in campagna”.

Si tratta del nome “Podere”, usato ostentatamente (un vero e proprio messaggio) in luogo di “Tenuta”, nome più consono e adeguato a certe dimensioni (e intenzioni) aziendali, soprattutto quando si posseggono vere e proprie imprese agricole importanti e strutturate (e non si ha un passato da contadino). In questo nuovo naming c’è molto, a mio avviso. A me, incontrandolo, è parso una vera e proprio pelle d’agnello indossata quale travestimento, per mimetizzarsi in un certo gregge (che esiste da mo’, ma di cui si ha una percezione tardiva) e mettersi a belare insieme agli altri. L’ho individuato come un segnale a cui se ne aggiungeranno altri, un modo ‘innovativo’ di presentarsi al mercato.  Mi ha fatto venire in mente una barzelletta surreale, i cui protagonisti sono i chinotti, e che vi racconterò un’altra volta.

 

 

A merenda con l’Architetto

l'architettoUna delle prime cose che ho imparato, venendo qui, sono le merende. Spesso vere e proprie tenzoni gastronomiche, sempre ricche di piatti e ricette che escono dalle mani sapienti delle signore che cucinano con energia, e provengono dalla storia di questa campagna dove nei secoli la gente ha imparato a usare tutto ciò che la terra offre, a mettere insieme quello che è di stagione, a non sciupare nulla e ad assaporare tutto. Ogni occasione è buona per vedere spadellare e friggere, per apprezzare una sfoglia casalinga e una crostata con quella marmellata speciale. Domenica l’occasione per una merenda è anche più interessante, perché preceduta da una presentazione che riguarda tutti gli abitanti (ma molto interessante per i visitatori), che potranno rivedere il paese nel “Lo Sguardo dell’Architetto“.

Sarà Renato Baldi, architetto fiorentino che segue la stagione delle rondini, e da sempre vive lunghi periodi in questo paese, a riproporre una visione tridimensionale di Sant’Angelo in Colle, in scala perfetta, filtrata da cultura e passione, offrendo il suo lavoro allo sguardo dei paesani e di tutti i visitatori benvenuti.

Alle 17;30, domenica 22 settembre, al Circolo di Sant’Angelo in Colle. Segue merenda!

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Salto de’ Tassi

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Per una volta i tassi non sono quelli con cui veniamo afflitti e ricattati quotidianamente dalla politica italiana ed europea ai suoi minimi. Per una volta questa è una buona notizia (GoodNews from Montalcino) e il salto è nella modernità; perché FranciBio è un assaggio di modernità, un frizzolo di diversità. E’ un qualcosa che rompe con le consuetudini, un po’ rigide e conformiste di questo luogo sopraffino che ancora (non è solo il mio parere) non si esprime al suo meglio, svelando tutte le sue sfaccettature. Bene questa è una ‘sfaccettatura’ che merita di essere registrata e sottolineata debitamente, e sarà fatto. “Salto de’ Tassi”, un po’ per gioco, un po’ perché bisognava dargli un titolo e Fabio Tassi ha fatto il salto giusto.

Da Franci Bio ci sono stata in un’occasione preziosa, venerdì scorso, con Francesco Leanza che presenta e parla dei suoi vini e del suo fare vino. Vent’anni fa, più o meno, Leanza è stato il primo a lavorare la terra, a fare una vigna, a produrre il suo Brunello, in modo naturale, con uno sguardo che partiva dalla passione per quel lavoro e per il Sangiovese, e – non certo da ultimo – per Montalcino. A Francesco Leanza devo gratitudine, perché la sua testimonianza, con le mani sporche di terra, ha incoraggiato molti a seguire il suo esempio. La forza del pensiero che ha messo in quello che faceva e fa, con talento e passione ha rotto schemi e concrezioni. Una persona e uno sguardo che non possono non piacere. Soprattutto dopo aver assaggiato i suoi vini! DSCN6933

Mi inebrio di Neozoico

Se fosse un blog del vino (ma non lo è) e se fossi capace di dire qualcosa di sensato per una degustazione, potrei spendere belle parole per raccontare un moscato di Donnas assaggiato all’inizio di questa settimana (profumi, profumi e ricordi).

Invece mi accontento di annotare l’emozione della passeggiata nelle vigne e il sentimento che mi suscita (per l’ennesima volta) l’incontro con la Serra Morenica del Neozoico. Confesso che le pur coinvolgenti spiegazioni scientifiche che la riguardano vengono superate – ogni volta che l’incontro – dalla sua presenza; essa (la Serra) mi appare come un’entità solo apparentemente immobile, una creatura viva e brulicante di ricordi ancestrali; ricordi della terra com’era e del nostro tempo più lontano. Le passo accanto e provo un’irresistibile attrazione, l’impulso di fermarmi e gridarle qualcosa che le faccia capire che “io ti sento!”.
La Serra è come una porta che si apre sull’immaginazione. Entro e avverto le tracce delle mie vite precedenti negli insediamenti arcaici e preistorici, tra un masso erratico e l’altro. E la pietra che emerge nel paesaggio curato dagli agricoltori (e deturpato dagli amministratori) costella il verde che luccica, le vigne impervie eppure accoglienti e fiabesche.
E – come sempre – il vino è il risultato di un intreccio di provenienze, appartenenze e una complessa serie di “…nDSCN6077DSCN6093DSCN6082DSCN6103DSCN6087DSCN6091DSCN6107ze”; qualcosa di inimitabile (vivaddio), che non tutti sono pronti a capire: io sì!