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Sul mare luccica: è Montalcino
Già eravate al corrente del vino – dei vini, per l’esattezza (mica c’è solo il famoso Brunello di Montalcino!) – forse avete sentito dire del paesaggio (“c’è un salto qualitativo tra il resto della Toscana e questi colli, quando svolti lasciando la Cassia e prendi la strada che scollina – Traversa de’ monti – in direzione di Grosseto…” mi sospirava un famoso copy di un’ancor più famosa agenzia); qualcuno, maliziosamente , può avervi suggerito che qui se la tirano parecchio (ed è meglio sorvolare). Vi avranno parlato di certo delle terme disseminate, qua e là (San Filippo, Petriolo, San Casciano, Bagno Vignoni, Rapolano, Bagnacci, …) dimenticando – o non sapendo – che le acque termali abbondano anche tra i filari delle viti …
Qualcuno vi avrà raccontato le meraviglie dell’Amiata (absit iniuria geotermiae), magari l’avrete pure vista innevata o avrete fatto chilometri nelle faggete silenti e misteriose …
Ma quasi certamente nessuno vi avrà raccontato della visione del mare, che luccica in due o tre punti – tra Montalcino e la frazione di Sant’Angelo in Colle -, un’apparizione capace di raccontare meglio di qualsiasi parola quale sia il contesto psico – geo – immaginifico in cui si trova questo lembo di Toscana.
Geco
“Gli esemplari adulti possono misurare fino a 15 cm di lunghezza, coda compresa. Su tutto il corpo sono presenti dei tubercoli conici prominenti. Ha una bocca simile ad un angolo ottuso, occhi privi di palpebre e pupilla verticale. Ha delle barrette con dei grandi sviluppi laterali e nella parte inferiore della faccia delle lamine aderenti divise una dall’altra. Soltanto la terza barretta rimane unita. Di colorazione è grigio oppure marrone brunastro con punti scuri o luminosi. Questi colori cambiano d’ intensità a seconda della luce. Quando sono attivi di giorno il loro colore è più scuro rispetto a quando sono attivi di notte. Gli esemplari adulti possono misurare fino a 15 cm di lunghezza, coda compresa.”
Sono arrivati in paese, anche se qualcuno mi dice che c’erano sempre stati. Qualcuno – mi dice un paesano – li ammazza: io rabbrividisco per animalismo, ma anche per superstizione. I gechi sono un emblema del mediterraneo, si nutrono di tutti gli insetti molesti, in modo naturale, sono animalini benefici, tuttavia c’è chi li teme, o prova ribrezzo. (Io riservo il mio ribrezzo a chi sopraffà gli inermi, o a chi pensa ad altri esseri come a ‘qualcosa’ di cui si possa disporre a proprio piacimento.).
Dovevano piacere parecchio all’artigiano che ha decorato una parte dell’Istituto Suor Orsola Benincasa, a Napoli, dove miriadi di gechi s’inseguono, formando uno zoccolo che corre verso uno degli ingressi; una cavalcata suggestiva che accompagna il visitatore. Forse sapeva che al geco si attribuiscono poteri apotropaici, forse se ne era accorto, forse l’idea di decorare con gechi che si inseguono, formando un’affascinante decorazione, gli era valsa il lavoro. Chissà … A me piacciono comunque, sanno d’estate e sono legati a ricordi di mare e salsedine; so che sono utilissimi e credo che portino fortuna (se non altro perché ti liberano dai pizzichi di zanzara).
Piacciono pure alla mia nipotina che sgrana gli occhi estasiata e chiede il permesso di toccare il nostro geco privato che ha adocchiato in basso sulla parete bianca. Le raccomando di fare piano, con un solo dito e non schiacciare: esegue e si entusiasma. La consistenza del corpicino, il gioco delle ventose delle zampe, che si allargano sul muro per acquisire una migliore presa, l’incurvarsi decorativo della coda, le fanno sgranare gli occhi e chiede ancora; ci riprova e la esorto a fare pianissimo, a non turbare la siesta di questa bestiola. Resta in ammirazione, è muta dalla meraviglia, poi lo chiama, piano. Per lei ora il geco è il re del paese, la corona è la campagna tutt’intorno che ha scoperto da una via che sbuca verso l’Amiata (“ooh bello!”, mi sussurra sottovoce) e l’inno è suonato dalle campane che battono sonoramente le ore sulla piazza deserta.
Una sera con Furore
A cosa serve leggere libri – in particolare i romanzi -? Mi rispondevo mentalmente da sola lo scorso giovedì sera, mentre mi tornava in mente la trama di “Furore”, (ovvero The grapes of Wrath, tradotto impropriamente come ‘grappoli di odio’) …Mi rispondevo mentalmente, ricordando la situazione da cui prende le mosse il romanzo di Steinbeck e accostandola all’assemblea gremita – ma tranquilla (tranquilla, ma non supina) – a cui stavo partecipando, e riflettevo sugli eterogenei interessi che riguardavano sia i partecipanti presenti, sia i molti soggetti coinvolti assenti. Che cosa c’entra la lettura di libri con le centrali geotemiche che la regione prevede di installare tra Amiata e Montalcino?
E a che serve leggere i romanzi? A capire meglio e a vivere come proprie le esperienze degli altri; o a riconoscere le situazioni e le loro dinamiche, anche quando sono meno palesi, forse . Chi ha l’abitudine all’informazione non sempre utilizza quella che gli viene dai romanzi che ha letto. Questi solo apparentemente ci rappresentano una finzione; perché chi scrive romanzi ci mette sempre un pezzetto della propria storia o di quelle che ha visto accadergli intorno. Perché le storie degli uomini si inseguono, sospinte da pulsioni identiche, e a saper distinguere ci sono anche i buoni e i cattivi. L’altra sera proprio Furore mi tornava alla memoria, una lettura giovanile che mi aveva turbato nel profondo; mi aveva angosciata l’idea di quelle famiglie spossessate, costrette a lasciare una vita e andare via senza speranza e senza futuro.
Di certo il contesto in cui mi trovavo non aveva le tinte drammatiche di quel romanzo (che peraltro non è pura fantasia, bensì una storia che ci riporta ai tempi della grande crisi negli Stati Uniti); ma continuava a farmelo tornare in mente e dati i tempi che stiamo attraversando mi sono chiesta se qualcosa lì sospeso a mezz’aria, o dietro agli occhi attenti di quelli che ascoltavano senza un mormorio o un gesto di polemica, mi aveva suscitato il ricordo di quel libro così lontano.
Non rileggerò subito Furore, ma lo cerco e me lo tengo a portata di mano. E’ una lettura scomoda e pesante, fatta di questi tempi, ma è persino un libro con un lieto fine, anche se non per tutti i protagonisti della storia. E sono convinta che rileggere quel libro – corposo e apparentemente inattuale – aumenterà la mia capacità di capire.