Elio e un’altra storia

D’estate si ha l’impressione di essere in vetrina, insieme alle case vecchie (e ben tenute), ai tramonti, alle vigne che ce la stanno mettendo tutta. La cosa che mi piace di più dell’estate è il rumore dei trattori al lavoro: chiudi gli occhi e puoi vedere la luce, l’ocra intenso della terra, la polvere che si posa dovunque, solo ascoltando il ronzio insistente di questi bestioni.
D’estate ci sono i turisti, molto spesso per vino. E non tutti i turisti mi piacciono: troppi guardano e non vedono o vedono le cose meno significanti. Ma qualche turista che si siede sulla scala della chiesa (con lo sguardo perso nel vuoto che ogni tanto mette a fuoco una pietra) lascia intendere di essere in pausa, magari da una vita piena di ansia. Chi viene ‘da fuori’ può immaginare che queste belle colline siano un rifugio ideale: non è proprio così, ma gli effetti di un bel paesaggio sull’umore di una persona sono scientificamente provati.

D’estate c’è anche una grande offerta di musica – d’ogni genere – mi verrebbe da dire fin troppa, ma in realtà questo è molto piacevole. Così domenica sera – serata conclusiva di Jazz & Wine (un appuntamento consolidato con bella musica, grandi artisti e il clima valdostano sovente esibito da Montalcino nelle serate estive) è venuto Elio, senza le Storie, ma con un pianista straordinario.
Elio – che conosco da tempo come nipote del mio ‘assistente storico’ – si è anche manifestato lunedì mattina al bivio con Sant’Angelo per un appuntamento con le gemelle (riconosciute la sera prima). Ecco, Elio – e lo sguardo che girava intorno, mentre panoramicava sui poderi lì intorno, sul Colle che spuntava dietro i cipressi, sugli alberi e sulla valle nitida di fronte a noi – ieri mattina era il contrario di un lepido turista alla ricerca di chissà che. Guardando la campagna ha chiesto, constatando, “anche tu ti sei trasferita qui” e senza darmi tempo di distinguere, in una risposta ben argomentata, la rava dalla fava, ha decretato rapido: “Ottima Scelta” (con l’aria di dirlo con “O” e “S” maiuscole).
Mi faceva riflettere, l’incontro con quest’uomo intelligente, che guarda aldilà della superficie delle cose: quante storie, quante menate ci facciamo, vivendo in un paradiso non ancora privatizzato.

Sogni (propri) e affari (degli altri)

Avrei dovuto intuirlo da uno dei primi episodi – vissuto in prima persona – capitati dopo il mio trasferimento tra le verdi colline e la grande montagna, in mezzo a un mare di vigne.
Correva il mese (e il giorno esatto) in cui mi fu accreditata la prima mensilità della pensione di vecchiaia, guadagnata in quasi quarant’anni di lavoro; col senno di poi avrei dovuto chiedere che mi fosse accreditata sul mio ‘conto di città’, ma mi era sembrato più agile averla lì nello sportello rassicurante del villaggio (come se tutto ciò non fosse poi una manfrina). Forse averla lì – la pensione – mi faceva sentire meno pensionata e più vacanziera (Tremonti, già in politica, ancora scriveva sul Corsera).
Era quasi mezzogiorno ed era aprile – che come ormai sanno tutti ‘è il più crudele dei mesi’ – e io attraversavo la piccola piazza del villaggio abbastanza pensierosa per la mia nuova condizione (di pensionata) che pareva negarmi la capacità di intraprendere (chissà poi perché, ma agli stati d’animo si comanda poco). Tuttavia sentivo che stavo raccogliendo i frutti di tanti anni di lavoro – interessante, anche divertente, ma non privo di aspetti sconvolgenti – e forse ero arrivata al momento di fare un bilancio della mia vita.
Il bilancio, invece, fu eseguito con azione tosca e fulminea da una signora vecchiotta e intraprendente, una paesana sempre ben stirata e comandina, che attraversava la piazza in quello stesso istante e che, incrociandomi, si espresse così: “ Oh te, ‘un morirai mi’a di fame con hodesta pensione he ti ritrovi!?…”.
Oplà. Primo ribaltamento di fotogramma; prima volta in cui m’è capitato di trangugiare a vuoto, come se gli anni di allenamento in azienda – trascorsi col kriss malese tenuto saldo tra i denti – li avessi passati a coglier margheritine. Prima volta in cui la ‘filiera’ mi si manifestava nella sua immanenza.
Perciò non mi stupisco più se un signore vende un’azienda a un altro signore e un bel po’ di gente (tra cui certamente la signora vecchiotta di cui sopra!) è al corrente non solo dell’importo esatto del corrispettivo – utile da sapere anche per capire gli andamenti di un certo mercato (o forse la reputazione del signore in questione e quella del prodotto aziendale) – ma anche della situazione debitoria (al centesimo) dell’azienda venduta, delle condizioni di pagamento particolari inclusi.
In campagna si coltivano i sogni. Sugli affari degli altri.

Il Pensiero Irregolare

In campagna i pensieri girano liberi e indisturbati, ti saltano fuori dalle rughe della fronte e cominciano ad aggirarsi, prima nei vicoli del paese e poi nei viottoli di campagna, per finire nei rovi (dove cominciano a far mostra le more) o accasciati per il caldo sotto un cipresso, o un leccio.
Il Pulcino – indimenticabile piccolo uomo tutto fare, che ha piantato e smacchiato intorno al podere – diceva che l’ombra ideale è quella del leccio, ma guai a quella del noce, che è sottilmente tossica (lui non diceva così, ma il senso è quello).
I pensieri non cozzano contro muri o sbarramenti creati da flussi di pensieri regolamentati: di sinistra, di destra, qualunquisti, liberal, reazionari, e così via, al massimo si beccano una graffiata dai rovi.
In campagna è difficile pensarla “in un modo” o in quell’altro: se accade si entra a far parte di una fazione che pensa solo i propri interessi e allora hai finito di pensare.

Una Vigna come Antidoto

Non ho vigna né ho mai piantato una vigna, ma ho partecipato, da vicino, ai passaggi che occorrono per farlo e conosco, in prima persona, quel senso di esaltazione che ti coglie – quando pensi che niente potrà frapporsi tra te e il tuo disegno – al momento dello squadro o a una delle fasi preparatorie. C’è chi parte in quarta e chi – anche se non vede l’ora – medita a lungo ogni scelta, vuoi per ambizione (di avere il meglio vigneto possibile) o per abitudine a decidere con una strategia in mente.
E quest’ultimo è il caso di Chris – un entusiasta meditante – una persona davvero singolare tra quelle che incontro da queste parti. Chris avrà una vigna e ha un disegno in mente, qualcosa che si intravvede ma che condivide solo fino a un certo punto con gli altri. Oggi abbiamo pranzato insieme – io, lui e Stefano – bevendo dei vini naturali francesi e parlando animatamente di vino (di cui sono incompetente), della sua vigna e dei vini biodinamici (di cui siamo tutti e tre fan).
Sta aggregandosi un po’ di gente intorno a questa bio idea – non solo viticoltori , ma anche gente che di vino non sa nulla – non solo perché l’ecologia è un tema generalmente (e molto genericamente) tra i più sentiti, ma anche per via del ‘vento nuovo’ che agita i pensieri delle persone, man mano che si vanno scoperchiando tutte le brutture di politica e business.
Costruire una vigna (lo sapevate che ci vuole una vera e propria licenza edilizia? L’Italia è un paese complicato, e qualche volta ridicolo), ma anche solo l’idea che qualcuno lo faccia, è un bell’antidoto alle schifezze di cui ho letto oggi sui quotidiani.

Toscana Style

Esco di buonora e vado nel simulacro di edicola che il luogo in cui abito mi offre. È giovedì e sulla sparuta rastrelliera trovo (anche) il Corriere (hanno da tempo smesso di chiedermi “quale?”). Di giovedì diventa obbligatorio, perché c’è la striscia di Disegni, per me impagabile.
Avviluppato strettamente con il Sette questa volta c’è un supplemento del supplemento e mi chiedo se – come al solito – sarà stato distribuito solo in Toscana o l’avranno mandato anche, allo sbaraglio, in giro per l’Italia, tra quelli che (magari) potrebbero scegliere di venire in Toscana e farci una vacanza. Perché il titolo del dorso è Toscana Style e sospetto che sia inserito solo nelle copie distribuite in Toscana; infatti la perseveranza con cui ho visto scegliere di fare la pubblicità dei propri luoghi e dei propri prodotti unicamente a sé stessi è una caratteristica regionale, però questa volta il “supplemento del supplemento” in oggetto è talmente demotivante che – abbinato al Sette del Corsera – anche solo in Toscana, potrebbe riuscire a far fare le vacanze altrove anche ai più sciovinisti.
Toscana Style fa il verso ai magazine patinati, ma in chiave autolesionista: dall’immagine di copertina color incendio, con un cielo di un colore che ai milanesi parrebbe consueto (rosa grigio spento) in un’afosa giornata di luglio, lo sfogli ed è un’antologia di errori marchiani. Cominciando dall’impaginazione – che pare si sforzi di far apparire anche le pagine redazionali come se fossero pubblicitarie – e continuando con le titolazioni “ottocento anni e non sentirli”, e con le immagini che ad esse sottostanno, come la bella fanciulla in armatura che vende il soggiorno in un “antico borgo completamente ristrutturato e trasformato in un complesso turistico, (cioè in tutt’altra cosa) ..”; è tutta un’accozzaglia di titoli burocratici o di slogan orecchiati nel modo più sconcertante; sembra la satira della pubblicità.
Non manca, nella carrellata di immagini che non danno tregua lungo le sessantasei pagine (in cui si umilia anche il nobilissimo carattere Bodoni) una delle festevoli donne della mitica campagna “voglio vivere così”. Insomma, una confusione senza senso, che smentisce la Toscana della sobrietà, della semplicità elegante, dei paesaggi da meditare, che è completamente ignorata (per fortuna). Quella si conosce col passaparola, o la si scopre andando a naso e fidando nell’istinto e quando la si incontra, ci si ritorna.

Montalcino nel Bicchiere

Mi interessa annotare velocemente qui, il titolo di queste poche righe, che potrebbe diventare anche quello di una politica o di una serie di appuntamenti dedicati a far conoscere a una ‘base’ di consumatori, che hanno sentito parlare di Montalcino, del Brunello, e che non sanno non conoscono, non hanno mai assaggiato. Un pubblico di clienti in divenire, magari non proprio il pubblico perfetto per un Brunello perfetto. Ma un pubblico adatto ai tanti vini – tutti molto buoni – non conosciutissimi magari, ma tutti vini che quando li bevi … ti ritrovi Montalcino nel Bicchiere. Una cosa allegra, da organizzare con attenzione, senza cedere alla faciloneria….

A Scuola da due Panzanelle

Mentre il solco tra l’immaginario del turista  e ciò che ci si attende da lui rischia di diventare ogni giorno più profondo, può succedere – anche di questi tempi – di incappare in piccoli miracoli, che ti riportano al tuo, di immaginario, e ai giorni giovani dei primi viaggi in Toscana, così fertili di sorprendenti meraviglie.

Prima meraviglia fra tutte, a quei tempi, la semplicità. Qualcosa che oggi mi pare un po’ dimenticato, che era invece l’ingrediente principale dei viaggi primigeni, emergendo persino dalle fotografie che riportavano a casa (magari Milano), l’idea che lì in Toscana la vita fosse  più serena e più ‘vera’, più gentile e più esteticamente accettabile; altrimenti perché farsi tutte quelle centinaia di chilometri in auto?

Io credo che, se chi amministra, chi produce, chi vende, chi ospita viaggiatori e turisti (insomma chi tratta il marchio “Toscana”) e anche chi fa i famosi vini, non si libera dal folklore (pieno di panzane) per recuperare lo stile d’antan – che altro non era se non il frutto di una vita più semplice ma assai armoniosa e un uso virtuoso e colto delle risorse disponibili –, l’economia fiorita sull’idea della Toscana Felix, si scontrerà con la disillusione che ogni tanto ho sentito nei commenti degli ospiti di questa terra; e non ci sarà campagna pubblicitaria che tenga, né promozioni più o meno articolate a far barriera. La disillusione chiede pedaggi assai alti e complicati da scontare.

Ma tornando alle sorprendenti meraviglie di cui sopra e alla speranza che esse mi suscitano (ma gli altri sono ciechi?), eccole qua. In sé non avrebbero niente di eclatante; si tratta di panzanelle, per la precisione due: una mangiata allo Scalo, all’Osteria di Pino e Daniela, l’altra al Colle, al Leccio di Gianfranco (e l’autore è il figlio Luca).

Per i non esperti dei luoghi, Scalo e Colle sono le due declinazioni di Sant’Angelo – frazione di Montalcino –, praticamente un ossimoro, come usa dire, ma in questo caso lo è davvero, perché è difficile trovare due luoghi più diversi – l’uno dall’altro – di questi.

Non vi darò la ricetta delle due panzanelle, anch’esse molto differenti, ma ne cito solo l’ingrediente principale: “il dono di raccontare”. Invece voglio parlare dei due locali e dei loro clienti e di come può accadere che da due visioni diametralmente opposte, si possa arrivare alla stessa clientela – non identica, si badi – qualche volta (ma non sempre) con diversa capacità di spesa, ma sempre con la stessa identica idea nella testa: regalarsi un’esperienza.

Mi è accaduto di pranzare ieri allo Scalo, con una frugale panzanella, tra l’editor di Chomsky, autisti di corrieri, impiegati, due giovani produttori di Brunello, alcuni operai della provincia, due importatori anglosassoni. C’era anche  un gruppo di cinesi di Hong Kong – giunti in processione, sotto un sole implacabile, protetti da variopinti ombrelli parasole – che hanno assaggiato ogni pietanza (tutte diverse una dall’altra) commentandole vivacemente.

Poi ho cenato ieri sera al Colle, tra i titolari di due grandi produttori di Brunello, l’ordinario di storia del cinema (UNIGE) e la moglie originaria di Montalcino, una tavolata di americani che annuivano con entusiasmo ad ogni portata, un’altra comitiva di anglosassoni, con cinque bambini, elegantissimi e molto sciolti, e mi è tornata voglia di panzanella. E l’ho ordinata: ancora più frugale e diversissima.

Bisognerebbe che molti andassero a scuola da queste due panzanelle, per un indispensabile ripasso di turismo.