Visita e azione

visitorvisitazione
[vi-ʃi-ta-zió-ne]
s.f. (pl. -ni)

Lieve, giustamente lieve, mi viene a salutare una farfalla, una perfetta sconosciuta che si posa sulla camicia lasciata appesa a un grosso ramo, mentre girellavo tra macchia e mare. Prima era una camicia bianca, dopo questa visita ho guardato con attenzione il materiale di cui è fatta; mi è sembrato pregevole e degno di attenzione. Testimonial la lieve farfalla. Con funzioni di “attention getter

Oggi arriva nel paese in cui sono venuta ad abitare una troupe di Fox tv, che girerà qui, a Sant’Angelo in Colle, un episodio della serie #grandmasboy – storie di un giovane cuoco, enfant prodige della cucina, realmente appassionato (cucina dall’età di sei anni!), che visita paesini alla ricerca delle nonne italiane e della loro saggezza (in inglese, però) – vita, storie, ambienti, natura, paesaggi, prodotti, abitudini, peculiarità.

Donal Skehan è il suo nome e si poserà, lieve e brillante, e affettuoso – tra vigne e olivete (per tacer del bosco!) – come la farfalla sulla mia camicia di lino. La serie di cui è interprete sarà in onda praticamente in tutto il mondo. Un mondo un po’ più in pace con sé stesso, mi auguro.

 

 

 

 

 

La Forestale mi raggiunge nella Giungla

Sono in quattro, sono gentili, sono efficienti: è il Corpo Forestale dello stato che giunge a casa mia – pure sede di una mia microscopica (ma – presumo a posteriori – sempre più significativa) attività. E’ la Forestale, che fa i richiesti controlli – per conto del Ministero o di altri – nell’ambito ” delle politiche di tutela del Made in Italy“.
Ci tengono, e me lo sottolineano più volte. Sono i Servitori (“s” maiuscola in segno di rispetto) di uno stato che si occupa piuttosto del contorno ( chi ha detto cosa di chi e che cosa ciò può significare per la democrazia) anziché della sostanza, ovvero di che cosa bisogna fare per dare una mano ai cittadini.
Dunque arriva la Forestale, in quel di Sant’Angelo in Colle e mi fa domande per niente imbarazzanti, anzi! Osserva, controlla, chiarisce, risponde evitando abilmente tutto ciò che non è pertinente.
Tutto fila ‘liscio’ come dev’essere, finché il Maresciallo estrae i moduli per il verbale e infila tra due moduli un foglio di carta carbone, “per la copia”.
E’ un salto nel passato del nostro paese – in quello fotografato da Richard Avedon negli anni cinquanta, e pubblicato in Observations (Simon & Schuster, 1958) -.
“Dov’è il tablet, Maresciallo?” gli chiedo senza voler essere insolente (anzi sono accorata); la risposta, amici miei, è nel sorriso dignitoso del suddetto, che si autocensura.
Stamattina telefono a Radiotre e approccio la segreteria raccontando che, mentre tutta l’Italia sta discettando (fino al nostro sfinimento) di Berlusconi – evasore e vittima del giustizialismo – la Guardia Forestale se ne va in giro scrivendo verbali con il supporto tecnico della carta carbone.
“Non capisco che cosa lei voglia dire con ciò”, mi soffia rispondendo la signora di Radiotre. Capisco, solo in questo preciso istante che il paese è davvero senza speranza e che se fossimo nella giungla tutto sarebbe più facile. E penso con ammirazione al Corpo Forestale che fa il proprio lavoro con gli sfridi di qualcosa che è stato.

Il Messaggio dell’Architetto (di conoscenza e d’amore)

L’architetto è molto. E’ molto tante cose: molto alto, molto vecchio, molto elegante, molto creativo, molto avanti col pensiero, molto intelligente – di quell’intelligenza che avevo già incontrato in personalità speciali, come Bruno Munari, ad esempio, un modo di essere e di agire che si accompagna sempre all’ironia e alla semplicità.

E, l’architetto, ama, e muove il suo pensiero sul filo dell’amore, filo con cui cuce progetti, che traduce in opere che raccontano il suo sentimento per il luogo, con l’aiuto di una manualità sorprendente; quasi che oltre ad essere quel progettista visionario che è, fosse anche la reincarnazione di un homo faber, un artigiano sapiente.

L’architetto ama perché conosce (e ri-conosce perché ama), e questo dàDSCN6073i colori dell'architettolezione d'amore e conoscenza frutti particolari. Ecco allora che la conoscenza profonda di Sant’Angelo in Colle – dove regnò Re Liutprando e dove ora sta il trono di Re Brunello -ha prodotto un’operina straordinaria, che prossimamente sarà presentata ai cittadini, e fatta conoscere anche (soprattutto!) agli architetti a cui parlerà del senso dell’architettura in un paesaggio potente e delicato come questo.

Il Fico magico del Ricci

DSCN5684DSCN5913DSCN5916DSCN5129è maggio, evidentemente

A che serve la vigna? Potrebbe essere una domanda retorica, con risposta servita al ristorante, magari a lume di candela, con tanto di fritto misto di verdure e pollo e il bicchiere in cui traluce il buon vino, e gli amici e il tramonto e tutto il resto. Giusto. Ma a me la vigna – questa del Ricci – racconta una storia ben più ricca di un “semplice” bicchiere di vino. Io la vigna la colgo alle spalle dii mattina, indifferente al clima e alla stagione, quando si sveglia. E insieme a lei ecco i profumi e i piccoli abitatori dell’erba e del bosco adiacente. E’ un’imboscata amica. Colta così, camminandole accanto e dentro, come a un essere che è un tutt’uno: un organismo unico; migliaia di pampini e di foglie e di nascenti grappoli e di tronchi, che sospirano all’unisono, stiracchiandosi, grondando e luccicando, scaldandosi al sole, sventolandosi nella tramontanella; mi dicono, manifestano umori, raccontano piacevoli (o qualche volta, drammatiche) storie del tempo: quello che scende dal cielo e quello che trascorre, di stagione in stagione.

C’è l’erba, tutt’altro che prona, guizzante sotto i miei passi, gli insetti al lavoro come operai alla catena di montaggio, ci sono le siepi di more, fiorite e intrecciate alle rose selvatiche. Ogni passo un profumo diverso che si intensifica, con l’inoltrarsi nell’estate. C’è il grande fico, abitato dalle poiane, che agita piano le foglie che somigliano a stracci sventolanti a spartiti girati velocemente. Il fico mi guarda passare, mentre le due poiane che lo abitano si alzano in volo per posarsi un po’ più in là, si china un po’ e scuote la chioma; posso immaginare le sue storie, racconti di campagna, appuntamenti, lavoro, l’eco della strada al di là della vigna su cui torreggia, richiami, suoni, echi di voci. Di ritorno in paese, profumo di caffè e di qualche pentola messa presto sul fuoco.

maggio 2012non solo ma anche!DSCN5918

La bellezza non basta mai

DSCN5758Arrivano quassù dopo una gran pedalata nel paesaggio, oppure – più banalmente – in auto; talvolta a piedi; mi aspetto che, prima o poi, giungano a cavallo in minuscole carovane. La meta è nel viaggio, è poter dire “son salito lassù”, un caffè è l’esile premio di una scelta non banale. Oppure – ben più sontuoso – un bicchiere di vino, ma da gustare a piedi nudi (le signore) affacciati sul paesaggio che chiama – anche se sei seduto in uno dei due allegri ed eleganti ristoranti che accolgono il viandante (meglio se acchittato shabby chic); il paesaggio che ti costringe ad alzarti e non limitare la visita e la vista alle bontà che il luogo offre.

Attenzione! Il buono c’è perché c’è tanta bellezza qui intorno; e non tutti hanno capito fino in fondo che la bellezza è indispensabile: all’umore, alla salute dell’anima e pure a quella del corpo. Si sale quassù per nutrirsi di bellezza e va da sé che poi ci si sieda per chiudere il cerchio, tra bellezza e bontà. “Credimi”, mi dice l’ospite gentile e attento “giro molto per luoghi non banali, ma qui c’è davvero qualcosa di speciale”.DSCN5764Se lo capissero tutti – penso, mentre lui parla e prende appunti con il tablet – sarebbe un miracolo, anzi un terno al lotto. Ma sull’idea che siano margaritas ante porcos, mi bevo un caffè e guardo il paesaggio: la bellezza non basta mai, se poi è anche così buona e generosa, figuriamoci!

 

Saluto natalizio dal paese del paesaggio, al tramonto (tra mare e Monti)

Prima abbiamo avuto uno che ci ha dichiarato che con la cultura non si mangia; ora abbiamo (avuto, per il momento) uno molto ambizioso che ci fa andare tutto di traverso: le sue dichiarazioni si potrebbero riassumere così –andrò dove c’è il voto – (e se mi va male lì, son sempre in tempo per il Quirinale) .
Tra un equilibrismo e l’altro dei partiti che tendono a farsi votare schermendosi da questo professore-banchiere-tecnico, non si sa a che voto votarsi, ma noi facciamo partire i nostri pensieri da questo paesaggio, che non si mangia, ma che dà da mangiare (benissimo) e da bere anche meglio: buon paesaggio a tutti!  Guardarlo è gratis, emoziona e fa pure bene alla salute.

 

Addio patatine sublimi

E carciofi fritti, e pollo in scottiglia, e tagliatelle col ragù, e funghetti sott’olio, e mantovana coi pinoli, addio per sempre. Anche se fratel Dominique ci ha tenuto a rimarcare che è un arrivederci, e l’ha fatto proprio sui gradini della chiesa, mentre eravamo lì ad attendere l’autrice di tanto bendiddio, a cui va aggiunta una minestra di piselli secchi che mi ha preparato qualche volta, quando già aveva dismesso i panni dell’ostessa, anzi della moglie di Buonanotte (cioè Oreno), di cui era vedova da qualche anno.
Poi mentre scendevo la strada dal paese verso il cimitero, in questa giornata di sole caldissimo, priva di promesse autunnali, mi è venuto incontro il ricordo della marcetta cantata dai miei figli bambini – “an-diamo-dao-reno-afa-re-il-pieno-andia-mo-da-ore-no-afar-il-pieno …” –, ogni volta che – in salvo per un week end a Sant’Angelo in Colle – si portava qualche amico a stralunarsi con un pranzetto della Giacoma.

Dieta Mediterranea

Sant’Angelo in Colle, 23 novembre 2011, 9:30 am. Un dio benevolo ha inventato la toscanità, ne ha fatto un mosaico e ha sistemato le tessere più succulente tra Montalcino e la terra maremmana. Gianfranco ha apparecchiato, poi Pino l’elettricista, Mario il ciclista, Jolie la californiana, Ferruccio Ricci, le gemelle di Fonterenza e Marcello di Collemattoni (il Brunello è proprio il suo) si sono seduti.

A Scuola da due Panzanelle

Mentre il solco tra l’immaginario del turista  e ciò che ci si attende da lui rischia di diventare ogni giorno più profondo, può succedere – anche di questi tempi – di incappare in piccoli miracoli, che ti riportano al tuo, di immaginario, e ai giorni giovani dei primi viaggi in Toscana, così fertili di sorprendenti meraviglie.

Prima meraviglia fra tutte, a quei tempi, la semplicità. Qualcosa che oggi mi pare un po’ dimenticato, che era invece l’ingrediente principale dei viaggi primigeni, emergendo persino dalle fotografie che riportavano a casa (magari Milano), l’idea che lì in Toscana la vita fosse  più serena e più ‘vera’, più gentile e più esteticamente accettabile; altrimenti perché farsi tutte quelle centinaia di chilometri in auto?

Io credo che, se chi amministra, chi produce, chi vende, chi ospita viaggiatori e turisti (insomma chi tratta il marchio “Toscana”) e anche chi fa i famosi vini, non si libera dal folklore (pieno di panzane) per recuperare lo stile d’antan – che altro non era se non il frutto di una vita più semplice ma assai armoniosa e un uso virtuoso e colto delle risorse disponibili –, l’economia fiorita sull’idea della Toscana Felix, si scontrerà con la disillusione che ogni tanto ho sentito nei commenti degli ospiti di questa terra; e non ci sarà campagna pubblicitaria che tenga, né promozioni più o meno articolate a far barriera. La disillusione chiede pedaggi assai alti e complicati da scontare.

Ma tornando alle sorprendenti meraviglie di cui sopra e alla speranza che esse mi suscitano (ma gli altri sono ciechi?), eccole qua. In sé non avrebbero niente di eclatante; si tratta di panzanelle, per la precisione due: una mangiata allo Scalo, all’Osteria di Pino e Daniela, l’altra al Colle, al Leccio di Gianfranco (e l’autore è il figlio Luca).

Per i non esperti dei luoghi, Scalo e Colle sono le due declinazioni di Sant’Angelo – frazione di Montalcino –, praticamente un ossimoro, come usa dire, ma in questo caso lo è davvero, perché è difficile trovare due luoghi più diversi – l’uno dall’altro – di questi.

Non vi darò la ricetta delle due panzanelle, anch’esse molto differenti, ma ne cito solo l’ingrediente principale: “il dono di raccontare”. Invece voglio parlare dei due locali e dei loro clienti e di come può accadere che da due visioni diametralmente opposte, si possa arrivare alla stessa clientela – non identica, si badi – qualche volta (ma non sempre) con diversa capacità di spesa, ma sempre con la stessa identica idea nella testa: regalarsi un’esperienza.

Mi è accaduto di pranzare ieri allo Scalo, con una frugale panzanella, tra l’editor di Chomsky, autisti di corrieri, impiegati, due giovani produttori di Brunello, alcuni operai della provincia, due importatori anglosassoni. C’era anche  un gruppo di cinesi di Hong Kong – giunti in processione, sotto un sole implacabile, protetti da variopinti ombrelli parasole – che hanno assaggiato ogni pietanza (tutte diverse una dall’altra) commentandole vivacemente.

Poi ho cenato ieri sera al Colle, tra i titolari di due grandi produttori di Brunello, l’ordinario di storia del cinema (UNIGE) e la moglie originaria di Montalcino, una tavolata di americani che annuivano con entusiasmo ad ogni portata, un’altra comitiva di anglosassoni, con cinque bambini, elegantissimi e molto sciolti, e mi è tornata voglia di panzanella. E l’ho ordinata: ancora più frugale e diversissima.

Bisognerebbe che molti andassero a scuola da queste due panzanelle, per un indispensabile ripasso di turismo.