Il Fico magico del Ricci

DSCN5684DSCN5913DSCN5916DSCN5129è maggio, evidentemente

A che serve la vigna? Potrebbe essere una domanda retorica, con risposta servita al ristorante, magari a lume di candela, con tanto di fritto misto di verdure e pollo e il bicchiere in cui traluce il buon vino, e gli amici e il tramonto e tutto il resto. Giusto. Ma a me la vigna – questa del Ricci – racconta una storia ben più ricca di un “semplice” bicchiere di vino. Io la vigna la colgo alle spalle dii mattina, indifferente al clima e alla stagione, quando si sveglia. E insieme a lei ecco i profumi e i piccoli abitatori dell’erba e del bosco adiacente. E’ un’imboscata amica. Colta così, camminandole accanto e dentro, come a un essere che è un tutt’uno: un organismo unico; migliaia di pampini e di foglie e di nascenti grappoli e di tronchi, che sospirano all’unisono, stiracchiandosi, grondando e luccicando, scaldandosi al sole, sventolandosi nella tramontanella; mi dicono, manifestano umori, raccontano piacevoli (o qualche volta, drammatiche) storie del tempo: quello che scende dal cielo e quello che trascorre, di stagione in stagione.

C’è l’erba, tutt’altro che prona, guizzante sotto i miei passi, gli insetti al lavoro come operai alla catena di montaggio, ci sono le siepi di more, fiorite e intrecciate alle rose selvatiche. Ogni passo un profumo diverso che si intensifica, con l’inoltrarsi nell’estate. C’è il grande fico, abitato dalle poiane, che agita piano le foglie che somigliano a stracci sventolanti a spartiti girati velocemente. Il fico mi guarda passare, mentre le due poiane che lo abitano si alzano in volo per posarsi un po’ più in là, si china un po’ e scuote la chioma; posso immaginare le sue storie, racconti di campagna, appuntamenti, lavoro, l’eco della strada al di là della vigna su cui torreggia, richiami, suoni, echi di voci. Di ritorno in paese, profumo di caffè e di qualche pentola messa presto sul fuoco.

maggio 2012non solo ma anche!DSCN5918

C’è Montalcino ctonia nei vini con l’anima

Micro e macro li puoi esplorare con grande godimento, a Montalcino; e li puoi bere in alcuni tra i grandi vini – grandi senza grandeur -, magari tutti diversi tra loro, ma tutti pervasi da passione e conoscenza. Conoscenza ricercata per passione, passione che si accende tramite la conoscenza.

Da laica non astemia, penso (e non sono sola a pensarlo) che quell’anima evocata a parole, che però non si limita alla parola, è una sorta di vibrazione (non serve esser “di cultura” per sentirla, o aver letto libri) che avvertono quelli che sono capaci di emozioni, che non hanno paura di sembrare ‘deboli’ o non sufficientemente machos (donne incluse!); quelli che non vanno dietro ai grandi marchi, (però qualche grande marchio può benissimo commuovere con un grande vino). Quelli che non hanno in mente, unicamente, di tirare a casa – costi quel che costi – unicamente, il fatturato.

E bisogna dire che essere ‘piccoli’ non basta, e nemmeno essere ‘autoctoni’ o ‘veri contadini’; non sono queste le condizioni necessarie e comunque non sarebberoDSCN5620 sufficienti. Mi è venuto in mente leggendo certe poesie della Bachmann, sull’Italia. L’ho capito leggendo e bevendo (anche oggi, con due amici affettuosi), qua e là, nella scelta che la terra di Montalcino offre a chi ha sensibilità e, o, interesse per la conoscenza e voglia di capirne la parte ctonia, quella che sfugge a chi rincorra (ancora?) solo gli aspetti più mondani e superficiali del piccolo miracolo di questa grande terra.

Non basta la parola, non basta un’etichetta – che sia dimessa o sontuosa – non basta raccontare una bella storia, non basta dirlo perché sia. Nei vostri vini vogliamo sentire, in silenzio, la passione e il morso. Leggere la Bachmann,  che ha vissuto, conosciuto e amato la parte più profonda, recondita e sotterranea della terra italiana. Leggere, bere, sentire, capire. Ogni sorso un piccolo miracolo che si racconta, in silenzio. Il fatturato è una conseguenza dell’amore.