A che serve la vigna? Potrebbe essere una domanda retorica, con risposta servita al ristorante, magari a lume di candela, con tanto di fritto misto di verdure e pollo e il bicchiere in cui traluce il buon vino, e gli amici e il tramonto e tutto il resto. Giusto. Ma a me la vigna – questa del Ricci – racconta una storia ben più ricca di un “semplice” bicchiere di vino. Io la vigna la colgo alle spalle dii mattina, indifferente al clima e alla stagione, quando si sveglia. E insieme a lei ecco i profumi e i piccoli abitatori dell’erba e del bosco adiacente. E’ un’imboscata amica. Colta così, camminandole accanto e dentro, come a un essere che è un tutt’uno: un organismo unico; migliaia di pampini e di foglie e di nascenti grappoli e di tronchi, che sospirano all’unisono, stiracchiandosi, grondando e luccicando, scaldandosi al sole, sventolandosi nella tramontanella; mi dicono, manifestano umori, raccontano piacevoli (o qualche volta, drammatiche) storie del tempo: quello che scende dal cielo e quello che trascorre, di stagione in stagione.
C’è l’erba, tutt’altro che prona, guizzante sotto i miei passi, gli insetti al lavoro come operai alla catena di montaggio, ci sono le siepi di more, fiorite e intrecciate alle rose selvatiche. Ogni passo un profumo diverso che si intensifica, con l’inoltrarsi nell’estate. C’è il grande fico, abitato dalle poiane, che agita piano le foglie che somigliano a stracci sventolanti a spartiti girati velocemente. Il fico mi guarda passare, mentre le due poiane che lo abitano si alzano in volo per posarsi un po’ più in là, si china un po’ e scuote la chioma; posso immaginare le sue storie, racconti di campagna, appuntamenti, lavoro, l’eco della strada al di là della vigna su cui torreggia, richiami, suoni, echi di voci. Di ritorno in paese, profumo di caffè e di qualche pentola messa presto sul fuoco.