Viva, viva il maiale: non quello che butta la carta e le cicche in terra – paragonato impropriamente al nobile e intelligente animale -; e nemmeno quelli che anche se c’è la raccolta differenziata – con dispendio di soldi ed energie pubblici – fanno finta di niente e continuano a buttare le vecchie scarpe nel cassonetto dell’umido …; ma nemmeno il riccone supermacchinato (e supergrasso) che siccome ha la targa straniera se ne frega dei limiti di velocità, tanto le multe non le paga e se proprio le dovrà pagare a lui gli fa un baffo. Ma non intendo nemmeno il maiale che si trova nella bottega del bravo Carlo Pieri – ma sotto forma di costolette e salsicce e salami e prosciutti – …
Intendo dire il maiale in quanto concetto (“del maiale non si butta niente”); perché sta tornando in voga, magari un po’ forzosamente, ma sapete com’è – una moda tira l’altra – … A Milano stanno rilanciando il concetto di “ripararazione”. Riparare, aggiustare, restaurare e magari pure rieditare, le cose vecchie – biciclette, mobili, giocattoli, vestiti (a proposito sto pensando di farmi risvoltare il mio bellissimo cappotto che da color prugna diventerà chocolatbleuclair – che è il colore del #tiriparoio -).
E allora ci sono i giapponesi che hanno inventato quel preziosissimo modo di ‘riparare’ con l’argento – kintsugi o kintsukuroi – qualsiasi ceramica o porcellana, ma c’è anche il riediting di mestieri vecchi come il ciabattino o il ‘ciclista’ inteso come il riparatore di biciclette; a Milano sono spuntate botteghe (eleganti!) in cui si rieditano i vecchi tailleurs o i cappotti e si stringono o allargano i vestiti. Ma con stile e garbo. Che sia la decrescita? Ma sarà poi felice? Questo è tutto da vedere e da immaginare (e da governare). In ogni caso: viva il maiale, animale prezioso, ma che da vivo è anche molto simpatico e intelligente.
Si fa presto a dire riparare, ma questo pregiudica fantasia, intuizione, capacità che l’usa e getta ha assopito e ha fatto perdere il punto di vista di quanto tempo della propria vita occorre usare per comprare un oggetto.
Nelle famiglie di solito ci sono arredi, ricami, porcellane, oggetti come i ferri da stiro fatti di ferro che andavano riempiti di brace che si tramandavano o che si donavano a chi era caro.
Ora non si tramanda neanche la conoscenza, l’esperienza del vissuto, l’arte della campagna svolta e vissuta con il cuore.
Il cemento e l’orrido che fanno tanta finta Toscana….. ieri in una ex stupenda casa colonica divenuta non si sa bene cosa è comparsa anche un insegna in ferro battuto con un galletto sopra un sasso.
Non si tramandano neanche i nomi dei luoghi, chi arriva ribattezza come vuole ciò che trova nominato da secoli…. strano essere assopiti anche su questo.
Non pregiudica niente, secondo me, ma certo implica sguardo e curiodsità e passione per ‘tenere bene’ le cose. Inoltre sta diventando una necessità, e allora tanto vale farlo in modo che i risultati siano piacevoli!