Leggermente

Mi piace questo avverbio; mi piace perché evoca la leggerezza (che io penso sempre nella sua accezione di levità e non di superficialità, come potrebbe anche essere intesa). Mi piace anche perché evoca la lettura – legger – e la mente, cioè un’azione, e una parte di noi, che sono indispensabili l’una all’altra.

Mi è venuto in mente (l’avverbio) leggendo (!) la Lettura (!!!) dorso domenicale a cui sono affezionata e che spesso preferisco al classico ‘domenicale’ del Sole 24 Ore. Perché a pagina 17 de La Lettura del Corsera, oggi, c’è il mio buon amico Giuliano Vigini che – come di consueto – dà i numeri, ovvero i numeri legati al mondo dei libri, che questa settimana, a suo giudizio, sono più significativi.

Non sto a riportarveli qui – se proprio volete conoscerli nella loro completezza, li trovate di certo sul sito del Corriere della Sera – perché quello che mi ha avvilito (una volta di più) è quello che essi raccontano: la cronaca di una nazione che non legge. Non legge i libri e legge sempre meno i quotidiani (solo il 47,1% un quotidiano una volta alla settimana; solo il 41,4% “un” libro nel tempo libero, in un anno).

Dato che sono una che legge – dall’età di cinque anni, quando mia madre mi regalò il mio primo libro – e che libri e giornali, ma soprattutto i libri, sono davvero per me all’origine della mia giornata, da sempre, mi domando quanto la mia mente possa essere diversa (o muoversi diversamente nei pensieri del mondo) rispetto a quella di un “Absolute non Reader”. Vivendo in un luogo dove la gente è poca (ma non distratta) e forzatamente ci sono ancora meno lettori, non riesco a risolvere il quesito. Tuttavia mi capita quasi tutti i giorni di recarmi al bar edicola (minimalista) e di incontrarvi gente (uomini perlopiù, come in un paese regredito, o mai sviluppato, in cui le donne è bene che stiano al loro posto: in casa) che si beve il caffè con cui inizia la giornata.

La scena è sempre pressoché identica: un paio di persone che non lavorano, o che si sono prese una piccola licenza dal posto di lavoro, che stanno sedute a due diversi tavolini, con innanzi a sé una tazza con cappuccino e stanno sfogliando un quotidiano (di solito la Gazzetta dello Sport), poi c’è qualcuno in piedi che beve il caffè e talvolta mangia una brioche. Ogni tanto, nel bar entra un uomo e acquista un quotidiano: raramente mi è successo di notare un uomo giovane, di solito sono delle tartarughe come chi scrive.

Lo sconsolatezza che mi coglie quando ripenso a questa scenografia è strettamente legata a due pensieri. 1- Come faranno le persone a farsi una propria opinione – non a proposito dei massimi sistemi, no! – circa quello che succede, a proposito dei problemi quotidiani, il governo, la società, i fatti di cronaca e di interesse sociale, cioè comune a tutti? 2 – Come faccio a sintonizzarmi con persone che hanno un retroterra così diverso dal mio?

Per mia indole non penso di dovermi uniformare ai punti di attenzione dei non lettori; mi accorgo sovente però che sono molto più ‘saputi’ di me rispetto a quasi tutto, politica inclusa e spesso al primo posto. Ma sono informati in modo diverso, più efficientemente ma in modo più uniforme. E’ la tv che genera il tv pensiero; un pensiero con il culo sulla sedia, che ti sale per le cosce e ti giunge rapidamente alla nuca. Lì pare che ci sia un dispositivo che lo accoglie in modo acritico, tepidamente e il pensiero diventa opinione come un cuscino su cui appoggiare il capo, e poi dormire tranquilli.

Perciò i numeri del mio amico Vigini difficilmente potranno migliorare, in futuro, perché un pensiero che ti aiuta ad assopirti, non può indurti a girare le pagine di un libro, o di un giornale. Una ginnastica molto, troppo, impegnativa, per le braccia.

Appuntamento con il Tempo

Ho spento la televisione, non ricordo più nemmeno quanti anni fa. Mi ero accorta che interferiva in modo determinante con la mia capacità di attenzione, disperdeva le mie energie, mi impediva di concentrarmi e riempiva i miei silenzi interiori con un mucchio di rumori senza senso.

Ho bisogno di essere informata, per sopravvivere e mi sono resa conto che guardando la televisione era come spalmare il mondo e i suoi sommovimenti con una spessa marmellata di prugne, scura e appiccicosa. Mi sono resa conto che il rumore emesso dalle reti tv era sempre più forte: potevano essere scene di sesso, violenza, suoni o dialoghi che avvenivano con il solo scopo di stupirmi, di farmi sobbalzare, di tenermi inchiodata a quel canale; è l’Auditel, bellezza, mi dicevo (e lo sapevo) perché l’Auditel era stato il mio profeta, per decidere dove andare a vendere la mia mercanzia, cioè a mettere la mia pubblicità.

Ma quelli erano tempi diversi – bei tempi! – quando cercavamo di convincere gli utenti pubblicitari a fare uno ‘spot’ intelligente; di intelligente allora c’erano le vacanze dell’Espresso (era lo stesso tempo). Ora, per rapire la mia attenzione, anzi la vostra, e impedirvi di cambiare canale, chi governa la televisione fa di tutto, fuorché informarci di quello che succede nel mondo e darci quindi gli elementi per capirne cause e decidere quali potrebbero essere le soluzioni. Perciò io la tv l’ho buttata nell’apposita discarica, tanti anni fa.

Però ogni tanto do una sbirciatina alla pubblicità, anche se troppo spesso quello che va in onda adesso è banale e deludente. Perciò non vedo il barcone che si rovescia, in diretta, la gente che muore, i campi profughi, i parlamentari in tailleur che dicono cazzate, il Papa che benedice (spesso nella stessa piazza San Pietro), il senato della Repubblica in subbuglio, i cortei e le partite di calcio; non vedo più i salotti televisivi (da secoli) con i maleducati che si danno sulla voce. Anche questi ultimi obbediscono alle esigenze dell’Auditel: fare fracasso, nessuna discussione pacata e chiara, bisogna generare inquietudine per alimentare l’instabilità e l’audience.

Ma allora come faccio per informarmi? Leggiucchio qua e là, scegliendo a istinto quasi a tentoni tra i miliardi di parole scritte, evitando gli strilli e girando alla larga dalle immagini: Le immagini mi piacciono – le foto, i disegni, i fumetti, la grafica – ma preferisco costruirmi un mio library personale, fatto da me. Internet è un’opportunità, ma cerco di evitare le sollecitazioni che cercano di muovere gli istinti e le reazioni di livello più basso, tutto ciò che lavora nella scia delle tecniche televisive. Poi penso, cioè metto in relazione gli elementi imparati spiluccando qualche quotidiano, la radio e osservando.

Nessuno vuole che si pensi; quelli che pensano sono pericolosi e sono dei potenziali sovversivi. In effetti è un po’ così; perché riuscire a capire perchè accadono certe cose, provare a immaginarne le cause che non appaiono, darsi delle spiegazioni, provare a cercarle in altri media o parlandone con qualcuno che potrebbe conoscere altri elementi, permette di non essere allineati a tutto quanto viene ammannito con il pastone televisivo quotidiano e di provare a ragionare con la propria testa. 

Questo è un tempo difficile, ma molto interessante; bisogna però dotarsi di strumenti per non farsi travolgere schiavizzati dal volere altrui. Prima di tutto penso che si debba salvaguardare il proprio silenzio interiore – uno spazio di riflessione indispensabile a ‘farsi una propria idea’ -, bisogna dotarsi di informazioni, imparando a ricostruirle e confrontarle; infine bisogna leggere e imparare il significato delle parole, e imparare a usarle per spiegare le proprie idee e per ascoltare meglio le idee degli altri. Per non perdere l’appuntamento con il tempo, la prima cosa da fare è spegnere la tv.

Si gira!

donal e le donnecollettivo ai pincicena a sant'Angelo

Tutto il paese in azione, per Grandmasboy, episodio numero 05 (da tenere a mente) ambientato a Sant’Angelo. Esibizioni culinarie multiple: Liliana, Alba, Enza, Giuliana hanno insegnato a Donal – giovane star d’Irlanda -, a Jacopo, a Francesca e a Claudia il comesifa di pinci e donzelline. Tutto per finta? No per davvero! Perché a Sant’Angelo si gira e poi si mangia.

Spaghetti, pollo, e il gusto di un Bongusto diverso

DSCN3090senza tronchetto che Natale èChi se lo ricorda Alfredo Bongusto detto Fred?! Con la sua Frida (t’aggio voluto bene), la rotonda sul mare, dove ho ballato anch’io (e patito una congestione epocale), ma soprattutto gli “spaghetti, pollo insalatina (e una tazzina di caffè)” di un’italietta che pensavamo di aver lasciato alle nostre spalle… e invece riemerge davanti e intorno a noi, senza la poesia di quegli anni, ma come una specie di immiserimento collettivo, che ha poco a che fare con i soldi e molto con la tv becera e regressiva, con la politica che chiede al popolo di essere sempre più bue, con un bel pezzo di paese sbocconcellato da casette e fabbrichette, condoni e sanatorie, incurante e incapace di capire che cos’è la bellezza e dove stia la bontà.

Anche ieri mi dicevano “ma com’è bello, ma com’è buono; com’è tutto affascinante, qui da voi; che bel paese l’Italia, da noi hanno distrutto tutto…” 

Ma non mi lascio incantare da questo bel paese che si accontenta di ciò che viene lasciato agli occhi e ai piaceri del gusto oppure dai buoni pensieri che la terra – che ancora profuma – sa suscitare. Perché accontentarsi di bellezza e bontà sufficienti, quando esse potrebbero essere smisurate?

DSCN1574DSCN0769DSCN1762DSCN5846DSCN0770DSCN1548DSCN5866DSCN5873divoro anche la salviail cappone di Carlo e la mia mayonnaiseDSCN6167pinci al pluraleDSCN1508