Buon Natale

DSCN7646Era un inverno ‘normale’, a Milano, con il freddo giusto, lo smog perfetto, e quella leggera nebbiolina che impediva ai passanti di scontornare nettamente lo skyline cittadino sullo sfondo di un cielo che faceva finta di non esserci. Per anni il Natale sarebbe stato così, con quei colori ‘non colore’ che poi avrei ritrovato nello stile di Armani e nel modo di vestire e di agire ante anni ’80 dei milanesi, quasi una divisa mentale a cui si ispiravano attività e settori diversi: un modo di pensarsi.

Un modo a cui non sfuggiva nemmeno il Natale, e nell’anno che mi ritorna in mente, anche quel Natale mi appare ‘normale’, un momento per dire all’altro che non è solo. Forse questa era l’intenzione di mia madre, che di solito seguiva rigidamente la regola del “Natale in famiglia”; quell’anno invece aveva voluto che invitassi a casa nostra Sanae Ando, una giovane designer giapponese, mia collega di lavoro nell’ufficio della Rinascente dove muovevo i primi passi in mezzo ad artisti e talenti di tutto il mondo.

Il Natale a casa mia era una festa a due – io e la mamma, con mio padre lontano in navigazione -, un pranzo con menu fisso preparato minuziosamente la sera della vigilia con l’accompagnamento della sinfonia dalla Cavalleria Rusticana che la Rai mandava in onda come sigla di uno speciale per raccontare agli italiani le celebrazioni di una festa molto sentita – si avvertivano ancora le tracce della guerra – e per niente consumista.

In quel giorno grigio milanese, Sanae giunse a casa mia in tram – in quegli anni per Natale il tram funzionava solo al mattino -, dopo aver indossato un kimono ricamato, con obi e calzature tradizionali. Girandomi a ricordare, mi viene da sorridere al pensiero degli sguardi di altri viaggiatori, in un tempo in cui sui tram si parlava in milanese e in Italia bastava incrociare una creatura con la pelle scura per stupirsi.

Il caldo intenso di questi giorni si attenua un po’ agitando il mio ventaglio e i suoi ricordi rinfrescanti, il dono di uno di quei natali che erano solo attesa di un pensiero affettuoso, puro e semplice, senza contropartite, senza recriminazioni. Il regalo di Sanae Ando è di carta robusta e si è conservato per oltre mezzo secolo, quasi sempre in primo piano tra cocci, scorie e cianfrusaglie, col suo pensiero fresco, il lusso del buon gusto, il suono dei ricordi.

Altro Tempo

 

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Leggevo ieri un articolo firmato da Massimo Fini che criticando il buio morale di questo periodo affermava la necessità di una ‘crisi vera’- quasi invocandola – per trovarsi di fronte a bisogni primari e attraverso l’urgenza delle necessità più elementari recuperare un senso del vivere e del vivere insieme, che sembra sempre più sfuggire, sfaldarsi e perdere i contorni. 

Ho rimesso al loro posto delle foto della mia infanzia, scattate da mio padre in tempo di guerra; girandole per sistemarle ho riletto le frasi di commento che papà scriveva puntualmente sul retro di ogni foto – ne ho moltissime e i commenti sono una specie di cronaca di quel tempo – e dietro questa foto, in cui evidentemente giocavo alla “piccola lavanderina” c’è scritto un pensiero, che mi veniva attribuito, debitamente virgolettato “posso usare il sapone? siamo in guerra e non se ne trova…”, seguito da una riflessione di mio padre preoccupato per la guerra, e che però un po’ si consolava pensando alla mia età. In quegli anni, mia nonna aveva la mia età di oggi – era forte, ma molto diversa da come sono io, anche fisicamente; era una donna minuta, terribilmente energica e grande lottatrice – e mi chiedo come reagirei io a una guerra o a una carestia, domani.

Il Corriere della Droga

DSCN5902Qui non siamo in Messico e i Narcos più o meno non si sa neppure chi siano. Qui anche le notizie arrivano un po’ smussate (col cappuccino, o il caffè, e la brioche). Ogni mattina, Luca ci porta la Nazione e la Gazzetta dello Sport che ci fanno sentire pienamente italiani: su la Nazione le notizie le devi leggere in filigrana, tanto riescono a essere banali; invece sulla “rosa” ci sono le notizie che contano, e che vengono lette (e commentate accuratamente) ogni giorno, con estrema attenzione. Sia mai che il campionato (mi scuso per la minuscola) fosse scosso da qualche inatteso brivido….

Meno male che c’è la televisione! Ce l’hanno tutti (no, io no, al massimo qualche streaming, ma molto raramente) e così si sentono ancora più pienamente italiani. Io me la faccio con qualche quotidiano, e con la rassegna stampa on line e finora anche con quella radiofonica. Ma da un po’ di tempo a questa parte penso con gratitudine a ‘maman’ che mi ha allevato nella sua lingua e comunque a entrambi i miei genitori che le lingue me le hanno fatte succhiare in luogo delle caramelle. Altrimenti proverei solo malessere per la banalizzazione che ci viene offerta dal giornalismo nazionale, apparentemente incurante dell’immenso macigno che sta sospeso sulle nostre teste.

Ma il villaggio non è abitato da ‘minus’: stamattina dal medico, in sala d’attesa, la gente era meditabonda. Ieri c’è stato il terremoto, lieve, ma l’epicentro era tra Montalcino e Buonconvento; non era per quello, però, che la gente era pensierosa. Una signora mi ha detto “mio marito pensa che presto ci sarà la guerra”. Guarda caso, recentemente l’ha detto pure Kissinger, che anche se non legge la Gazzetta dello Sport è uno ben informato. Ce ne fosse stato bisogno, avrei avuto la conferma delle doti degli abitanti: pure sensitivi e telepatici; magari fossero così lungimiranti i giornalisti (soprattutto quelli della Nazione)! Ma  lo sappiamo che la loro tastiera (la penna non usa più, da un pezzo) è strettamente vincolata agli interessi di editori (che da lungo tempo hanno interessi ben diversi da quelli dei cittadini).

Tutto sommato, non siamo in condizioni molto diverse dal resto dell’Italia, qui in campagna, anche se per andare a comprare un quotidiano (a parte i due di cui sopra) bisogna fare quattordici chilometri. Li faccio io – ogni giorno – e dato che non manca giorno che io vada “via”, da un po’ di tempo a questa parte mi faccio scrupolo di chiedere chi ha bisogno di medicine (la farmacia è accanto all’edicola, in qualsiasi direzione si vada); così qualcuno mi chiama, facendo lo spiritoso, “il corriere della droga”. I Narcos non c’entrano, e nemmeno la squadra narcotici, ma con questo nick name, gli abitanti svelano, ancora una volta, ironia e sensibilità. E pensare che quando il turista ignaro si arrampica quassù, dopo aver ammirato il paesaggio e il vecchissimo paese così ben tenuto, guarda con aperta benevolenza gli abitanti, pensando che essi vivano un po’ fuori dal mondo; invece qui non manca nulla. Oltre alla tv, c’è pure il “corriere della droga”!