Stavo seduta sotto un albero, ma era un robot

rscn1048Gli zombi grigi, paralizzati dalla voce abbaiante che proviene dall’enorme schermo che domina la sala in cui essi sono ordinatamente seduti, saranno salvati dalla giovane atleta in miniabito rosso fuoco. La fanciulla corre veloce tra le fila di esseri ipnotizzati, roteando il martello – i capelli biondi e lo sguardo determinato -; una corsa salvifica che termina con il lancio (da atleta olimpionica) del martello che frantuma lo schermo e ferma la voce che annichiliva gli uomini ipnotizzati e divenuti creature succube di un sistema di potere. Al frantumarsi dello schermo gli zombi, riscossi, tornano alla lucidità umana e sono liberati dall’ipnosi. Happy end.

Penso a quella storia, stamani, mentre ascolto l’operatrice del call center darmi una serie di informazioni preziose che mai sarei riuscita a conoscere se non avessi saltato il robot che, dopo la prima risposta, mi stava indirizzando in un ghirigoro senza fine, studiato per intrappolare l’utile idiota – colui che chiama – in una serie di proposte del genere “mangi questa minestra o salti dalla finestra”. Invece io sono riuscita a saltare nel ramo giusto “dell’albero di navigazione”, grazie a una soffiata e sono riuscita ad avere le preziose informazioni – magari proibite – che mi fruttano l’annullamento di un costo aggiuntivo di euro 0,49 alla settimana, al mio ‘profilo’ di utente (costo aggiunto  anche a milioni di altri abbonati a quel servizio).

La jungla disumana di cui il genio di Orwell aveva preconizzato l’avvento è costellata di sabbie mobili create dai gestori delle nostre utenze. Come in una fiaba delle più classiche – per esempio “La Regina delle nevi” (H.C. Andersen) – la quotidianità è disseminata da prove iniziatiche: gli orchi, le streghe cattive, gli incantesimi malefici, le selve impenetrabili, i roveti inestricabili, le ragnatele giganti, le buie caverne, i precipizi infiniti, i miracoli all’incontrario, gli inghiottitoi infernali, i pantani senza fondo, sono innumerevoli e in agguato in ogni ‘contratto’, in ogni ‘accordo’, in ogni ‘patto con il consumatore’ o con l’utente. Essi si manifestano come ‘conguagli’, ‘adeguamenti’, ‘servizi extra’; qualche volta arrivano persino travestiti da ‘premi’, talchè quando legge che ‘sarà premiato’ uno dovrebbe scappare a gambe levate.

Ogni utenza può trasformarsi in una fanciulla che reca un cesto di smaglianti mele rosse e appena allunghi la mano a coglierne una, la giovane si trasforma in una strega ghignante: le sue mani adunche e nodose cercano di ghermirti, ma non c’è un luogo in cui scappare. L’unico luogo tardivo in cui tentare un momentaneo rifugio è un libro. In questo caso “1984”, il libro di Orwell da cui è ispirato lo spot pubblicitario girato nel 1983 da Ridley Scott per Apple (lo spot si trova su youtube; il libro – per ora – in libreria). Così l’ho visto, nell’agosto 1983 in una sala conferenze dello Sheraton Hotel, durante il convegno di Advertising Age, con Steve Jobs quale presentatore straordinario del messaggio salvifico, metafora pubblicitaria del sistema Mac (friendly) che avrebbe sconfitto il nemico (e obsoleto) IBM. Balle.

Cari amici, quello spot pubblicitario di Apple andò in onda una volta sola sulle emittenti statunitensi, perché nessuno dei telespettatori aveva mai letto (e nemmeno mai sentito nominare) George Orwell. Perciò nessuno era in grado di decodificare quella metafora che senza aver letto il libro perdeva il suo mordente e ‘non arrivava’ là dove avrebbe dovuto.

Tuttavia non avrei mai pensato che la promessa di Steve Jobs, una trentina di anni dopo sarebbe suonata come un flatus vocis, un perepé di trombettina nel mare delle cosiddette innovazioni in cui siamo immersi. Tra queste l'”albero di navigazione”, cioè quello schema (ad albero) che viene usato (“prema il tasto 1”, …) per rispondere all’utente, o al cliente, che chiede di sapere come mai lo sconto promesso è diventato una tariffa speciale che, nel cambio di nome – come al cinema – ti propone tutta un’altra storia, un po’ più costosa e per niente utile.

Seduti sotto un albero, protetti dalla sua ombra, è bello immergersi nella lettura di una storia, di una poesia, di un manuale, o di una fiaba che ti spiegherà come seguendo il percorso di un “albero della navigazione” di un risponditore robotizzato si potrà ascoltare, premendo il tasto giusto, l’utile suono della voce umana.

 

Grande Mela

Era la fine agosto del 1984 e faceva un caldo bestiale a New York, dove ero arrivata con due colleghe che avevo coinvolto nella “Convention” di Advertising Age. La pubblicità andava forte ma l’Italia era sempre un passo indietro. Lo scoprivamo ogni anno a Cannes, durante il festival del cinema pubblicitario, ma ne eravamo consapevoli comunque, avendo a che fare con imprenditori e utenti pubblicitari cresciuti in un provincialismo bigotto e spaventato. I computer erano poco più di macchine per scrivere, nonostante Olivetti fosse stata un’azienda formidabile, con prodotti dal design ammirato da tutti. Un mondo remoto visto da questi anni, tuttavia un mondo in movimento e proprio per coglierne il senso, avevo proposto in azienda una sortita là dove si presentavano le storie di prodotti rivoluzionari, sostenuti dalla pubblicità più avveniristica che si poteva immaginare in quei giorni. Advertising Age era (forse è ancora) il più autorevole e affidabile settimanale del settore; ogni anno spiattellava le ultimissime notizie all’Hilton di Avenue of the Americas, a New York, insieme ai dati che fotografavano lo stato di salute di quel settore economico.

Quell’anno sul palcoscenico, nella passerella di prodotti di tutti i tipi e generi, venne presentato un nuovo computer, concepito in modo talmente rivoluzionario che stentavo a capirne il senso, anche se il giovinetto – tale Steve Jobs – che ce lo stava presentando era brillante e autorevole allo stesso tempo.
Ancor più convincente – e per me, più chiaro – fu lo spot pubblicitario, drammatico e infine liberatorio, che Ridley Scott ci proiettò, suscitando commenti entusiastici tra i duemila convenuti. Lo spot  a me ha ancora fatto impressione rivedendolo dopo tanti anni.

http://www.youtube.com/watch?v=HhsWzJo2sN4

Raccontarlo non è importante, basta sapere che promuoveva il lancio del primo Mac, anzi del “Mac-pensiero”. Noi italiani ci scaldammo parecchio “…capirete perché il 1984 non sarà come il 1984”: citava Orwell lo spot pubblicitario ed era quasi più esplosivo che un accenno di nudo (a cui a quei tempi non ci si era abituati ancora); evocava una rivoluzione democratica e liberatoria, provocata da una donna, che risvegliava un pubblico ridotto a zombi dal mantra del grande fratello… Qualche mese dopo lo spot passò (poco) anche sulle tv italiane, ma la notizia che arrivò molto più tardi era il flop del filmato negli Stati Uniti. Il pubblico non aveva letto Orwell e pochissimi americani conoscevano la storia di 1984, uno dei romanzi più inquietanti della storia della letteratura.