A che serve diventare vecchi?

DSCN7859La domanda arriva in mezzo al petto e di prima mattina, come una fucilata. Me la pone una newsletter francofona che dà consigli di salute alternativi – spesso illuminanti, talvolta un po’ banali -. E subito mi elenca i disastri della vecchiaia: ossa e denti che vanno a ramengo, i capelli che cadono, il peso che aumenta, la memoria che svanisce; per non parlare delle malattie che si instaurano in questo panorama desolante.

Ma a me salta subito in mente Matteo Renzi, l’uomo che rottama e il disprezzo che testimonia quotidianamente per tutto ciò che è vecchio – a cominciare dagli esseri umani -; che cosa pensare a questo proposito: da un certo punto di vista lo capisco e lo giustifico, poiché (in un certo senso) non sa quello che dice. Inoltre penso che tra trent’anni, se avrà la (s)fortuna di invecchiare, sarà pronto a comprare l’usato sicuro, a cominciare da sé stesso. Penso alla precedenza che mi pare dia alle cosiddette grandi opere, su tutto ciò che racconta storia del paese Italia e le gesta dei suoi uomini più rilevanti.

Poi mi ricordo di Ray Bradbury e di quel suo racconto -“la decima vittima” o “la settima vittima” (uno dei due titoli è quello della trasposizione cinematografica interpretata da Ursula Andress in stivali bianchi, traforati, di Courrèges) -, in cui in un mondo affollato e imbelle qualcuno inventa un vero e proprio ‘gioco al massacro’, con cacciatori e ignare vittime designate, per dare una via di sfogo alla violenza repressa. E’ l racconto di un mondo in cui giungere alla vecchiaia è più difficile (perciò secondo i fondamenti del marketing più appetibile?) e comunque chi ci arriverà potrà dire di aver lottato per farlo.

A che serve, a chi serve, invecchiare? Se lo devono essere chiesto tutti quelli, tra coloro che ho conosciuto cammin facendo, che hanno scelto di non invecchiare oltre, o magari già vecchi di non vivere la stagione della vita da taluni indicata come quella della saggezza, da altri come l’età della beatitudine (come citava una mia amica): beatitudine magari ricercata e forse qualche volta raggiunta o scoperta.

Domanda – confesso – che non mi sono mai posta, prima di stamattina; nemmeno quando mi capita di incrociare vecchi decrepiti che trascinano i propri passi su un marciapiede sporco, o sostano nel sole appoggiati a un bastone, accecati dalla luce, annichiliti di fronte a una giornata vuota di fronte a sé. Domanda che non mi ha mai neppure sfiorato, nemmeno scoprendo che alcuni erano più giovani di me, con alle spalle una vita più piana e meno veloce della mia e forse persino più ricca di soddisfazioni e affetti.

Ho avuto la fortuna di incontrare alcuni maestri ammirabili e ho sempre guardato la vecchiaia degli altri con un occhio attento e con l’idea che la mia vita fosse intrecciata alla loro; pensando comunque che ciò che sapevo, capivo e conoscevo – vivendo – fosse anche legato a quello che avevo appreso, mimato, capito, imparato da loro, da quelli che avevano vissuto prima di me e stavano vivendo la vecchiaia prima del mio inverno personale.

Dico in generale, ovviamente, perché a parte alcuni scienziati o grandi professionisti e tecnocrati, in questa epoca di continua innovazione tecnologica e di scoperte scientifiche, uno deve guardare ai giovani per capire e sapere come usare uno smartphone o come funziona una app; ma non è esattamente questa la “conoscenza” a cui mi riferisco. La mia citazione dei vecchi come testimonial e maestri di vita e conoscenza è legata alla loro esperienza, e prima ancora al senso che hanno dato alla loro vita, senso che può essere diverso per molti e che può mutare vivendo stagioni diverse, più o meno appaganti.

Quello che ora mi scoraggia e mi impedisce di rispondere alla domanda che mi è arrivata stamattina è la constatazione di una diversità di sensibilità che si è acuita, proprio in questi anni di cambiamenti e di mutazioni. Mi sembrava che nel mondo dei consumi, in fase di globalizzazione giungesse da oriente un senso diverso, più profondo per chi è giovane, con un invito a guardare oltre le rughe e la voce tremula, più appagante per i vecchi con la prospettiva di un ruolo dignitoso e rispettabile in una società alla ricerca di esperienza. Dimenticavo però che la globalizzazione ha realizzato soprattutto un unico macro obiettivo: quello di rendere tutto più effimero e superficiale, come un fast food per anime vaganti.

Coccodrillo per Slobo

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L’hanno trovato a Capodanno, rannicchiato su se stesso, in un angolo allo Scalo; quando l’ho saputo non mi sono sorpresa più di tanto; ci sono persone che si sottraggono al tuo sguardo – spariscono, oppure sei tu che non le vedi più – ed è la premessa a un’assenza definitiva. Solo che Slobo non è proprio una persona (ma anche questo non è un vero coccodrillo). Perciò non vi racconterò quanto fosse bello e buono, questo cane un po’ rompino: niente lacrime per Slobo che ha vissuto una vita piena e complessa. Però posso dirvi che è riuscito a chiudere nel suo sguardo un mondo intero; sia chiaro, un  mondo piccolo, ma ben variegato, pieno di difetti e ricco di nevrosi, e molto cosmopolita. La sua lunga vecchiaia è stata un po’ la parafrasi di un invecchiare umano … parafrasi e non  metafora (come poteva essere). La vecchiaia lui ce l’ha resa colloquiale, l’ha sciorinata anche negli aspetti più laidi (l’ho visto strusciare il culo in terra o contro un tronco: si vede che il prurito era piuttosto insopportabile); non si è lasciato prendere da dubbi sull’estetica dell’invecchiamento; era diventato sordo, ci vedeva poco, la salute vacillava un po’, ma era rimasto vispo e scodinzolante. Fedele – come è obbligatorio che sia un cane – al suo padrone, ma cordiale con tutti, come non è detto che un cane sia, nemmeno un cane da osteria. Anzi un cane di paese di solito è un po’ scorbutico …

Ho subito pensato, quando Maria mi ha detto (mi ha fermato per dirmelo) che Slobo “non c’è più”, che con tutta la cagnara che faceva dietro alle auto, ai trattori, ai furgoni dei corrieri, agli autotreni – inseguiti tutti e sempre forsennatamente -, è riuscito a non farsi travolgere mai dalle ruote di un mezzo – . Ed è riuscito a non farsi menare da nessuno di quelli che, allo Scalo, lo detestavano, brontolando solo a mezza bocca.

E’ riuscito ad andarsene nel modo ideale: in un progressivo venir meno dei desideri (forse anche meno fidanzate), senza che irrompessero fastidiosamente i bisogni dell’età, e senza diventare ‘qualcosa’ che pesa, ingombra e suscita sensi di colpa. E persino a morire senza obbligare qualcuno ad assistere alla dipartita, magari soffrendo; e a evitare le fatiche di un nuovo anno da passare spiegando a noi umani la fatica di invecchiare.