La domanda arriva in mezzo al petto e di prima mattina, come una fucilata. Me la pone una newsletter francofona che dà consigli di salute alternativi – spesso illuminanti, talvolta un po’ banali -. E subito mi elenca i disastri della vecchiaia: ossa e denti che vanno a ramengo, i capelli che cadono, il peso che aumenta, la memoria che svanisce; per non parlare delle malattie che si instaurano in questo panorama desolante.
Ma a me salta subito in mente Matteo Renzi, l’uomo che rottama e il disprezzo che testimonia quotidianamente per tutto ciò che è vecchio – a cominciare dagli esseri umani -; che cosa pensare a questo proposito: da un certo punto di vista lo capisco e lo giustifico, poiché (in un certo senso) non sa quello che dice. Inoltre penso che tra trent’anni, se avrà la (s)fortuna di invecchiare, sarà pronto a comprare l’usato sicuro, a cominciare da sé stesso. Penso alla precedenza che mi pare dia alle cosiddette grandi opere, su tutto ciò che racconta storia del paese Italia e le gesta dei suoi uomini più rilevanti.
Poi mi ricordo di Ray Bradbury e di quel suo racconto -“la decima vittima” o “la settima vittima” (uno dei due titoli è quello della trasposizione cinematografica interpretata da Ursula Andress in stivali bianchi, traforati, di Courrèges) -, in cui in un mondo affollato e imbelle qualcuno inventa un vero e proprio ‘gioco al massacro’, con cacciatori e ignare vittime designate, per dare una via di sfogo alla violenza repressa. E’ l racconto di un mondo in cui giungere alla vecchiaia è più difficile (perciò secondo i fondamenti del marketing più appetibile?) e comunque chi ci arriverà potrà dire di aver lottato per farlo.
A che serve, a chi serve, invecchiare? Se lo devono essere chiesto tutti quelli, tra coloro che ho conosciuto cammin facendo, che hanno scelto di non invecchiare oltre, o magari già vecchi di non vivere la stagione della vita da taluni indicata come quella della saggezza, da altri come l’età della beatitudine (come citava una mia amica): beatitudine magari ricercata e forse qualche volta raggiunta o scoperta.
Domanda – confesso – che non mi sono mai posta, prima di stamattina; nemmeno quando mi capita di incrociare vecchi decrepiti che trascinano i propri passi su un marciapiede sporco, o sostano nel sole appoggiati a un bastone, accecati dalla luce, annichiliti di fronte a una giornata vuota di fronte a sé. Domanda che non mi ha mai neppure sfiorato, nemmeno scoprendo che alcuni erano più giovani di me, con alle spalle una vita più piana e meno veloce della mia e forse persino più ricca di soddisfazioni e affetti.
Ho avuto la fortuna di incontrare alcuni maestri ammirabili e ho sempre guardato la vecchiaia degli altri con un occhio attento e con l’idea che la mia vita fosse intrecciata alla loro; pensando comunque che ciò che sapevo, capivo e conoscevo – vivendo – fosse anche legato a quello che avevo appreso, mimato, capito, imparato da loro, da quelli che avevano vissuto prima di me e stavano vivendo la vecchiaia prima del mio inverno personale.
Dico in generale, ovviamente, perché a parte alcuni scienziati o grandi professionisti e tecnocrati, in questa epoca di continua innovazione tecnologica e di scoperte scientifiche, uno deve guardare ai giovani per capire e sapere come usare uno smartphone o come funziona una app; ma non è esattamente questa la “conoscenza” a cui mi riferisco. La mia citazione dei vecchi come testimonial e maestri di vita e conoscenza è legata alla loro esperienza, e prima ancora al senso che hanno dato alla loro vita, senso che può essere diverso per molti e che può mutare vivendo stagioni diverse, più o meno appaganti.
Quello che ora mi scoraggia e mi impedisce di rispondere alla domanda che mi è arrivata stamattina è la constatazione di una diversità di sensibilità che si è acuita, proprio in questi anni di cambiamenti e di mutazioni. Mi sembrava che nel mondo dei consumi, in fase di globalizzazione giungesse da oriente un senso diverso, più profondo per chi è giovane, con un invito a guardare oltre le rughe e la voce tremula, più appagante per i vecchi con la prospettiva di un ruolo dignitoso e rispettabile in una società alla ricerca di esperienza. Dimenticavo però che la globalizzazione ha realizzato soprattutto un unico macro obiettivo: quello di rendere tutto più effimero e superficiale, come un fast food per anime vaganti.