La notizia letta oggi del ritrovamento straordinario nella tomba di Enrico VII, dopo settecento anni, del convegno degli studiosi, del lavoro degli antropologi, delle ulteriori meraviglie con cui la bella Italia – che incredibilmente può ancora a esser tale – riesce oggi a sorprenderci, ha due facce.
Quella straordinaria, del ritrovamento dei resti del re (conosciuto anche come Arrigo VII) sepolto nel Duomo di Pisa in seguito alla morte avvenuta a Ponte d’Arbia il 24 agosto del 1313, e del ritrovamento – insieme alle spoglie del sovrano, di un grande telo di seta lavorato con la rappresentazione dei leoni reali (dopo settecento anni!), dello scettro, del globo reale ,,, L’altro risvolto di questo fantasmatico evento è ben rappresentato sui giornali in questi giorni e immortalato dai cellulari e dalle fotocamere di migliaia di cittadini, intrappolati negli stessi siti in cui Enrico/Arrigo di Lussemburgo governò, cantato da Dante come il salvatore dell’Italia, descritta quale “nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello…”. Intrappolati nel 2013, i cittadini odierni, da un alluvione che ha inondato gli stessi siti, forse le stesse stanze in cui quel re si muoveva nel milletrecento. Rileggendo Dante che parla di quell’Italia, sembra che nulla sia cambiato da allora. Forse tutto è un po’ peggiorato. Di certo lo è per gli abitanti che hanno dovuto salire sui tetti, che hanno visto l’acqua entrare in casa, che dovranno guardarsi intorno, alla ricerca di un nuovo Arrigo, che dia loro una ragione per lavorare e lottare. Una nuova ragione, dopo settecento anni.