“Love is a Many Splendored Thing”: buon compleanno, Gianmaria

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Mi sono svegliata con questa canzone della mia adolescenza, che suonavamo alle feste (parquet lucidi, penombra, profumo di cera, porcellane e uova di struzzo). A quel tempo ho scoperto la flanella grigio fumo, il fascino dell’Oriente, e William Holden. La canzone è bellissima e – in quegli anni – la cantavo accompagnandomi al pianoforte. La canzone è bellissima perché è piena di promesse e di nostalgia. Buon compleanno, Gianmaria.

Divento Astemia, una notte a Montalcino

DSCN0299Davvero l’ho pensato, sere fa – anzi una notte – tornando a casa, il cielo illuminato da continuo lampeggiare; più che temporale sembrava un cielo di guerra, che di questi tempi viene in mente facilmente – tante sono le situazioni critiche, in giro per il mondo -. La strada che si snoda nel buio, attenzione agli animali, piccoli e grandi; ci sono sere e notti in cui pare che non pensino ad altro che andare a zonzo. Sessanta chilometri in cui ho incontrato due auto in tutto; e non so mai se mi fa più piacere incrociare qualcuno o se è più rassicurante filare fino a casa sapendo che potresti guidare contromano, a occhi chiusi (curve permettendo), tanto non passa anima viva. Il paesaggio notturno si fa loquace, o almeno a me così pare; non fosse che è più saggio filarsela a casa, avrei cento ragioni per fermarmi a scattare qualche foto. Questi lampi – se uno riuscisse a coglierne qualche barbaglio – illuminano con luci radenti un cielo multiforme e cangiante.

Ma certo, so che la strada che percorro è piena di zone in cui il telefonino non ha copertura; penso sempre che basterebbe un chiodo per farmi passare la notte a dormire in auto …

Questo deserto notturno è un bel contrasto con il mondo superaffollato con cui ci ritroviamo a fare i conti; penso alla bella serata, con cibo semplice arricchito da creatività cosmopolita: una specie di riedizione della toscanità (per me sempre eccessivamente carnivora), spogliata però dal ‘troppo’ che in certi ristoranti riesce tutt’ora a riportare alla mente i tempi della fame (da cui proviene tutta quella carne). E il vino – a cui ho contribuito anch’io con un magnum che viene dritta dai miei anni giovani, ricordi di una casa dove si beveva raramente, ma sempre vini molto buoni (siccome mia madre era astemia, mio padre la convinceva con qualche bianco speciale). Dei brut con molte rotondità – non credo si dica così, ma a me fanno uscire queste parole – che puoi berne alcuni bicchieri e pare ti stiano dissetando, soprattutto di sera. Una sera tra amici e buoni conoscenti, accanto a un orto da compagnia, confortati da animalini domestici e no, con un cielo mobile come un film d’avventure.

Certo che poi al ritorno – in cui mi immagino come in una traversata del deserto, molto epica – mi vengono in mente idee particolari, e l’altra sera – appunto – mi immaginavo astemia, in una vita più meditabonda, assoggettata a severe discipline, con camminate lunghe alla Ernst Juenger, per poi trovarsi “nelle tempeste d’acciaio” … penso che sarebbe proprio chic, essere astemi, a Montalcino.