Ammiro Giannelli (che ho anche il piacere di conoscere, fin dal tempo in cui è stato brevemente un autore Mondadori) e alcune sue vignette sono semplicemente geniali. Quella di oggi sul Corriere, invece mi ha folgorata, lasciandomi un po’ di amaro in bocca. Riguarda l’ormai nota vendita ai cinesi della Pirelli, una delle stelle del nostro firmamento industriale, giusto per non citare la brutta espressione “eccellenza italiana”, modo di dire divenuto ormai retorico.
Ma l’amarezza non aleggia tanto (o solo) a causa della vendita ai cinesi, ma piuttosto perché, con una di quelle alchimie del caso descritte da Gustav Jung, la vignetta di Giannelli, oggi, sintetizza bene il mondo alla rovescia in cui stiamo vivendo.
Sembra di stare in un racconto un po’ surreale; un mondo di paradossi. Gli emiri che finanziano il terrorismo internazionale e acquistano il nuovo centro di Milano e in chissà quali altri affari hanno le mani (qualcuno dice energia e acqua); Putin che correrebbe volentieri in soccorso della LePen; gli americani che secondo Sean Penn – ma non solo secondo lui – sarebbero all’origine (addirittura i creatori) dell’ ISIL; il capitalismo ‘comunista’ dei cinesi che però lasciano a capo della Pirelli cinese il Tronchetti Provera; e la lista includerebbe non pochi casi nostrani, anche più vicino a noi comuni mortali …
Rientrando invece in panni più campagnoli, ma non meno mediatici, si fa una carrellata su Vinitaly per apprendere che l’esecrato e stigmatizzato mondo dell’agricoltura biologica (e biodinamica), nella sua accezione vitivinicola sta diventando un protagonista ed è non solo esaltato, ma da ciò che si può leggere sui grandi quotidiani – Corsera in primis – è portato in palmo di mano dal mondo fino a ieri più critico verso le pratiche ‘naturali’ e più vicine ai bioritmi della terra. Solo che questi “nuovi protagonisti” del bio pretendono di fare i primi della classe, con un atteggiamento da “ora ti spiego io come si fa”.
Ed è tutto un predicare il nuovo corso bio, da parte di quelli che fino a ieri ne prendevano le distanze. Chi però poi allunga il passo in campagna e fa una girata tra le vigne scopre che davvero molte di quelle che venivano trattate con sostanze sistemiche e con concimi chimici, ora si presentano con un rigoglio di favino, tra un filare e l’altro. Non ci si può davvero lamentare di queste apparizioni: fa bene, fa meglio a tutti (prima di tutto alla terra stessa) questo nuovo sguardo ecologico. Io magari sono troppo maliziosa e scettica, perché penso che non si tratti tanto di un’evoluzione, quanto di una scelta fatta sulla consapevolezza di un’attenzione speciale dei consumatori per i cibi naturali (vino incluso).
Ci sono quelli che coltivano direttamente la loro vigna, da anni, anzi da decenni, praticando l’agricoltura biologica; da qualche tempo anche alcuni produttori più grandi e particolarmente attenti – hanno adottato queste pratiche. Questa presa di coscienza, queste acquisizioni, sono un segnale positivo.
Meno positivo invece è il tentativo di chi fino a ieri lontano e scettico, rispetto a queste pratiche colturali, di ergersi a maestro, di dare indirizzo e regole, di costruire recinti e dare etichette … insomma di normare un qualcosa che è prima di tutto un modo di essere e di sentire. Da tutti gli articoli affiorano gli stessi aggettivi che fanno pensare che tra pochissimo sarà tutto un bio bio bio bio. Tutto il contrario di tutto quello che succedeva anni fa. Proprio una realtà scaravoltata, come sagacemente sintetizza Giannelli, con gli imprenditori che diventano “comunisti”, invece degli operai.