Un paese che si svuota – proprio come si legge nelle ricerche dell’Istat e nei servizi giornalistici – ma che ospita ancora spiriti vivaci e indomiti. Le donne di Sant’Angelo in Colle (massì facciamo un po’ di pubblicità!) riescono a sfamare più di centocinquanta persone in un botto; accade nelle circostanze più disparate e in occasioni eterogenee – per un aiuto umanitario, o per una ricorrenza paesana di cui solo pochi ormai hanno memoria –, il menu è ancora di una toscanità molto locale, come la parlata, che varia quasi da podere a podere, ognuno con i suoi modo di dire. I pranzi, sempre eccessivi (spesso con due primi, preceduti da antipasti, seguiti da tanta carne) ancora esorcizzano una fame secolare. Una fame che ha aguzzato molteplici ingegni delle donne, che con un po’ di farina, acqua e semi di finocchio preparano le “donzelle”, fritte nell’olio. Pericolosissime per la linea sono perfette con un bicchiere di Rosso, quello vero, di Montalcino. Queste, preparate il sabato le abbiamo mangiate domenica scorsa, per una buona causa
Archivio mensile:Ottobre 2011
Comma Ventinove
A pagina 24, lettera a), il comma 29 della “legge sulle norme in materia di intercettazioni telefoniche”riguarda i blog e i siti informatici diffusi per via telematica.
Vi si legge che “le dichiarazioni di rettifica e le smentite alle notizie date, devono essere pubblicate entro 48 ore dalla richiesta da parte di chiunque si senta leso dalle stesse.” Ciò, indipendentemente dalla veridicità delle notizie ritenute offensive.
La Cina è vicina; Iran e Corea del Nord pure.
Addio patatine sublimi
E carciofi fritti, e pollo in scottiglia, e tagliatelle col ragù, e funghetti sott’olio, e mantovana coi pinoli, addio per sempre. Anche se fratel Dominique ci ha tenuto a rimarcare che è un arrivederci, e l’ha fatto proprio sui gradini della chiesa, mentre eravamo lì ad attendere l’autrice di tanto bendiddio, a cui va aggiunta una minestra di piselli secchi che mi ha preparato qualche volta, quando già aveva dismesso i panni dell’ostessa, anzi della moglie di Buonanotte (cioè Oreno), di cui era vedova da qualche anno.
Poi mentre scendevo la strada dal paese verso il cimitero, in questa giornata di sole caldissimo, priva di promesse autunnali, mi è venuto incontro il ricordo della marcetta cantata dai miei figli bambini – “an-diamo-dao-reno-afa-re-il-pieno-andia-mo-da-ore-no-afar-il-pieno …” –, ogni volta che – in salvo per un week end a Sant’Angelo in Colle – si portava qualche amico a stralunarsi con un pranzetto della Giacoma.
Il Lavoro di Bramante
Negli anni ho visti tanti vecchi vendemmiare. Si avvantaggiano su quelli più giovani per via dell’esperienza, dell’occhio allenato, delle mani sapienti – come quelle di Bramante, che me le mostra lamentandosi per “qualche doloretto” –. Si avvantaggiano in forza della conoscenza, qualcosa che per ora viene ignorato, e per la forza d’animo che di questi tempi è un bene indispensabile.
Non è proprio da tutti essere come il Ciolfi Luciano: avere una figlia (che a tre anni guarda pensosa i filari della vigna) averci intorno una famiglia e usufruire di un asset aziendale unico, un nonno del 1915 (3 maggio, per la precisione) in carne e ossa. Un nonno che fa parte a pieno titolo della squadra di vendemmiatori (tutti di Montalcino e tutti in regola con l’INPS!), che sembra avere le cesoie incorporate, che non si fa sfuggire un acino sbagliato (e zacc lo fa fuori) prima di lasciar cadere il frutto nel canestro. Buon Brunello, Bramante!
Mi ritorna in mente
Guardo questa foto, scattata giovedì, durante il lavoro delle ragazze di Fonterenza e mi torna alla memoria il commento di Piero Talenti, quando gli ho detto che stavo acquistando un pezzo di terra che pensavo di dare in dono ai miei figli per il loro compleanno. Gli occhi chiari gli si schiarivano ulteriormente, mentre parlava con un accenno di sorriso – “… con un pezzo di terra non manca mai da mangiare” –. Erano gli anni novanta e il suo commento, mi toccava in modo particolare, perché mi regalava una sorta di considerazione da parte di uno degli uomini di campagna che più ho stimato, schiudendo la porta di un mondo sconosciuto a una di città abituata a frequentare i potenti di un altro contesto, ben lontano da quello rurale di Piero; la sua frase, allora, poteva anche evocare qualcosa di remoto, come un film di Bertolucci o una novella siciliana.
Il commento di Piero oggi mi ritorna in mente, e con esso l’idea stessa della terra, di cui lentamente impariamo l’unicità. È l’unica cosa che non ‘cresce’, che non si può fabbricare, che non aumenta di quantità, che non si può cercare in un altro negozio, che non si può delocalizzare, che non si può imitare, che non si può falsificare, che non va in default.