Azuma tra gli olivi

rscn1174Tutto inizia con il voto. Qui a Montalcino votiamo per decidere l’unione con il comune di San Giovanni d’Asso; sarebbe (secondo una visione greve e riduttiva) come  apparecchiare un banchetto in cui si beve il rinomato vino e si condiscono i tagliolini con l’altrettanto rinomato tartufo (bianco o nero, fate voi). Al seggio ci sono i carabinieri e si avverte un briciolo di animazione. Un’elezione è sempre un’occasione: arrivano le jeep con i mariti e le mogli. Arriva una telefonata da un’artista che mi ha sentita mentre commentavo qualcosa alla radio.

Oggi sarà bello, dopo alcuni giorni di altalena metereologica; parlo al telefono con Grazia Varisco, mentre guardo le nebbie alzarsi tra un colle e l’altro, sciogliersi nel sole che cresce … ma è pur sempre autunno e il paesaggio si adegua. Mentre Varisco con la sua bella voce energica mi racconta le esposizioni imminenti e le mostre recenti, si parla dei tempi di Brera e del senso che ha per lei – per me – invecchiare, in un paese che invece di valorizzare e coinvolgere  – anche sfruttandoli, in senso costruttivo – i vecchi, incomincia ad averne timore. Se non proprio paura, l’Italia esprime fastidio nei nostri confronti e ci vede come un fardello, dimenticando l’esperienza accumulata da molti vecchi, dimenticando che accanto ai privilegi che abbiamo avuto – nell’incredibile (oggi) periodo in cui abbiamo costruito l’Italia del made in Italy e del boom – abbiamo anche pagato un monte di tasse e lavorato sodo … e avuto idee.

Era anche questo che rivendicavo stamattina presto, dialogando con il bravo direttore di Avvenire: questo non includere i vecchi nel lavoro necessario per guardare al futuro, dimenticare idee ed esperienza, lasciarli ai margini con un malcelato senso di sopportazione. E pensavo anche come in altre culture – come quella giapponese – l’approccio sia diverso e come (nonostante l’invadenza di un consumismo molto superficiale) ‘vecchio’, abbia un peso culturale preciso e definisca anche l’acquisizione di uno stile, abbia persino una coloritura poetica e  … cromatica molto elegante.

Per il caffè e i giornali ci vuole l’auto e oggi – domenica – qualche chilometro in più. Al Villaggio è già provincia di Grosseto e, come se varcare l’Orcia fosse entrare in un microclima meridionale, l’aria che tira è molto più tiepida e l’autunno ha un odore diverso, quello piccante e profumato dell’olio d’oliva – quello nuovo, con tutte le sue precocità -. Al bar con il caffè che mi pare una ghiottoneria (perché così me lo racconto da sola) prendo i quotidiani e non aspetto niente e nessuno.

Con la tazzina piena, le parole recenti di Varisco in testa, sfoglio subito, velocemente i miei giornali. Se mi salgono le lacrime agli occhi leggendo il nome di Kengiro Azuma aprire i necrologi del Corriere, non è perché lo frequentassi. Erano anni che non lo vedevo, erano anni che leggevo solo le recensioni del suo lavoro, insieme a quelle di Grazia Varisco, del Ghinzani (lui sì, compagno di liceo a Brera), interpolate con le cronache e i resoconti delle mostre che nel nostro paese, con ritardi e lentezze gravati dal sottosviluppo e dall’ignoranza di chi dovrebbe sapere (anche in assenza di una conoscenza specifica), dove si dà conto del patrimonio nostrale e degli artisti che hanno reso grande l’Italia. Loro e non la finanza, né le banche e nemmeno i partiti e la politica, data l’arretratezza e la mancanza di visione che affligge tutti questi ambiti …

Anche il giapponese Azuma? anche lui – certamente – con i suoi occhi sorridenti e pensosi, le sue sculture, la sua testimonianza, il suo amore. E’ proprio di amore, anzi della sua amara assenza dal mondo contabilizzato, dove anche i numeri perdono ogni senso se non quello che significhi ‘affari’ (nel senso di business), che mi sono ritrovata a parlare con Grazia Varisco (e con il direttore di Avvenire); e proprio pensando a queste presenze / assenze, mentre i profumi del frantoio mi prendono alla gola, mi viene in mente che il ‘vecchio’ Azuma avrebbe molto amato (avrà di certo amato) le forme di questi olivi che ornano queste campagne – anch’essi rivalutati con lentezza ignorante – testimoni con le loro forme fantastiche, del mondo che invecchia.