Col Tempo e con la Paglia

DSCN2353Può essere un privilegio, stare in campagna, se si sopportano i numerosi “minus” della condizione rurale: no cinema, no privacy (tutti fanno il processo alle tue intenzioni), no vicini (e talvolta nemmeno lontani), no scelta (in generale e in parecchi settori) tra diverse opzioni, no sensibilità (merce rara dappertutto), qualche ricatto implicito dovuto al fatto che i soggetti sono pochi, tutti legati da interessi e inclini a espellere l’alieno.
Tuttavia la campagna ha molto da dare e i suoi abitanti molto da dire e non sempre alle tue spalle: spesso hanno da raccontare storie bellissime, qualche volta esemplari, sempre molto interessanti e istruttive.
Inoltre c’è, in campagna, da scoprire chi siamo stati e dunque chi saremo o stiamo per diventare. Perché le azioni basilari della produzione di cibo avvengono qui, vicino alla terra.
Poi, se uno sta oltretutto in un sito rurale prestigioso e carismatico, come Montalcino, o addirittura in un hamlet quale Sant’Angelo in Colle, ha da leggere (e scrivere) finché vuole, perché il passato – qui – è rimasto impigliato nelle pietre che lastricano il villaggio e tra i coppi dei tetti che ricoprono le case. Il ricordo di Re Liutprando forse non ha posto nella memoria dei paesani, ma le sue tracce – e quelle del suo tempo – sono iscritte nel loro Dna. Perciò è interessante frequentarli e lasciarsi anche un po’ ‘leggere’ e indagare dalle domande e dalle illazioni.
Io – una di “fuori”, venuta da altrove ed estranea, dopo aver speso qui quasi tutti i miei piccoli risparmi – e loro – che magari girano il mondo, ma con un piede solo, perché l’altro fa da perno ed è saldamente legato a questa Heimat a cui saranno legati per sempre -, siamo diversi e per molti versi incompatibili. Ma ‘col tempo’, mi dice un tale (e con la paglia, mi viene fatto di pensare), impareremo a decifrare i rispettivi codici.

Come dicevano i saggi, “Col tempo, e con la paglia, maturano le nespole“, un proverbio double face, perché se lo si riferisce ai renitenti, resistenti, recalcitranti, oppure ‘duri di comprendonio’ ha un significato decisamente positivo; invece se ci si rifà a situazioni sottese o a lavorii carsici di rancori e malanimo, ha decisamente un carattere minaccioso. Da piccola, sapevo che “maturano le nespole”, detto a mezza voce a commento di una marachella o un dispetto, era la promessa di uno schiaffo o di un castigo.

Invece, qui in campagna, un bel cesto di Nespole, ben mimetizzate nella paglia, riporta quel modo di dire sotto l’albero dove è nato, vicino alla terra.

 

La Scuola che volò da Montalcino

A volte i sogni ‘non finiscono all’alba’, prima di una sana camminata tra le belle vigne che circondano questo paesino, questo hamlet di Montalcino. Può succedere che incontrino momenti, situazioni e gente speciali e che vedano la luce di menti lucide, di persone brillanti e soprattutto coraggiose. E che non galleggino a mezz’aria in un paese (in un continente?) che pare affetto da narcolessia, un intorpidimento allucinato e pessimistico, da cui non riesce a scuotersi. In un altro post, mesi fa, avevo accennato a un giovane architetto che all’inizio degli anni novanta venne a Montalcino; avevo anche scritto di un collega di lavoro che si occupava di formazione e di un progetto che, con quest’ultimo, avevo studiato: per creare a Montalcino (si stava costituendo il Parco della Val d’Orcia) una scuola di arti e mestieri che avesse l’obiettivo di “ridare al lavoro manuale dignità e valore” e fascino, con l’apporto e il contributo di poeti, scrittori, filosofi, artisti; ma anche di imprese e aziende di servizi, oltre agli indispensabili maestri d’arti e mestieri. Stiamo parlando di un’altra Italia, di un tempo passato, che mi pare ci sia scivolato tra le dita – perso per sempre? – le cui opportunità nessuno ha saputo cogliere, tanto meno la politica – distratta da altre ambizioni, da sogni con ali più corte -.aung_san_suu_kyi_time[1]

Ora però, il giovane architetto francese – che a suo tempo si laureò a Lyon, proprio su quell’idea che trasformò in una tesi e poi in progetto – “L’ècole de Montalcino” – è emigrato in Birmania, dove vive e lavora. E dopo una lunga storia in cui si intrecciano vita e professione, curiosità e pragmatismo, oriente e occidente, vino e ideali…. in Birmania, nei luoghi in cui – a lungo e di recente – è stata anche mia figlia Margherita, la scuola che era stata pensata per Montalcino e la Val d’Orcia, è stata finalmente realizzata. Dallo stesso architetto, ora un po’ meno giovane. E a finanziarla sono state due donne, visionarie, generose e combattive – Myo Su, che l’ha fatta partire, e Aaung San Suu Kji, con la sua fondazione. Perché a volte i sogni volano lontano e atterrano in luoghi inattesi.