Tutti i fagiolini della mia vita

DSCN1037Il mio primo ricordo di bimba piccolissima (mi raccontavano che avevo due anni) è legato a una bomba e a uno spezzone incendiario. Ma nelle immagini ci sono anche il mio cane volpino bianco, mia zia e il grande orto in cui l’avevo accompagnata a raccogliere i fagiolini. Nonostante la violenza dello scoppio, le lacrime di sgomento attraverso cui vedevo la scena, i fagiolini mi piacciono molto – lessati al punto giusto, conditi ancora tiepidi con una lacrima (!) d’aceto e un filo d’olio: in questo caso quello ligure sarebbe perfetto. Non so se e quanto i fagiolini mi piacessero prima di quel momento spaventoso, ma hanno continuato a piacermi, anche se ogni volta la mente correva a quello spezzone incendiario, che poi rimase sull’uscio del ‘mas’ di mia nonna e veniva usato per pulire le scarpe dal fango prima di togliersele … Ho sempre interpretato quel gesto come una specie di ‘vendetta’ nei confronti della guerra e dei suoi orrori: un gesto di disprezzo nei confronti di un micidiale pezzo d’acciaio (lanciato dalle truppe di liberazione, su un pezzo di Francia occupata) che avrebbe potuto trasformare la zia e me stessa in danni collaterali. Invece eccomi qui a scriverne, non senza un brivido d’orrore residuo, per quell’orrore che ha lasciato tracce indelebili nella mia memoria.

I fagiolini si sono affacciati qualche altra volta nella mia vita, ma in modo più sottile e decisamente più vitale. Ho un ricordo preciso di aver raccolto una grande quantità di fagiolini – ma non ricordo dove fosse situato il campo in cui crescevano – insieme a un uomo intensamente amato. Un altro appuntamento con il fagiolino è avvenuto a Chicago, ed è legato a un momento interessante e ricco del mio lavoro: un momento di idee che crescevano e si inanellavano una sull’altra, proprio come una pianta di fagiolo che si arrampica, fiorisce, produce i suoi frutti e dondola nell’aria, guardandosi intorno. I fagiolini, a Chicago, li ho mangiati da sola in un ristorante alla moda, alla fine di un pomeriggio di lavoro … ma erano terribili, fritti direttamente, senza sbollentature; fagiolini sacrileghi contrabbandati per french cuisine. A Chicago meglio passare una serata bevendo Goose Island Beer accompagnando un piatto da carnivori.

Il mio pensiero è tornato ai fagiolini della mia vita recentemente, andando a coglierne un cesto- qualche giorno fa – nell’orto di Fonterenza; in quel momento mi son tornati in mente lo spezzone incendiario, il mio cane bianco, mia zia il grande campo verde con i filari di fagiolini pronti da cogliere; in quel momento mi è tornato fortissimo il ricordo del  rombo del cacciabombardiere che volava basso sulle nostre teste. Invece era la moto di John, il padre della mia seconda nipotina, che tornava a casa. Il che fa una bella differenza, tra fagiolino e fagiolino

La finestra di Brunello

Ai (bei?) tempi della pubblicità – quella degna di questo nome, ora in piena evoluzione – come pubblicitari italiani eravamo talmente consapevoli dell’arretratezza del nostro paese, da cercare in continuazione ispirazione e modelli nel mondo anglosassone (solo in un secondo tempo anche nella vicina Francia), per proporre ai nostri clienti – cioè ai clienti delle agenzie in cui lavoravamo – annunci, spot cinema e tv, affissioni, nonché quell’insieme di attività chiamate below the line, degni di strategie avanzate, in grado di cambiare davvero la situazione dei prodotti che ci erano stati affidati.

Commettevamo però due peccati d’ingenuità: il primo era quello di considerare gli imprenditori italiani più maturi e colti di quanto non fossero nella realtà delle cose; ma il secondo era forse più grave, per dei professionisti della comunicazione, ed era quello di dimenticare la totale assenza di sense of humour degli italiani tutti. Sense of humour che era – è ancora – il tono e lo stile della comunicazione anglosassone, a cominciare dalla pubblicità e le consente di non scivolare nella mielosità.

Solo una cultura dotata di molta autoironia, infatti, poteva e può permettersi certi ads e certi messaggi che nel nostro paese così “controverso” sarebbero suonati melensi. A questo riflettevo, pensando all’imminente ouverture di “Benvenuto Brunello”. E mi veniva in mente la pagina di una campagna pubblicitaria (americana) di un’auto che non ricordo (sono passati parecchi anni), con un visual singolare, bellissimo e impossibile, con un messaggio che lo sottolineava. L’immagine infatti ritraeva (alla lettera) fotograficamente, ma con uno stile ‘botticelliano’, la suddetta auto, in un prato fiorito all’inverosimile, sotto un cielo stellato (e con la luna), in cui però trovava posto anche un sole perfetto, in un clima da sogno quale può essere evocato solo da un abile ritoccatore capace di rendere fotograficamente plausibile una situazione di real unreal, e dare corpo ai sogni più straordinari.

Il perché di questo ricordo, apparentemente slegato da questo appuntamento annuale con un vino conosciuto davvero in tutto il mondo (anche solo di nome), è presto detto, ma non altrettanto facilmente. Per abitudine, per deformazione professionale – anche se non lavoro più in quel settore, certe cose mi restano appiccicate – sono abituata a ‘vedere’ istintivamente certi aspetti di luoghi e situazioni, in modo piuttosto immaginifico, e … sì, per me il Brunello è anche un prodotto; ma un prodotto speciale(come un’opera d’autore) da tenere al riparo dalla pubblicità, come tutti i grandi vini (non le marche, però: c’è  differenza, tra le due cose). Perché un grande vino trova “da solo” il suo posto nella nostra immaginazione, inserendosi nel mondo immaginato da ciascuno di noi e in quello di ogni suo potenziale consumatore / conoscitore, in modo singolare e molto personale. Proprio in modo irreale, come fosse evocato da immagini – come quella che ho sommariamente raccontato qui sopra – che danno corpo più a sentimenti (spesso sfuggenti) che a sensazioni organolettiche. Una bottiglia può (proprio come un libro, per esempio) anche essere solo acquistata, per il piacere di possederla, e tenuta lì, magari non per collezionismo. Per pura emozione. Come quella che proviamo ascoltando musica o quando ci affacciamo a una finestra e guardiamo un paesaggio che ci ispira.DSCN8836.