Disegnare è Vivere

Era il maggio del mitico1968 e bruciavano gli alberi sul Boulevard Saint Michel, mentre sbarcavo a Parigi per andare a trovare Raymond Savignac, il bravissimo cartellonista (autore tra l’altro del manifesto di lancio del quotidiano Il Giorno). In quella giornata particolare, raggiungere lo studio del Maestro fu un’avventura; mucchi di spazzatura che assediavano i palazzi fino al primo piano suscitando un tanfo riscaldato dal tepore della primavera e le grida provenienti da piccoli gruppi di studenti che sbucavano improvvisamente su una piazza, rendevano confuso e complicato circolare anche a piedi. Ma che soddisfazione poi chiacchierare con Savignac, bevendo un succo, nello studio gremito di disegni e di appunti visivi – appesi dappertutto -, con i mazzi di pennelli e matite raccolti nei vasi e il suo sguardo sagace pronto a cogliere spunti anche dal pattume che quasi gli si affacciava alla finestra…

Prima di Savignac avevo conosciuto molti disegnatori di grande talento – a cominciare dalla mia compagna di liceo, Marialuisa Gioia, i cui segni delicati ed espressivi hanno raccontato le poesie del Carlo Porta, da Enrica Agostinelli che illustrò per Italo Calvino un indimenticabile Barone Rampante e dalla Margherita Saccaro e i suoi personaggi animati – ma durante i primi anni di lavoro e di Accademia, ancora adolescente in una Milano ricca (come forse mai più) di idee e di grandi maestri, avevo conosciuto e frequentato  – tra gli altri –Bruno Munari ed Enzo Mari.

Ora, quando mi capita di disegnare, penso a questi geni e alla loro apertura mentale (un modo di essere che li ha fatti grandi) e agli incontri con altri grandi artisti – Folon, Ben Shahn, Milton Gleaser – che disegnando hanno vissuto così intensamente. Perché “disegnare è vivere”, l’ha detto Enzo Mari – anzi ne ha fatto un libro – e disegnare è un modo di guardare e raccontare anche gli altri, le loro storie, la loro esistenza.

nb: i miei disegni sono solo un modo di annotarmi il paesaggio; oppure, qualche volta, di provare a raccontare qualcuno che conosco e la cui faccia mi ha colpito. In questo caso, oltre alla faccia di Luciano, mi ha colpito anche il suo Brunello, che lui fa – come piace a me – senza mezzi termini, senza compromessi, senza venire mai meno a un’idea della terra che gli arriva diretta da suo nonno Bramante – 96 anni: il vendemmiatore più vecchio di Montalcino – da cui andavo a comprare le legna nel 1975!