In un momento in cui pare che mi succeda di tutto (e non il meglio, tra l’altro), pur non essendo ottimista, penso di trovarmi in un periodo della vita piuttosto interessante. Però sono in ginocchio, ma non – appassionatamente – “in ginocchio da te”, come morandianamente sarei pure disposta a cantare: no!, ho proprio un ginocchio che fa capricci, che s’incricca, schiocca, s’inceppa sul più bello e fa un male bestia.
Pare siano in tanti, quelli che possono provare empatia per le circostanze che mi affliggono, perché pare proprio che, passati i cinquant’anni, le ginocchia mostrino il logorio della vita trascorsa sotto forma di doloroso (dolorosissimo) tormento. Murakami Haruki mi capirebbe benissimo, ma leggere uno dei suoi libri, da cui trapela la passione per il camminare (con tutto ciò che il camminare comporta: una meraviglia di sensazioni e di bellurie dello spirito e del corpo) in questo momento mi farebbe sentire ancora peggio. Se vivo in campagna, è proprio per goderne gli orizzonti; non gli orizzonti – alti e imperiosi – come visti dal SUV, ma quelli che accompagnano una sfrizzolante camminata, con una serie di sintagmi in cui si scandiscono e susseguono i paesaggi che scorrono: tutti i paesaggi, quello più vicino, in cui leggere le erbe, gli arbusti e il verde che si attraversa, nella sua immediatezza; poi quello che si intravede oltre – vigne, olivete, boschi, strade – e poi il cielo, così variabile ed espressivo.
Niente, camminare diventa un miraggio, farlo a passo svelto, nel freddo che sta piegando la stagione al suo destino invernale, è una vera utopia. Non mi resta dunque che camminare con la mente. En garde!