Da “Tenuta” a “Podere”: che cosa si dice per piacere!

Viviamo in tempi impietosi: non piace ciò che è bello o piacevole, ma di solito piace ciò che è ricco e si manifesta senza fare sconti; però c’è un limite a questi fenomeni e consiste nelle opinioni che si creano, mutano, evolvono e non sempre si riesce a orientare. La comunicazione dilaga e si intreccia con informazioni, soprattutto on line, in modo tale che è solo parzialmente controllabile, e le opinioni si formano su misteriose convergenze di sensibilità o di allergie. E da noi non si è ancora acquisita l’abitudine (e messa in conto la spesa) di studiare preventivamente il mercato e ciò che lo muove, nemmeno di andare a vedere perché i consumatori comprano una merce, se lo fanno convinti, se sono soddisfatti, se pensano di tornare a farlo o se sono in una fase di latenza. Chi avrebbe tutto l’interesse a farlo, arriva sempre con un po’ di ritardo ad accorgersi di quello che i sociologi chiamano “il cambiamento”;   non sapendo o dimenticando che “il cambiamento” è un fenomeno mobile – dura dalla notte dei tempi e finirà con la nostra specie -.

Nulla è fermo, insomma, nemmeno nel vivace mondo del vino, abitato da gente che mima l’affetto per la campagna e per la ‘veritas‘ che ‘in vino‘ dovrebbe appunto trovarsi. Ma il mondo del vino, rispetto ai fenomeni relativi al “cambiamento” nell’accezione socio-psico è particolarmente in ritardo. Sembra ieri che andavano per la maggiore (ed esclusivamente) lo stile blasone di famiglia/tradizione…; altrettanto recente (mi pare) è l’attenzione del mercato per l’imprenditore di tutt’altro settore o il politico, super-ricco, che si compra una super tenuta e ostenta super enologo, super ettari, super impianti, super tecnologie, super avveniristicamente. Il tutto sciorinato sulla stampa fedele in modo tale da mettere ettolitri di distanza tra sé e quelli che erano lì a produrre vino magari da un secolo o due (mi viene in mente la moglie di uno, che ho avuto occasione di incontrare mentre dichiarava “io sono la padrona” e pareva uscita davvero da “Il padrone delle ferriere” di ottocentesca memoria).

Ci sono però anche imprenditori intelligenti che praticano lo stile più aggiornato dell’understatement, e c’è un fenomeno nuovissimo che ho notato e mi ha incuriosito: una specie di mimesi, di travestimento, in cui mi sono imbattuta in questo mondo simpatico, dove di solito ci si limita ai pantaloni di velluto a coste, indossati più che altro con ironia, per dire “guarda che qui siamo in campagna”.

Si tratta del nome “Podere”, usato ostentatamente (un vero e proprio messaggio) in luogo di “Tenuta”, nome più consono e adeguato a certe dimensioni (e intenzioni) aziendali, soprattutto quando si posseggono vere e proprie imprese agricole importanti e strutturate (e non si ha un passato da contadino). In questo nuovo naming c’è molto, a mio avviso. A me, incontrandolo, è parso una vera e proprio pelle d’agnello indossata quale travestimento, per mimetizzarsi in un certo gregge (che esiste da mo’, ma di cui si ha una percezione tardiva) e mettersi a belare insieme agli altri. L’ho individuato come un segnale a cui se ne aggiungeranno altri, un modo ‘innovativo’ di presentarsi al mercato.  Mi ha fatto venire in mente una barzelletta surreale, i cui protagonisti sono i chinotti, e che vi racconterò un’altra volta.

 

 

Taping

Così si chiama e vuole dire che c’è qualche speranza. Speranza di non rimanere in ginocchio, non nel senso di “in ginocchio da te”, come nella canzone che mi pare di ricordare; bensì ‘senza’ ginocchia, cioè senza un pezzo di sé la cui deprivazione toglie la gioia di camminare.

Da decenni ormai, per alleggerire un handicap che mi affligge, mi costringo a citare “tre uomini in barca” (ho ancora un’edizione bigia della BUR) e ogni volta non posso evitare di associare il nome dell’editore – Rizzoli – a quello identico di un rinomato ospedale dove si va in pellegrinaggio per problemi ortopedici. La citazione del ginocchio della lavandaia, da parte di uno dei tre uomini, quale malattia lamentata da un altro dei tre notoriamente ipocondriaco, mi ha messo di buonumore (è divertente riconoscere la propria ipocondria in un libro molto amato dai tempi dell’adolescenza), finché non è diventata elemento di alleggerimento per una pena assillante.

Tuttavia, con il passare degli anni, ho scoperto di essere in compagnia numerosa – con gente anche giovanissima afflitta da rotture, distorsioni, distrazioni, …, alle ginocchia – e  in questo caso “mal comune” non è affatto “mezzo gaudio”. Ma come spesso accade a tutti i miei compagni di sventura, più sento male più provo voglia di camminare, di saltellare, di usare queste malandate articolazioni per farmi portare a esplorare i luoghi interessanti che sono tali, o lo sono molto di più, solo se visti a piedi, in piedi, in avvicinamento lento, o camminandoci in mezzo.

Perché se ci arrivi lentamente hai modo di lasciare che le immagini ti lavorino dentro, di osservare come la luce batte su un ramo e gli dà un ruolo diverso nel contesto in cui lo stai guardando, o di lasciarti pervadere dalla vastità di una montagna che incombe e lasciare che rotoli su di te, in una sorta di mite sopraffazione. Come accade anche nell’assaggiare un vino o un frutto, per arrivare al cuore del sapore, cioè al senso del suo essere, vedere le cose nelle diverse luci non è così immediato; e le ginocchia sono importanti, perché ti portano proprio lì.

Sto scoprendo un sacco di cose sulle ginocchia (anche sul vino, se posso divagare un attimo) e sulla loro importanza. Naturalmente ho la mia guida fisioterapica e anche lì (le scoperte non finiscono mai) ho capito che la scoperta è reciproca, che riattivare le mie articolazioni non lascia indifferente la mia fisioterapista – una sorta di transfert che passa dalla manipolazione delle mie ginocchia, da cui acquisiamo conoscenza, entrambe.

Così ieri, nel percorso (l’ennesimo) verso la remissione da un piccolo trauma, mi è stato applicato un ‘taping’, una gabbia di nastri che inviano messaggi stimolanti al mio sistema neuromuscolare; il messaggio deve essere particolarmente penetrante perché riesce a modificarmi l’umore e la vista. E a farmi camminare spedita.DSCN7013

Svanimenti

Ho ascoltato con interesse oggi alla radio, mentre guidavo in val d’Orcia e adiacenze, un manipolo di scrittori del Nordest parlare della scomparsa del paesaggioDSCN8649 nel Veneto – un paesaggio rinomato costellato di ville patrizie (tra cui quelle palladiane); e qualcuno diceva pure che la risulta di un’industrializzazione fatta senza pianificazione e senza valutare gli effetti che avrebbe avuto sul paesaggio (con ricadute drammatiche in diversi ambiti), dovrà essere recuperata – deve essere recuperata, dai cittadini delle nuove generazioni … I ragionamenti e la discussione erano tutti molto interessanti; nel frattempo io attraversavo paesaggi famosi della Toscana meno antropizzata, eppure anche qui segni di scempi permessi da sindaci e da regione. Ma naturalmente qui siamo partiti da una zona e da situazioni di meraviglioso abbandono. Ora, nonostante la crisi e i mutamenti prodotti (o forse proprio a causa di quelli c’è un nuovo incubo, quello della ricerca di risorse “rinnovabili”, cioè energia dalla geotermia. Quello che non si rinnoverà nel caso si dovesse intraprendere quella strada, è proprio questo paesaggio, ancora incompreso dalla politica e dai sindaci

Coccodrillo per Slobo

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L’hanno trovato a Capodanno, rannicchiato su se stesso, in un angolo allo Scalo; quando l’ho saputo non mi sono sorpresa più di tanto; ci sono persone che si sottraggono al tuo sguardo – spariscono, oppure sei tu che non le vedi più – ed è la premessa a un’assenza definitiva. Solo che Slobo non è proprio una persona (ma anche questo non è un vero coccodrillo). Perciò non vi racconterò quanto fosse bello e buono, questo cane un po’ rompino: niente lacrime per Slobo che ha vissuto una vita piena e complessa. Però posso dirvi che è riuscito a chiudere nel suo sguardo un mondo intero; sia chiaro, un  mondo piccolo, ma ben variegato, pieno di difetti e ricco di nevrosi, e molto cosmopolita. La sua lunga vecchiaia è stata un po’ la parafrasi di un invecchiare umano … parafrasi e non  metafora (come poteva essere). La vecchiaia lui ce l’ha resa colloquiale, l’ha sciorinata anche negli aspetti più laidi (l’ho visto strusciare il culo in terra o contro un tronco: si vede che il prurito era piuttosto insopportabile); non si è lasciato prendere da dubbi sull’estetica dell’invecchiamento; era diventato sordo, ci vedeva poco, la salute vacillava un po’, ma era rimasto vispo e scodinzolante. Fedele – come è obbligatorio che sia un cane – al suo padrone, ma cordiale con tutti, come non è detto che un cane sia, nemmeno un cane da osteria. Anzi un cane di paese di solito è un po’ scorbutico …

Ho subito pensato, quando Maria mi ha detto (mi ha fermato per dirmelo) che Slobo “non c’è più”, che con tutta la cagnara che faceva dietro alle auto, ai trattori, ai furgoni dei corrieri, agli autotreni – inseguiti tutti e sempre forsennatamente -, è riuscito a non farsi travolgere mai dalle ruote di un mezzo – . Ed è riuscito a non farsi menare da nessuno di quelli che, allo Scalo, lo detestavano, brontolando solo a mezza bocca.

E’ riuscito ad andarsene nel modo ideale: in un progressivo venir meno dei desideri (forse anche meno fidanzate), senza che irrompessero fastidiosamente i bisogni dell’età, e senza diventare ‘qualcosa’ che pesa, ingombra e suscita sensi di colpa. E persino a morire senza obbligare qualcuno ad assistere alla dipartita, magari soffrendo; e a evitare le fatiche di un nuovo anno da passare spiegando a noi umani la fatica di invecchiare.

Marcello chi?

DSCN8620DSCN8616DSCN8621DSCN8631DSCN8626DSCN8627Di politica, di Milano, di Fininvest, di Mondadori, di elezioni, di Renzi, di consorzio del Brunello, di Forestale, di agricoltura, del ministro. Ma anche delle occasioni perdute quando ci si dimentica del paesaggio – mai uguale a se stesso – di questi versanti che si svelano dopo un tornante, in una strada bianca mai percorsa prima (e succede di continuo); infine del vino – mai uguale a quell’altro – che ogni volta rivela facce inedite e riesce a metterti di buonumore, anche in tempi non troppo allegri come questi. Ma io so bene di non sapere, o di sapere davvero poco di vino, di vigne, di versanti, di profumi. Mi limito a sentire, anche se Sauro e Gianni pare confermino le mie sensazioni …di tutto un po’ si parla, in un pranzo domenicale pacatissimo, ricco di ingredienti e di argomenti …

Il vino dunque e i due vignaioli (le due vignaiole!) che ce lo versano sornioni nei bicchieri è il filo conduttore silente: niente commenti, no descrizioni, i nasi affondati nel bicchiere a cogliere il profumo che stimola i ricordi. A ciascuno il suo. Per me l’ossobuco con risotto – zafferano, gremolada, midollo, insomma tutto tutto – vuol dire un salto indietro di anni ventitré e qualche mese (potrei essere precisa alla mezz’ora); tanto tempo è trascorso da un pranzo con Marcello, per festeggiare il mio compleanno, con un litro di Eau de Cologne Imperiale, l’ossobuco regolamentare e Dom Perignon assai meno regolamentare. Ricordo un tailleur blu (era marzo) e gli orecchini di corallo (rapinati con tutto il resto esattamente cinque anni dopo, nello stesso giorno), l’auto blindata, due gorilla che non provenivano da una canzone di Brassens e io che pensavo intensamente a un Barbaresco che avrei abbinato volentieri all’ossobuco, in luogo dello champagne.

Oggi è tutto più semplice e soprattutto non c’è quella tensione nell’aria, che allora mi rese il pranzo (un po’) meno piacevole, ancorché sontuoso. Ah il potere del vino!, dallo champagne (e che champagne) sono passata al Brunello, anzi a due, e che Brunello!. Ma lasceremo che gli ottimi Sauro &Gianni ne parlino come si deve, io sono solo capace di coglierne il piacere, guardando il paesaggio fuori, che si trsfigura all’idea di pioggia imminente. I commensali ridono, nonostante gli accenni alla politica; mi torna in mente Marcello e renzianamente mi viene da pensare: Marcello chi?

Ritorno a casa

Dopo mesi di fatica e di immobilità, decido di tentare. Il cane e (per maggior sicurezza) un bastone: caso mai il ginocchio facesse un capriccio. Riparto dall’idea di far contento il cane, travestendo il timore in dovere; nel cielo è tutto un rincorrersi di nuvole, giro accanto al podere (“dov’era l’ombra or sé la quercia spande”) … La caduta della quercia ha cambiato un po’ questo angolo di campagna e più ti allontani più è evidente. A Blackie basta la parola ‘giretto’ per avviarsi, però si volta perché sa che io sto provando, ma non sono davvero sicura di farcela; corre, si ferma, pisciacchiaDSCN8609, poi torna indietro e mi guarda. Quando capisce che ci sono e che non ho problemi, riparte. Azzardo il solito giro, più che altro perché non sono certa che lui capirebbe le ragioni di un’abbreviazione; tuttavia nell’ultimo tratto cammina al mio fianco – cosa non proprio consueta per lui -, poi quando siamo in vista del podere va su veloce e mi aspetta davanti all’uscio: è ormai buio e i suoi occhi brillano ammiccanti, come due led. Brinda con un biscotto, per accordi precedenti.

Entomologia

Quando parli con un abitante del piccolo paese e questi ti racconta dettagliatamente i guai di qualcun’altro (ti accorgi che gli si illuminano gli occhi!) sarai certo che a qualcun’altro racconterà di te, del tuo sguardo, delle eventuali angosce o dei problemi che ti sarai magari lasciato sfuggire. Se hai sempre abitato luoghi più movimentati di un piccolo paese (in cui se fosse possibile sarebbe criticata anche la frequenza con cui fai la pipì), ti sarai stupito intuendo quanto “gli altri” siano il principale – o addirittura l’unico – argomento di conversazione … Chiacchiere non sempre innocenti che circolano sulle persone  – situazione famigliare, corna, salute, molestie, banca (i soldi degli altri interessano moltissimo!) – sono all’ordine del giorno, ma c’è sempre un tocco speciale, ed è il sorprendente piacere che pare suscitare l’eventuale altrui disgrazia, soprattutto se i problemi ce li ha qualcuno che aveva l’aria di vivere una vita diciamo così abbastanza spensierata.

Dev’essere un morbo tutt’altro che raro nell’universo mondo (paesano), se in tedesco c’è addirittura una parola composta per dirlo – Schadenfreude (gioia maligna, o delle altrui disgrazie) -; una variante un po’ più sofisticata è quella che prevede la descrizione delle fortune davvero immense e sfacciate di qualcuno/a che si suppone tu abbia in uggia, o che si presume ti stia antipatico/a, ovviamente per farti torcere dalla rabbia, e fare in modo che tu lasci trasparire i tuoi sentimenti per poi riferire ad altri.

Se invece esprimi dispiacere, quando ti raccontano i guai di qualcuno, allora ci si affretta ad aggiustare il tiro e aggrottare la fronte, con aria di partecipazione. Può risultare difficile capire dove finisce la chiacchiera, magari boccaccesca, ma innocua, e dove inizia quello che diviene tradimento della privacy, anche se è facile capirlo per ciò che riguarda la riservatezza “assoluta” a cui sono tenuti, per esempio, gli addetti di una banca, o quelli delle istituzioni.

Difficile convivere con le chiacchiere, in un piccolo centro; difficile non provare malessere e un senso di impotenza, ma anche di paura. Prima di tutto la paura di diventare così – è più facile di quanto si possa immaginare, riflettevo – e lasciarsi trascinare in un gorgo un po’ melmoso… Un buon antidoto è la lettura, perchè ci sono molti autori – Piero Chiara è uno degli esempi più importanti – che dalle chiacchiere paesane, dalle avventure e disavventure di famiglie, parroci, notai, massoni, medici, ostetriche, eccetera hanno tratto racconti (romanzi) appassionanti e anche molto divertenti. Chi non legge – recitava in uno spot pubblicitario Luciano De Crescenzo – resta come il cavallo … A me pare che chi non legge si perda un bel pezzo di vita e l’occasione per recuperare un po’ di uso di mondo e imparare a dire ciò che si pensa liberamente.

Ti odio

Suggestivo, fiabesco, evocativo, poetico, avvolgente, commovente, mirabile o mirabolante, cinematografico, leggendario, superbo, classico, mitico, dolcissimo, inebriante, epico, sublime, bellissimo, scabro, selvaggio, ricco, sorprendente, nebbioso, misterioso, mutevole, luminoso o lucente, splendido, rasserenante, sensuale, romantico, antico, coinvolgente, autunnale (primaverile, invernale; mai estivo), eterno, antropizzato (poco o molto, o scarsamente), vasto, vertiginoso, aulico, …DSCN7761Un paesaggio può essere tutto questo e molto di più (o di meno): basta chiudere in una parola l’emozione che produce nella nostra mente, descrivere l’effetto sul nostro umore. Basta lasciarsi andare alla nostra lingua, magari riconoscere le nostre emozioni nelle parole di un autore amato, o particolarmente efficace. Non ci vuole molto, solo un po’ di sensibilità e l’allenamento a vedere e a cogliere il bello (o il brutto!). Tutto si può dire di un paesaggio, ma proibirei, anzi sanzionerei l’uso dell’orrendo, fasullo e provincialoide “mozzafiato”. Un aggettivo finto, usato a ruota libera, per sentito dire, senza senso. Un aggettivo che odio per la sua inadeguatezza e incapacità di raccontare le nostre emozioni.

Epifania

DSCN5998“Stanno vendendo le isole greche…” ho pensato quando la guardia del Parco regionale dell’Uccellina mi ha detto che non si può andare a Marina di Alberese in auto, ma solo a piedi o in bici. “Ma che c’entra, qui non siamo mica in Grecia e poi stanno solo facendo dei lavori per impedire alla pineta di morire” ho subito ri-pensato, buttando acqua sul pensiero precedente. “Si comincia così, ed è un modo per deviare il corso delle abitudini; sta a vedere che dopo cinquant’anni che ci vengo mi ritrovo la spiaggia privatizzata …”.

No, certo che non sarà così (almeno spero), ma questi sono i pensieri nuovi, quelli a cui ci ha abituato questo tempo presente, in cui la certezza, anche sulla proprietà pubblica di paesaggi o monumenti, o istituzioni, non ha più cittadinanza. Come una giornata in una spiaggia, senza inutili pedaggi (a parte l’igresso a ore, al parco), senza orpelli, con (ancora) un sentimento di libertà: seduti tra ginepri, rosmarini e tamerici, di fronte al mare, a leggere o a oziare, in silenzio, ascoltando il vento.

Non sarà così, non succederà, tuttavia sarà meglio farci un salto, portarci gli amici, chiamare quelli del FAI, scrivere a Italia Nostra, telefonare agli ambientalisti, noleggiare le biciclette, mettere le gambe in spalla, avvisare i vicini … Tutto fuorché tenersi il dubbio dentro, per non passare da disfattisti, per non essere vissuti come nemici del “partito” o del sistema, guardati come inaffidabili gruppettari che non vogliono adeguarsi ai tempi (orripilanti, peraltro) e ai passi dettati dalla necessità di rinunciare a certi effimeri piaceri (nostri), per far quadrare un qualche cerchio e tappare qualche buco. Meglio figurare come apprensiva, allarmista, snob, piuttosto che finire su una sdraio in fila per quattro con l’avanzo di niente …