Ci rendiamo tutti conto che il “mangiare” è diventato centrale nelle nostre vite. E’ centrale per chi mangia in abbondanza, lo è per quelli (sempre più numerosi) che devono fare bene i conti per arrivare sul filo di lana della fine mese; lo è ovviamente per chi il cibo lo vede con il binocolo e mangia solo grazie a un sistema sempre più intricato (e non sempre trasparente) di organizzazioni che si occupano di distribuirlo a chi non ha niente.
Ma non tutti ci rendiamo conto che “mangiare” e “nutrirsi” (due azioni non sempre sovrapponibili) sono il mercato più interessante per le multinazionali. Invece di questo fatto bisogna tenere accuratamente conto. Mi viene in mente la Nestlé di quando ero piccina ed era il marchio del mio latte, proveniente direttamente da quel nido – marchio dell’azienda amica (nest=nido) – in cui gli uccellini erano idealmente i miei compagni d’infanzia. Poi ho ritrovato la Nestlé come cliente – difficile e ambìto – in agenzia di pubblicità; era già un’impresa diversa, in odore di problemi africani (il latte artificiale non dà ai neonati quella protezione rispetto all’ambiente – protezione indispensabile in paesi africani – fornita solo dagli anticorpi del latte materno), un’impresa che diversificava alla grande, diventata un colosso multinazionale. Ora, infine, so bene che le multinazionali, difendendo le proprie politiche produttive, sono in grado di fare praticamente quello che a loro conviene di più e che consente i margini più succulenti all’azionariato (soprattutto agli azionisti di riferimento!), so che decidono al posto dei governi (anche alla UE!), so che strattonano la libertà di stampa che del resto non esiste (quasi) più.
Per questo, stamattina, incappando in un post su Facebook, con una foto che ritrae uno stand (al Vinitaly?) che inneggia alla bontà del Gliphosate (Glifosato), mi sono ritrovata a scrivere una lunga tirata, anziché il solito commento al fulmicotone.
L’ho fatto e continuerò a farlo perché sono ben consapevole dell’ingenuità, o della vaghezza, di chi commenta, o interviene, volendo dare supporto a un’agricoltura bio e più attenta alla salute di prodotti e suolo Perché il “mangiare” che è diventato un mercato immenso (siamo tra i sette e otto miliardi di persone che “mangiano”) ha origine da campi, orti, distretti: la terra che ci dà prodotti, dove pascolano armenti e greggi, dove sgorgano sorgenti. Terra che trattata in un modo o nell’altro può darci cibo di qualità diverse. Terra che di proprietà diverse può originare (vedi cinesi in Africa) modelli sociali, politici e umani, clamorosamente diversi gli uni dagli altri.
Per questo, convinta come sono delle battaglie in corso – per un suolo più sano (colture bio e biodinamiche), una limitazione ragionevole del consumo di carne, un rapporto più “umano” con gli animali, una relazione più prudente con la chimica, una nuova attenzione alla cultura come elemento nutrizionale – vorrei che tutti quelli che si sentono coinvolti (e non sono pochi) in questo sguardo ecologico, imparassero a tener conto di chi hanno di fronte e fossero consapevoli dell’urgenza di creare nuovi modelli culturali, capaci di coinvolgere anche chi ha orecchi solo per sentire il rumore dei soldi.
Io penso che se Trump – uno con quella faccia, con quello sguardo, con quella voce (dimenticando cravatte, ciuffone e vestitoni) – è diventato presidente degli Usa, è solo perché c’è molto trumpismo in circolazione; sotto traccia, carsico, trova il modo di uscire allo scoperto ben travestito, per dirci che è più comodo, più conveniente, più indolore, dare ragione al più forte; dare ragione, come devono fare i giornalisti troppo spesso a chi investe in pubblicità tenendo in piedi i giornali; dare ragione a chi è amico dei politici e degli amministratori (e li tiene per la pelle di qualcosa) e può influenzare le decisioni politiche e premere affinché non sia scritto tutto quello che potrebbe essere scritto – cioè la verità – su prodotti, tecniche, tecnologie, futuro. Anche quello che deve essere scritto su molecole pericolose per la nostra salute e per quella del nostro futuro. Imparare a comunicare – ribattendo con calma e correttezza -, non stancarsi di farlo, giorno dopo giorno, per sempre. Senza perdere di vista l’obiettivo di salvare la salute del futuro.