Anteprima d’autunno

Luciano Ciolfi, montalcinese verace, mette in tavola una bottiglia di Sassella e una ventata d’autunno, quasi lombardo. Per farmi capire che la stagione è cambiata era bastata la luce sul mare, ieri: percettibilmente diversa. Per apprezzare il cambio di stagione, oggi, andava molto bene l’insalata di porcini incoronata dal Sassella. Poi la nuova stagione bisognerà capirla e viverla, con un pullover e un po’ di coraggio. Prima la vendemmia, poi la raccolta delle olive. Vita, arte e buoni pensieri.DSCN7159DSCN7157DSCN7138DSCN7120

La Danza immobile della Finanza

I ricchi, quelli veri, possono essere molto simpatici – soprattutto quando lo sono in misura tale da far parte di un mondo totalmente alieno, in cui tutto avviene diversamente e molto facilmente -, invece il giornalismo prono nei loro confronti è molto meno attraente. Questo mi è venuto in mente, l’altro ieri, leggendo il Corrierone e rammaricandomi sentitamente per un articolo che sta al vino come i racconti di certi ‘reportage’ di guerra scritti in albergo stanno al sangue che si versa nelle battaglie dove si muore.

Così, dopo aver incontrato per la prima volta Piero Palmucci, nell’ormai lontano 1995 (esattamente sabato 24 giugno 1995), agli inizi del suo faticoso e appassionato (e appassionante) lavoro, e dopo averlo reincontrato e frequentato negli anni, fino a diventarne in un certo senso amica, sono rimasta esterrefatta nel “ritrovarlo” (insieme all’uomo che con il suo “senso del Sangiovese”- Giulio Gambelli – l’aveva indirizzato e sostenuto e fatto crescere) raccontato implicitamente come uno che dato “il microclima, il terreno, la posizione, …” ben indovinati, si era ‘ritrovato’ a produrre un vino formidabile…

E’ proprio questo giornalismo che riduce il vino famoso a una perla rara che uno molto facoltoso che fa tutt’altro può semplicemente comprare, perché con i soldi si può fare. E aggiungo per chiarezza: va benissimo che un ricco alieno acquisti questi beni: spesso poi le cose procedono come si deve, perché spesso i ricchi sono anche molto ambiziosi e perfezionisti. Tuttavia il vino non è – da quello che osservo, conosco e so, da qualche decennio – solo una sala d’attesa. E’ lavoro – tanto lavoro – è gente capace che scruta la terra e la capisce, è rischio (quando una grandinata, una stagione storta, un incidente di percorso mettono a repentaglio un’annata), è soprattutto talento e passione; ed è un peccato che chi si mette a raccontare Re Brunello (e non il Re dei vini, perché esistono anche altri reami), si incarti davanti a una montagna di soldi – fino a darne conto al lettore (parliamo di vino?) – anziché davanti alla complessa storia di Piero Palmucci, alle sue visioni e alle sue fatiche e al racconto della scontrosa passione di quell’uomo (Gambelli escluso in quanto c’entra solo con il suo personalissimo rapporto col fare vino di Piero).

E, naturalmente non c’è (ancora nei suoi vini) solo il Palmucci, ma penso ai tanti piccoli viticoltori, alle grandi famiglie che nel vino ci stanno da sempre, e penso anche ai grandi proprietari che sono mille miglia distanti dai primi, ma che della poetica del vino fanno altrettanto parte. E’ la conoscenza di questo variegato mondo che può migliorare la tipologia dei consumi del vino, e nel contempo, la comprensione di quel “lavoro”(!) e del nostro tessuto paesaggistico e perciò produttivo. Non il capitalismo che quel mondo se lo incastona nella corbeille dei successi mondani: e, ribadisco, senza alcuna pre-riserva nei confronti di quel capitalismo (quando ha fatto i soldi facendo). Il vino è importante per il nostro paese; la ricaduta mondana è una spolverata di belletto su un mondo vero, complesso, profondo quanto la terra.

E’ questo giornalismo di avant’ieri, così lontano dal lavoro e così incantato davanti alla ricchezza, che allontana la gente dal (vero) mondo del vino, un mondo importante che, in questo scorcio temporale così strano, con guerre sull’uscio di casa e con la finanza che governa gli umani e tra un po’ ci dirà anche a che ora si fa la pipi, ancora esiste, costituisce un principio di realtà, ed è – posso assicurare: io che di ricchi buoni e cattivi, banali e coltissimi, ne ho conosciuti un bel po’ e da molto vicino – più affascinante del denaro, addirittura irripetibile. Tant’è che chi il denaro ce l’ha, ne spende un po’ per comprarselo. Il mondo del vino è un mondo infinitamente più attraente e dinamico e battagliero e reale della sala d’attesa dorata descritta sul Corsera: si vende la terra, si vendono i muri, si acquistano vigneti e annate, si acquistano persino uomini di talento, ma non si compra la passione, né la fatica di fare, né la poetica del vino. Che sono un po’ le forche sotto cui passano tutti gli uomini (e ovviamente, le tantissime donne!) del mondo del vino, anche quelli che non vanno in prima persona a zappare la vigna. Ma questo la proprietà del Corriere della Sera non lo sa, intenta a seguire la danza immobile della finanza. lavoro finito

Altro Tempo

 

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Leggevo ieri un articolo firmato da Massimo Fini che criticando il buio morale di questo periodo affermava la necessità di una ‘crisi vera’- quasi invocandola – per trovarsi di fronte a bisogni primari e attraverso l’urgenza delle necessità più elementari recuperare un senso del vivere e del vivere insieme, che sembra sempre più sfuggire, sfaldarsi e perdere i contorni. 

Ho rimesso al loro posto delle foto della mia infanzia, scattate da mio padre in tempo di guerra; girandole per sistemarle ho riletto le frasi di commento che papà scriveva puntualmente sul retro di ogni foto – ne ho moltissime e i commenti sono una specie di cronaca di quel tempo – e dietro questa foto, in cui evidentemente giocavo alla “piccola lavanderina” c’è scritto un pensiero, che mi veniva attribuito, debitamente virgolettato “posso usare il sapone? siamo in guerra e non se ne trova…”, seguito da una riflessione di mio padre preoccupato per la guerra, e che però un po’ si consolava pensando alla mia età. In quegli anni, mia nonna aveva la mia età di oggi – era forte, ma molto diversa da come sono io, anche fisicamente; era una donna minuta, terribilmente energica e grande lottatrice – e mi chiedo come reagirei io a una guerra o a una carestia, domani.

A merenda con l’Architetto

l'architettoUna delle prime cose che ho imparato, venendo qui, sono le merende. Spesso vere e proprie tenzoni gastronomiche, sempre ricche di piatti e ricette che escono dalle mani sapienti delle signore che cucinano con energia, e provengono dalla storia di questa campagna dove nei secoli la gente ha imparato a usare tutto ciò che la terra offre, a mettere insieme quello che è di stagione, a non sciupare nulla e ad assaporare tutto. Ogni occasione è buona per vedere spadellare e friggere, per apprezzare una sfoglia casalinga e una crostata con quella marmellata speciale. Domenica l’occasione per una merenda è anche più interessante, perché preceduta da una presentazione che riguarda tutti gli abitanti (ma molto interessante per i visitatori), che potranno rivedere il paese nel “Lo Sguardo dell’Architetto“.

Sarà Renato Baldi, architetto fiorentino che segue la stagione delle rondini, e da sempre vive lunghi periodi in questo paese, a riproporre una visione tridimensionale di Sant’Angelo in Colle, in scala perfetta, filtrata da cultura e passione, offrendo il suo lavoro allo sguardo dei paesani e di tutti i visitatori benvenuti.

Alle 17;30, domenica 22 settembre, al Circolo di Sant’Angelo in Colle. Segue merenda!

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Guarda come dondolo…

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Guarda come dondolo e non fare brutti pensieri. Mi piace questo soffio di tramontanella che passa fra acino e acino e solleva un po’ le mie foglie. Guarda come dondolo, invece di continuare a scrutare il cielo, e lasciami dondolare piano, con il sole che disegna ombre sempre diverse e le foglie che si agitano lente. Quando cammini e mi sfiori posso sentire il fruscio dei tuoi pensieri; tu corri in avanti, mi vedi già diraspata con i sughi che scorrono e macchiano dappertutto…Calma! Ho diritto anch’io al mio autunno – non temere, maturerò bene – però fammi prendere tutto il sole che posso; lascia ogni cosa a suo tempo, fammi godere il fresco di queste serate (tu intanto infilati un golf) dopo il caldo breve (sempre più breve) del sole settembrino. Vuoi sentire il mio profumo? Abbi pazienza e non maledire il meteo. Io intanto ce la metto tutta, voglio lasciare un buon ricordo di questa mia stagione. Vorrei che tu ti ricordassi le mie forme, i chicchi, le nuvole che cambiano le ombre, l’odore della terra, e il vento… guarda come dondolo e pensami, un giorno, guardando nel bicchiere.

Salto de’ Tassi

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Per una volta i tassi non sono quelli con cui veniamo afflitti e ricattati quotidianamente dalla politica italiana ed europea ai suoi minimi. Per una volta questa è una buona notizia (GoodNews from Montalcino) e il salto è nella modernità; perché FranciBio è un assaggio di modernità, un frizzolo di diversità. E’ un qualcosa che rompe con le consuetudini, un po’ rigide e conformiste di questo luogo sopraffino che ancora (non è solo il mio parere) non si esprime al suo meglio, svelando tutte le sue sfaccettature. Bene questa è una ‘sfaccettatura’ che merita di essere registrata e sottolineata debitamente, e sarà fatto. “Salto de’ Tassi”, un po’ per gioco, un po’ perché bisognava dargli un titolo e Fabio Tassi ha fatto il salto giusto.

Da Franci Bio ci sono stata in un’occasione preziosa, venerdì scorso, con Francesco Leanza che presenta e parla dei suoi vini e del suo fare vino. Vent’anni fa, più o meno, Leanza è stato il primo a lavorare la terra, a fare una vigna, a produrre il suo Brunello, in modo naturale, con uno sguardo che partiva dalla passione per quel lavoro e per il Sangiovese, e – non certo da ultimo – per Montalcino. A Francesco Leanza devo gratitudine, perché la sua testimonianza, con le mani sporche di terra, ha incoraggiato molti a seguire il suo esempio. La forza del pensiero che ha messo in quello che faceva e fa, con talento e passione ha rotto schemi e concrezioni. Una persona e uno sguardo che non possono non piacere. Soprattutto dopo aver assaggiato i suoi vini! DSCN6933

La Scuola che volò da Montalcino

A volte i sogni ‘non finiscono all’alba’, prima di una sana camminata tra le belle vigne che circondano questo paesino, questo hamlet di Montalcino. Può succedere che incontrino momenti, situazioni e gente speciali e che vedano la luce di menti lucide, di persone brillanti e soprattutto coraggiose. E che non galleggino a mezz’aria in un paese (in un continente?) che pare affetto da narcolessia, un intorpidimento allucinato e pessimistico, da cui non riesce a scuotersi. In un altro post, mesi fa, avevo accennato a un giovane architetto che all’inizio degli anni novanta venne a Montalcino; avevo anche scritto di un collega di lavoro che si occupava di formazione e di un progetto che, con quest’ultimo, avevo studiato: per creare a Montalcino (si stava costituendo il Parco della Val d’Orcia) una scuola di arti e mestieri che avesse l’obiettivo di “ridare al lavoro manuale dignità e valore” e fascino, con l’apporto e il contributo di poeti, scrittori, filosofi, artisti; ma anche di imprese e aziende di servizi, oltre agli indispensabili maestri d’arti e mestieri. Stiamo parlando di un’altra Italia, di un tempo passato, che mi pare ci sia scivolato tra le dita – perso per sempre? – le cui opportunità nessuno ha saputo cogliere, tanto meno la politica – distratta da altre ambizioni, da sogni con ali più corte -.aung_san_suu_kyi_time[1]

Ora però, il giovane architetto francese – che a suo tempo si laureò a Lyon, proprio su quell’idea che trasformò in una tesi e poi in progetto – “L’ècole de Montalcino” – è emigrato in Birmania, dove vive e lavora. E dopo una lunga storia in cui si intrecciano vita e professione, curiosità e pragmatismo, oriente e occidente, vino e ideali…. in Birmania, nei luoghi in cui – a lungo e di recente – è stata anche mia figlia Margherita, la scuola che era stata pensata per Montalcino e la Val d’Orcia, è stata finalmente realizzata. Dallo stesso architetto, ora un po’ meno giovane. E a finanziarla sono state due donne, visionarie, generose e combattive – Myo Su, che l’ha fatta partire, e Aaung San Suu Kji, con la sua fondazione. Perché a volte i sogni volano lontano e atterrano in luoghi inattesi.

Si gira!

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Tutto il paese in azione, per Grandmasboy, episodio numero 05 (da tenere a mente) ambientato a Sant’Angelo. Esibizioni culinarie multiple: Liliana, Alba, Enza, Giuliana hanno insegnato a Donal – giovane star d’Irlanda -, a Jacopo, a Francesca e a Claudia il comesifa di pinci e donzelline. Tutto per finta? No per davvero! Perché a Sant’Angelo si gira e poi si mangia.

Agostina e l’estate

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Un luogo come in Toscana, la bottega di Agostina, che qui diciamo “da Luciano”, e non sono nemmeno certa che gli faccia piacere se la chiamo ‘bottega’, perché magari questa parola gli suona riduttiva.

Ma non è di questo che volevo parlare, perché la cosa interessante – entrando qui – è che accanto ai prodotti consueti, che ti aspetti di trovare in un emporio di paese (e ci sono tutti), se sbirci un po’ di lato c’è Agostina che spignatta in cucina, e i profumi sono quelli che ti fanno venire l’appetito.

Sant’Angelo è uno strano paese, pieno di angoletti da scoprire e di cose da assaggiare. Spesso la bellezza è anche buona, anzi quasi sempre; oggi ho trovato le verdure ripiene: a ciascuno il suo ripieno, così ho scelto i peperoni e gli zucchini tondi (che non so mai se sono maschili o femminili), uno ripieno di ricotta e l’altro glurg! non mi ricordo più. In realtà queste verdure  – colori a parte – non sono molto fotogeniche, ma sono tutte così buone che anche la giornata è sembrata migliorare di colpo. E le ho fotografate ugualmente, le verdure ripiene, prima di pranzo, per non perdere di vista questo classico dell’estate. Come ai tempi di una volta, sembra di essere in Toscana..

Gli occhi azzurri di Alberto B.

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Scrivo pensando a ciò che Alberto Bevilacqua avrebbe detto leggendomi, ma lui non può più farlo e ciò mi rende un po’ meno libera, tuttavia. Alberto non era un amico, nemmeno un conoscente, anche se qualche prova di (vera) amicizia da lui l’ho avuta e per conoscerci ci si conosceva molto bene. Ma Alberto era l’Autore, quello con la “A” maiuscola e non perché faceva Alberto, ma per l’ovvia ragione che portava immensi guadagni all’editore. Per questo, quando riuscirono a catturarlo, gli ordini di scuderia furono tassativi e assolutisti: andava assecondato, in tutto e per tutto.

Ma se mi aspettavo un dittatorello isterico e vanitoso – come troppi autori che non conoscono lo specchio, soprattutto quello dell’anima – mi fu dato di ritrovare qualcosa di diverso e non c’è tempo qui, ora, di raccontarlo. I ricordi vanno alla rinfusa, dalla sua conoscenza della banda della Magliana – e i racconti puntuali che ne faceva, le gesta e i caratteri, a chi aveva inclinazione all’ascolto -, al tonno con piselli che mi servì una moglie (slava, mi par di ricordare) a casa sua, a Vigna Clara, una sera di venti e poco più anni or sono. E l’ultima nuotata insieme, all’Argentario, dov’era in vacanza al Pellicano con l’amica di quell’anno 1994; e il consiglio “parla con l’Opus Dei, ti possono aiutare”, in un momento difficile (suggerendo ovviamente anche il nome giusto).

L’amico delle donne, soprattutto delle cento e più mila lettrici degli anni d’oro dell’Italia che non leggeva, amava l’azzurro (come i suoi occhi) e temeva la morte, ma forse più ancora la decadenza fisica – lui che aitante non era, ma poteva vantare mille sfumature di una voce interessante, che sapeva usare e che usava.

Un viaggio a Lily Dale, per lanciare un suo titolo in uscita, mi valse l’incontro con il mondo della spiritualità americana e non solo, ma soprattutto la momentanea guarigione dal mal di schiena, da cui ero stata colpita con l’arrivo di Berlusconi in casa editrice; di quel viaggio a New York, con il consueto nugolo di giornalisti importanti avemmo occasione di parlare anche per altre ragioni, che riguardavano la politica italiana, di cui conosceva praticamente tutti i retroscena.

Tra tante foto, ne ho scovata una del giorno in cui l’ho consolato un po’ della vecchiaia incipiente, rivelandogli che somigliava sempre più a un pittore fiammingo. Gli piacque.