BUON ANNO?!

No – dico! – vogliamo augurare buon anno proprio a tutti? Tutti, tutti? Anche a quelli che ci hanno messo in crisi? Anche a quelli che vogliono farci vedere lanterne dove ci sono (pochissime, ormai) lucciole? Anche agli arroganti? Agli ignoranti con la pretesa di prevaricare? Anche ai molestatori dei più deboli? Anche ai capetti? Anche ai pistola? Anche alle caste? Anche agli intimidatori? Anche a quelli che toccano il culo alle donne quando pensano che nessuno li veda e ti minacciano quando sono certi che nessuno li sente?
Be’, cari amici, io a questi qui – e a tanti che hanno reso la nostra vita difficile (e a volte pericolosa), con comportamenti ambigui, insidiosi, al limite del lecito –, questa volta, non auguro buon anno.
Buon Anno, invece a chi sa ridere di sé stesso, a chi lavora duro per sbarcare il lunario, ai ricchi illuminati (pochi, ma ci sono!), ai troppi poveri (tanti e rapinati), a chi non serba rancore; buon anno a chi si ricorda degli altri, ai beneducati (pochini), a tutti quelli che sanno voler bene, a chi sa fare un passo indietro, a chi si scusa, a chi ha il coraggio delle proprie idee; buon anno ai generosi, agli imprudenti, ai visionari, a chi sa di non sapere abbastanza (e cerca), a chi si spende per gli altri (ce ne sono alcuni!), a chi sa apprezzare la franchezza, a quelli che la raccontano giusta, a chi si ricorda, a chi sa dimenticare … e a tutti i non allineati (con l’augurio che il non esserlo serva a qualcosa).

Natale & C.

Sono i giorni più difficili dell’anno; sono la riprova delle nostre contraddizioni. Sono come un parafulmine su cui si scaricano sentimenti e paturnie. E poi c’è il pranzo, responsabile – insieme a tutti gli altri episodi enogastronomici di questi giorni – di un nostro incremento annuale di 500 grammi di peso; un mezzo chilo che non smaltiamo più durante l’anno e che ci si accumula addosso insieme ai ricordi – quelli piacevoli e gli altri amarognoli – di un periodo dell’anno che emana un’atmosfera speciale, anche se te ne stai solo e fermo in casa tua.
Per questo Natale ho aperto un dono ricevuto da Franco Biondi Santi. Ho bevuto la sua bottiglia pensandolo con gratitudine.

Lampredotto’s Day

Non è la prima volta che il paesello riserva sorprese inedite. Avete visto le facciate spente e le imposte chiuse? E la piazza deserta? Negli stessi luoghi, basta il guizzo di un uomo che pensa ad andare avanti, che ha in mente le tradizioni e che sa bene quali sono, da sempre, le risorse indispensabili per superare l’inverno – iniziato giusto avant’ieri –. Sono sempre le stesse e vengono dagli anni non lontanissimi in cui erano il buon cibo (anche semplicissimo) e un buon bicchiere di vino a migliorare l’umore di chi conosceva soprattutto il lavoro.
Così ieri sera è circolato l’sms che prescriveva una merenda supermattiniera al Leccio, un’invenzione natalizia di Gianfranco e di suo figlio Luca. “Lampredotto’s day”, ha visto un’affluenza molto casual di genti ben mescolate – una classe unica senza discriminazioni sociali: buongustai –.
C’era il lampredotto, dunque (e chi non lo conosce se lo fa spiegare), il lambrusco che giocava fuori casa, il prosciutto dei luoghi e persino pasticcini immigrati dall’Amiata.

Buon Natale.

Scienza della Comunicazione

Sono giorni che mi scervello per capire il senso di questo annuncio ‘pubblicitario’, che di certo promuove un’attività non profit, ma di quale attività si tratti rimane un mistero. Se dovessi decodificare, dall’annuncio così come appare, un obiettivo della comunicazione, potrei azzardare qualcosa che assomigli a un’esaltazione della promiscuità ‘senza barriere né confini’, di nessun genere. Non riesco a capire però quale azione sociale possa richiedere l’accostamento di due modelli così stravaganti – sia chiaro che non lo sono in sé, ma nell’accostamento l’uno all’altro e soprattutto per l’uso che se ne fa –, quale pertinenza vi sia tra il claim “il cuore si scioglie” (e perché e come mai, esso si scioglie, e il cuore di chi?). Forse il freddo che è arrivato di botto mi ha intorpidito le facoltà mentali. Chi ha tirato fuori i non pochi soldi per pagare la pagina sul regionale de La Repubblica, con un annuncio che non annuncia? I veri lavori anomali comprendono i troppi svolti da persone perfettamente incompetenti. Più idraulici, per favore, e non per modo di dire.

La Domenica del Villaggio

In una domenica mattina – ore nove circa – il cielo è livido e da un giorno è arrivato l’inverno. Le ultime decisioni della giunta comunale hanno tolto di mezzo tutto quanto ‘arredava’ la piccola piazza che ora è completamente spoglia. Di recente, tre funerali e due ricoveri ospedalieri hanno continuato la cronaca di una morte ormai avvenuta – quella del paese com’era e come l’avevo conosciuto – .
Tre personaggi in cerca di caffè più per testimoniare (a sé stessi) la propria esistenza in vita, che per necessità nutrizionali, hanno trovato inesorabili battenti chiusi nella piazza vuota– è stagione (anch’essa!) morta e chi apre il bar verrà da Montalcino –: non rimane che appostarsi accanto al robusto ailanto che sta di fronte alla corona di cipressi accanto alla strada che sale verso la piazza del paese, e guardare aspettando. Unica consolazione, nel vento tagliente della prima mattina è la corona di vigne, colline e campagna che fiancheggiano la strada che ci porterà l’espresso. Sarà lui o no in quell’auto che si è materializzata dopo la curva?

Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia

Anche se in questi giorni vado di fretta, anche se più che scrivere un diario di campagna, si sente sempre più l’urgenza di riflettere sullo strano momento, sulla recita a cui stiamo assistendo, non posso non annotare che ieri era Santa Lucia – un giorno dell’anno per cui provo un’innata tenerezza, un’inspiegabile simpatia –. Me ne sono ricordata ieri sera, mentre trafelatissima guidavo verso casa, crollando per il sonno. Ve lo ricordo, questo giorno speciale, con la sensazione che ‘porta buono’, anche se è davvero difficile da credere in questo momento.
Aggiungo che per molti bambini (fortunati) è anche il giorno dei doni; qui ha portato finalmente la pioggia e un’idea d’autunno che mancava (la foto della luna è di ieri sera).

Ciao Merkel!

Abbiamo pensato di chiamarci EUS o ESU – europa sfigata unita –, dopo esserci trovati intorno a un tavolo, da Pino e Daniela: greci, spagnoli e italiani. Ma sia ben chiaro: niente di consolatorio. Passato, presente e futuro di un’Europa, la cui ultima guerra fratricida ce l’ha ben presente solo la sottoscritta – il mio primo ricordo d’infanzia è uno spezzone incendiario! –, ma alla vigilia delle “misure” che gli anatomopatologi (incaricati dai politici) ci commineranno a partire da lunedì (pena il crollo dell’Euro: e sarebbe colpa nostra, di noi che non accettiamo di pagare invece dei grandi evasori e delle imprendibili mafie di connivenza universale), di un sabato che dovrebbe essere quasi inverno e invece è quasi primavera; due greci, una spagnola, i suoi figli italiani e la sottoscritta. Sappiamo di essere incorreggibilmente mediterranei, ma non per questo colpevoli. Tra tutti abbiamo mangiato zuppa di pane, mezze maniche alla molisana, cacio e pere al forno, insalata, bollito misto col ‘bagnetto’, orecchiette con i porcini. Dovremmo studiare un dazio d’ingresso nel sud d’Europa e destinarlo ai nostri giovani, prima che la Spectre si impadronisca di tutto questo bendiddio.

* Non sono riuscita a caricare questo post, in quei giorni. Mi sembra sempre attuale, anche “dopo” questo primo “prima”.