La Rucola Psichedelica

rscn1081Al primo momento non l’ho riconosciuta; mi sono sentita costretta a essere lì e non ricordo come sono stata invitata. Sono rimasta seduta di fronte a lei per qualche secondo, in silenzio, guardandola. Mi pareva che stessimo per iniziare a pranzare insieme. La scrutavo con attenzione, osservando la pettinatura, l’abito e l’aria preoccupata – anzi non proprio preoccupata, forse più determinata, con lo sguardo duro – . Gli anni passano e quando ti ritrovi di fronte a una persona che non hai visto da più di vent’anni è inevitabile cercare i lineamenti e le espressioni con cui l’hai ricordata per tutto il tempo in cui l’avevi persa di vista.

Con lei ci ho messo un po’ a riconoscerla: infine ho ritrovato i tratti, che un tempo mi erano familiari, ma non c’è traccia alcuna dell’espressione di un tempo. Una volta P. era bellissima, non appariscente, alta e con un corpo snello ma forte, forse ereditato dalla madre che era bracciante agricola: un’alchimia di caratteri ben mescolati, come succede per certe creature in apparenza eteree, che poi ritrovi a sfilare in passerella; giovani donne con l’aria assorta come se stessero covando un sogno impossibile. Lei invece ha sempre avuto un’espressione di scontentezza che le lasciava una ruga tra le sopracciglia, ma senza incidere nell’armonia dei lineamenti, nella sua bellezza notevole.

Non ho capito perché abbia voluto vedermi e soprattutto perché abbia scelto di confessare di aver ucciso; anzi, non credo che confessare sia l’espressione giusta, credo che abbia voluto coinvolgermi o implicarmi. Inoltre non ha usato proprio un’espressione chiara, per dirmelo. Ho pensato che sia successo per soldi, anche se non mi era mai sembrato che ne avesse bisogno, ma non so quando l’omicidio è stato commesso, e nemmeno chi è stato ucciso e come è avvenuto … Forse ha ucciso il marito?

Mi sono resa conto che non volevo sapere niente di niente e che il disagio iniziale si stava trasformando in paura, mentre proprio davanti a me lei si era messa a scavare e tutto a un tratto sembra che voglia tirar giù un intero pezzo di muro. La parete è ricoperta di piccole piastrelle come quelle di Bisazza, ma un po’ più grandi: lei ha incominciato a tirarne via due, facendo leva con un attrezzo che mi sembra troppo piccolo per un lavoro così impegnativo. Riportare alla luce un corpo non è una cosa da niente, e poi che farne? Ho provato a protestare, non so se riuscirò ad andarmene, se lei me lo permetterà.

La mia vita improvvisamente è stata sconvolta da questo incontro; mi sento travolta dalla situazione in cui sono scivolata quasi per caso, per distrazione, per incuria o per una mia negligenza …

Mi salva una spada che preme nella schiena: un dolore acuto, breve e profondo, ma sopportabile. Controllo se riesco a respirare e mi accorgo che va bene. Tutto a posto.

Sono stata nella vigna delle mie figlie, prima che iniziasse la vendemmia “vera”, quella più impegnativa da punto di vista delle attese e della suspense. Passano e ripassano, diradano, ‘buttano giù’ come dicono i vignaioli e a me continua a sembrare eccessivo. E’ un processo lungo, punteggiato dal tempo che fa, dalle variazioni della temperatura e dell’umidità.

Sono andata a vedere l’uva che sarebbe stata protagonista della vendemmia più impegnativa e ne ho approfittato per cercare un po’ di rucola al naturale per corroborare la mia insalata. Ma non l’ho vista: sono così abituata a quella che trovi dall’ortolano, in mazzetti, che non riuscivo a distinguerla. Anche perché la visione della terra, intesa come ‘ground’ elaborato, fatto di micro presenze, sassolini, stecchi, insetti, i minerali che danno colori diversi alla sostanza che chiamiamo terra e che è in realtà una miscellanea organica e inorganica, piena di vita, e di vite che interagiscono tra di loro, è così emozionante. Ti passa un film sotto gli occhi, se ti metti a guardare. E ogni erba ha una sua forma (e una sua personalità!). La rucola assume forme diverse e mia figlia me la indica, aiutandomi a coglierla. Io scelgo con cautela – con le erbe non si scherza! – e mi aiuta l’odore forte (fortissimo) di questa insalata.

A Milano abbiamo incominciato a mangiare rucola negli anni sessanta, in due o tre ristoranti toscani; l’uso di quest’erba è poi dilagato rapidamente; c’è stato un periodo in cui non c’era piatto senza rucola. Abbiamo iniziato con il “carpaccio” (allora solo di carne) e poi l’abbiamo anche messa nelle insalate, abbiamo guarnito gli arrosti, il pesce, (la pasta e i ripieni) e via a tutta rucola, per finire sulla pizza, dove mantiene ancora oggi un ruolo costante. Ma questa rucola di campo raccolta nella vigna mi rimanda a quelle che forse sono state le sue  possibili qualità ‘primitive’ (chissà). Un’erba che fa sognare sogni un po’ stralunati, che porta a galla sentimenti e dolori, riflessioni e pensieri e storie di cui non ci si ricordava nemmeno più. Ai tempi dei tempi questa rucola avrebbe avuto un ruolo ‘psichedelico’, e una poetica conseguente, altro che “carpaccio”! Questa rucola muove i sogni più che condire la pizza.

Il Cielo sulla Vigna

dscn0974Ci sono svariati modi di invecchiare … qualche settimana fa un cretinetti mi chiedeva su questo blog, commentando anonimamente (ovviamente!) un post che non ricordo più, “ma non invecchierai mai come tutti?!”. Beh certo che quelli che hanno l’occasione di invecchiare si portano addosso un bel fardello. E’ un processo (talvolta lungo) complicato e faticoso; ma d’altra parte – come pare abbia detto Woody – l’alternativa è davvero drammatica.

Ma non sto borbottando sul tema, né tantomeno facendovi un pistolotto promozionale per l’ultimo libro di Pansa (lui mi è simpatico, ma ho letto un’anticipazione del libro e mi sembra piuttosto la scoperta … del viagra!); perché nei tourniquet degli anni che passano, se devo fare un bilancio tra gioie (esagerando) e tormenti (esagerando, ma un po’ meno) non posso lamentarmi.

Forse perché l’abitudine all’empatia, acquisita lavorando in pubblicità, mi fa continuamente alzare gli occhi dal mio piatto per guardare ciò che succede altrove, soprattutto negli immediati dintorni e poi nei dintorni dei dintorni. Questo gesto abbastanza compulsivo (ma – giuro – totalmente privo di quella curiosità morbosa che mi è capitato di osservare o ascoltare in alcune persone), mi costringe a placare certi  sentimenti (e la mia innata impazienza) nei confronti di tutto quello che tarda ad accadere, come se gli appuntamenti posticipati fossero una iattura. Così, mentre freno lo scontento per cose che non girano come potrebbero (o come vorrei), mi capita di ritrovarmi toccata nel profondo dal dolore che all’improvviso piomba nella vita di qualcuno.

Un bel modo per iniziare impeccabilmente una giornata – in cui poi può accadere di tutto – è quello di dare ascolto al “Grande Piede” e lasciarsi scaraventare fuori casa, molto presto al mattino. (Si può camminare a qualsiasi ora del giorno, ma farlo mentre ancora un po’ di sé è immerso nel sonno è più emozionante). Camminare vuole anche dire guardarsi intorno, per me anche guardare il cielo, che mi piace e mi interessa molto. Fossi nata in altri tempi forse avrei imparato a leggervi dei messaggi e sarei diventata un’aruspice, ma vegetariana e incruenta

Oggi il cielo, di primo mattino, mi ha offerto visioni più tecno e assolutamente consuete e banali: quello nella foto lì sopra è il Roma Milano, e però vederlo mentre si cammina sul margine di una vigna, immersi nel clima pre-vendemmia che si respira (e si annusa) da queste parti in questi giorni, mi ripropone una volta di più com’è diversa la vita – nello stesso istante e in luoghi non distantissimi tra loro – tra persone in situazioni diverse.

Ho divagato un po’, però oggi è passato un mese dal terremoto del Lazio e mentre guardavo il cielo da quella vigna, stamattina, pensavo a quelli lì, ad Amatrice e nei dintorni, che il cielo se lo sono visto piombare addosso …

Ciao cretinetti, lo vedi che invecchio anch’io?!

 

Il tempo del vino in uno Schluck

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Quando penso all’Europa, la mia immaginazione ha sempre visualizzato un ideale ‘insieme’ di paesaggi, genti, prodotti, cultura che vengono da lontano e che vivono nella modernità. Una modernità privilegiata da una ricchezza culturale che la protegge dalle banalizzazioni e dagli appiattimenti del falso mito della globalizzazione, e che le dona invece un cosmopolitismo naturale e consapevole: qualcosa di lieve e persistente, come i profumi della vendemmia, che aleggiano da queste parti, in queste settimane.

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Un’Europa fatta di gente che conosce la storia di ciò che produce, e che è consapevole (ma in modo … naturale) dell’effetto che fa, produrlo, e in giro per il mondo.

Questi pensieri, mentre pranzavo con Paul Truszkowski e Julia Klueber – domenica, nel sole, a Sant’Angelo in Colle – mi ronzavano in testa, tra un antipasto vegetariano e un tortello all’olio e salvia (“I like butter” mi dice Paul, ma l’ho convinto a provarli con l’extravergine e il parmigiano, alla mia maniera) e, ovviamente, una bottiglia scelta – quella sì – da Paul.

Quando hanno appoggiato sul tavolo la loro creatura di carta (per vedere l’effetto che fa), ho avuto un doppio soprassalto. Doppio: uno che riguarda l’Italia che (troppo poco) legge e l’altro legato ai vissuti del vino tra la (maggior parte della) gente del vino.

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Ah se tutti gli uomini (e le donne: ma le donne son meglio) che fanno quel meraviglioso prodotto si strofinassero gli occhi e bevessero qualche libro …, ah se tutti quelli che qui (e là) incontro, sposassero la consapevolezza … allora sarebbe davvero vero quello che ieri un nostro noto uomo politico ha detto (“possiamo essere un grande paese”, o qualcosa del genere, nonostante le virgolette).

“SCHLUCK”: un’onomatopeia per dire ‘inghiottire in un sorso’. Da adottare immediatamente, una parola che nella mia bellissima lingua non esiste, ma in Europa sì. Da sfogliare, per ricordare che siamo europei (se scegliamo di esserlo), solo se lo sentiamo e se capiamo di che cosa siamo fatti. Da leggere – personalmente con fatica: in tedesco – e da guardare, per ricordare la grafica che non è decorazione ma una scelta per dare significato. Da guardare per tirar fuori – a costo di andare a ripetizione – quello di cui i grandi vini hanno bisogno: non degustazioni, ma sentimenti, tutte quelle vibrazioni che sanno evocare, a cominciare dall’erotismo (ho scritto ‘erotismo’ e non altro), cioè qualcosa di completamente sconosciuto se si sta solo e sempre seduti davanti alla tv …

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Poi mi sono chiesta che fortuna avrebbe in Italia un semestrale raffinato ma leggibile e fruibile, in un pubblico che legge scarsamente; poi mi sono ricordata di qualcosa che la gente del vino forse ignora o sottovaluta e cioè che libri e vino, da sempre vanno insieme (leggere i monitor psicografici, please), che un bicchiere sta bene con un libro e che raramente è un bicchier d’acqua. Poi mi sono domandata se in questi tempi difficili ha ancora senso avere questi pensieri e mi sono risposta di sì, confortata nientedimeno che dal presidente della Repubblica che, silenzioso com’è, quando apre bocca ricorda che la cultura è un ponte su cui cammina il mondo verso il futuro (e non è una banalità, gentili signori!). Poi ho pensato che tutti questi pensieri vanno condivisi, perché i profumi che aleggiano nel tempo della vendemmia non possono solo tradursi in “degustazioni”, ma devono tradursi in emozioni: altrimenti avranno vita breve e prezzi bassi.

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E io so bene che per decifrare le emozioni, capirle, viverle e comunicarle servono strumenti culturali: senza di quelli il vino – anche il più grande – vale meno, molto meno.

Tutto questo ho capito in uno schluck.

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La versione di Bramante

Vado a trovare i Ciolfi che vendemmiano, al podere SanLorenzo- Da qualche anno ci faccio volentieri un’incursione, ritrovando il nonno di Luciano – Bramante – e il suo senso del lavoro (novantanove anni quest’anno). Chi pensa, come me (e come recita la Costituzione all’articolo 1) che la Repubblica è fondata sul lavoro, dovrebbe venire a vedere Bramante, al tempo della vendemmia.

Perché Bramante l’ho conosciuto quarant’anni fa, quando venivo a comprare la legna per le stufe di Fonterenza, nelle mie incursioni in Toscana, da Milano, e poi l’ho ritrovato come nonno di un vignaiolo che apprezzo molto e che ce la mette tutta – lui e la sua famiglia – con una tenacia e un ottimismo che mettono di buonumore.

Quest’anno Bramante non ce la fa a muoversi tra i filari con secchi e cassette diventati troppo pesanti per lui. Allora si dà da fare attorno alla diraspatrice, con un forcone che a me pare francamente anche più pesante. Ma lui si sentirebbe umiliato a stare senza far niente. “La vita è bella – mi fa – ma a questa età ci vedo meno e ci sento meno; non è bello capire che si sta facendo un ragionamento e non sentire bene”. E’ sereno “perché non mi manca niente e in casa mi rispettano”; ma la vita da puro spettatore non gli andrebbe a genio. Ognuno deve darsi da fare, contribuire ad andare avanti. Questo è il suo sguardo, il suo pensiero èDSCN1894 un’edizione speciale del senso della vita

La vendemmia del Ciolfi

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Ormai , per me è una tradizione semplice e schietta, come Luciano – il Ciolfi di San Lorenzo – montalcinese verace e uno dei Brunello che mi piace bere (li ho contati e se capita ve li racconto). La vendemmia vorrebbe dire che sono invitata a pranzo, ma quest’anno non ce la faccio; tuttavia non rinuncio a una capatina tra vigna e cantina, perché imparo sempre, da Luciano, uno che ha la mente aperta: un montalcinese capace di pensiero laterale, quindi con l’overdrive, che  – sappiamo – aiuta sempre. Poi c’è il nonno Bramante – novantott’anni così pacatamente portati che ti riconcilia con la vita … e non è un dettaglio!

DSCN7396 Mi faccio spiegare come mai la vigna è di due colori nettamente diversi tra loro, ed è perché reagisce a due micro zone, in cui il terreno, ma forse anche il microclima, sono differenti tra di loro …

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Vado a vedere i grappoli: l’uva è più bella dell’anno scorso, ma Luciano è molto cauto e mi dice “vedremo che cosa viene fuori” …ma mi pare piuttosto sorridente.DSCN7387DSCN7379

Poi però corro a vedere la diraspatrice, perché voglio vedere l’uva “al lavoro”. E’ un momento pieno di festosa appiccicosità: ti viene voglia di buttarti in mezzo agli acini che luccicano e sembrano vivi …

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Come Paperone nel suo forziere, così Luciano potrebbe tuffarsi nei chicchi vibranti della sua uva. Quanta ricchezza, e che bella vendemmia!

Tempo di vigna, tempo di cantina

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E difficile trasferire a parole l’ansia, le paturnie, gli stranguglioni che girano intorno e dentro una vendemmia; lo affermo da profana, ma da molto vicino. Alle solite complicazioni organizzative, che – come spesso accade nel nostro paese – puniscono chi lavora e chi vuole lavorare, si aggiunge la grande incognita minacciosa del meteo, che ha già fatto danni e non promette niente di buono. Non resta che ‘sperare’ e lavorare. La campagna chiede coraggio e pazienza, qualità che abbondano tra gli agricoltori, soprattutto tra quelli che lavorano ‘sul proprio’, rischiando tutto per offrire un vino più genuino possibile, senza velleità, con naturalezza e semplicità; e con molta fatica, trovando il tempo e la voglia di un sorriso. A tutti questi uomini e donne dedico questo post con i colori scoperti in cantina. Con infinita gratitudine.

Era notte fonda a Montecarlo

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Accade che dei particolari, magari minuscoli e apparentemente insignificanti, ti si stampino nella memoria, e che riaffiorino – nel mio caso, dopo anni – stimolati da eventi di cui ti pare di aver avuto una qualche premonizione.

Così, questa mattina, mentre il sole si alzava dietro l’Amiata, io camminavo lungo una vigna, rimuginando, ancora presa dagli ultimi filamenti dei sogni e delle visioni notturne; guardavo il piacevole intaglio di tralci e pampini e foglie, mentre la luce si alzava e cambiava il colore alle cose (e ai ricordi e ai sogni stessi). Il rimuginìo si riferiva alla giornata di ieri e mi venivano in mente frasi da ‘Lezione di Tedesco’ (Deutschestunde- Siegfried Lenz) messe in bocca , durante a seconda guerra mondiale, a un poliziotto di campagna, nella Germania hitleriana. La locuzione è pronunciata come una valutazione dell’affidabilità dell’alleato italiano (otto settembre, Badoglio, eccetera): “gli italiani, si sa: tarantella, brillantina”, ed è certamente un riferimento datato. Mi chiedevo allora, dopo la giornata di ieri, quali potrebbero essere i due sostantivi in sostituzione di quelli lì (notte della taranta e gel? No).

Non so perché il disegno delicato delle vigne che si delineavano in controluce associato a quella definizione letta la sera prima, dopo aver ascoltato alla radio il riassunto della giornata al Senato, mi ha fatto letteralmente ‘saltare’ in mente il ricordo di una notte, a Montecarlo, nei primissimi anni ’90, alla fine di una convention di Publitalia: due teste illuminate da un faretto, nel corridoio di quello che allora si chiamava Loews hotel – l’albergone che sta a cavallo del percorso del Gran Premio, con le camere a picco sul mare -.

Eravamo saliti in tre, abbandonando colleghi e investitori pubblicitari ormai esausti dal fiume di parole, di filmati e presentazioni, di trilli e cinguettii delle direttrici dei giornali femminili, dei Mentana ancora giovani e di Fede già vecchio allora e appesantito dal fard. E naturalmente ‘lui’.

Eravamo solo noi tre, tutti alloggiati allo stesso piano: ricordo il disegno della moquette (nei toni del beige e dei bruni) del corridoio, il vestito in cui mi ero strizzata (nero a pois dorati) per l’occasione, gli smoking dei miei compagni d’avventura. Saranno state le due della notte, forse qualcosa di più. Giunti al nostro piano, ci eravamo scambiati uno sguardo ‘triangolare’ – l’uomo dei libri, l’allora direttore del newsmagazine e la sottoscritta -. Uno dei due – interpretando i nostri sguardi e i suoi sentimenti -, non ricordo le parole esatte ma disse all’incirca ci ricorderemo di questo momento, qui cambia tutto o forse tutto è già cambiato, ed è meglio che non ci diciamo altro, perché le parole non basterebbero e poi qui anche la moquette ha le orecchie: meglio andare a dormire. 

Il ricordo è durato per tutta questa giornata – allora la sensazione era quella di essere entrati in un’altra dimensione, surreale – smorzandosi solo sulla scorta di incombenze molto concrete. Sempre di più, le attività molteplici della vendemmia – non tutte così elementari come uno se le immagina – mi appaiono come lo scorrimento di un racconto parallelo a quello che si consuma nelle stanze della politica. Ho sentito alla radio che a Roma c’è in corso una fiera “Making” o qualcosa del genere; un economista piuttosto decente osservava che l’economia della conoscenza è stata fin qui comunemente intesa come l’economia dell’immateriale e che ora bisogna riappropriarsi del mondo materiale e spiegare ai giovani che l’Italia del made in Italy è nata dalla straordinaria manualità biologicamente diffusa tra la gente del nostro paese. Insomma, bisogna dare legittimità e reputazione sociale ai lavori fatti con le mani.  Ma guarda un po’ che matassa di pensieri esce da una vigna vista in controluce…

Anteprima d’autunno

Luciano Ciolfi, montalcinese verace, mette in tavola una bottiglia di Sassella e una ventata d’autunno, quasi lombardo. Per farmi capire che la stagione è cambiata era bastata la luce sul mare, ieri: percettibilmente diversa. Per apprezzare il cambio di stagione, oggi, andava molto bene l’insalata di porcini incoronata dal Sassella. Poi la nuova stagione bisognerà capirla e viverla, con un pullover e un po’ di coraggio. Prima la vendemmia, poi la raccolta delle olive. Vita, arte e buoni pensieri.DSCN7159DSCN7157DSCN7138DSCN7120

Guarda come dondolo…

sangiovese

Guarda come dondolo e non fare brutti pensieri. Mi piace questo soffio di tramontanella che passa fra acino e acino e solleva un po’ le mie foglie. Guarda come dondolo, invece di continuare a scrutare il cielo, e lasciami dondolare piano, con il sole che disegna ombre sempre diverse e le foglie che si agitano lente. Quando cammini e mi sfiori posso sentire il fruscio dei tuoi pensieri; tu corri in avanti, mi vedi già diraspata con i sughi che scorrono e macchiano dappertutto…Calma! Ho diritto anch’io al mio autunno – non temere, maturerò bene – però fammi prendere tutto il sole che posso; lascia ogni cosa a suo tempo, fammi godere il fresco di queste serate (tu intanto infilati un golf) dopo il caldo breve (sempre più breve) del sole settembrino. Vuoi sentire il mio profumo? Abbi pazienza e non maledire il meteo. Io intanto ce la metto tutta, voglio lasciare un buon ricordo di questa mia stagione. Vorrei che tu ti ricordassi le mie forme, i chicchi, le nuvole che cambiano le ombre, l’odore della terra, e il vento… guarda come dondolo e pensami, un giorno, guardando nel bicchiere.

La Fabbrica del Vino

Ogni tanto qualcuno salta su a ricordarci che il cibo non si produce in fabbrica: di solito è Carlin Petrini che scrive per sottolineare quello che tutti sappiamo, o meglio, che tutti dovremmo dare per scontato; che invece scivola via tra le parole d’ordine del mercato, della politica, della finanza. Mi hanno colpita le immagini della vendemmia, mentre ero fresca delle parole di Marchionne – uomo di poche parole, però esiziali -. Mi ha lasciato trasecolata la faccia di Monti (nella foto di fine incontro Fiat), accartocciata come quella di certe foglie delle viti che hanno esaurito il ciclo vegetativo. (Non è una critica al look di Monti, ma all’accenno di smarrimento che mi è parso di scorgere in fondo al suo sguardo). Due Italie, sembrerebbe, assorte in questi giorni in due mondi tra loro remoti, eppure accomunati dai gesti del lavoro.

Sì, il lavoro: come non pensare – intensamente – a quelli che l’hanno perso, alle fabbriche chiuse o socchiuse, a un paese che sta perdendo i gesti del lavoro, a suon di vaghe parole. Profuma vagamente di rivincita, o forse solo di riscoperta (quand’anche fosse…) la vendemmia. Un lavoro incerto, per definizione, dove il tempo la fa da padrone, un padrone che somiglia proprio a un dio che è più promettente di Marchionne.