Otto Marzo

Occorre ricordarlo: è il compleanno di quella che ha tutta l’aria di diventare l’intellettuale della mia famiglia che cresce. E non sarà la sola: c’è già qualcuna che le ‘succhia la ruota’, come si usa dire …
E allora libri per fare festa, per imparare il nome delle cose – il nome corretto che non dà spazio a fraintendimenti – per imparare a esporre compiutamente le proprie idee e difenderle, caso mai capitasse anche in tempi futuri di incocciare in arroganti pigliatutto. Libri anche per imparare a contare, in tutti i sensi e non solo a far di conto; libri per tenersi da conto, per avere cura di sé e di tutti quelli che ci stanno a cuore.
Libri per sapere e per saper decidere, per sé e per chi magari ci chiede aiuto. Libri per giocare con le idee, per svilupparle, per raccontarle, per illustrarle, per realizzarle.
E poi libri per divertirsi, per creare storie nuove, per vivere una vita in più, per imparare la storia; libri per amare e da amare, per conoscere la vita di quelli che sono venuti prima di noi e immaginare quella di quelli che verranno dopo.
Libri, per averne sempre uno a portata di mano, sotto il guanciale, sulla sedia accanto alla tua, nella borsa, nel cesto della spesa, sulla scrivania, accanto al water …
Libri perché non bastano mai e non riusciremo a leggerli tutti, ma intanto aprirli e leggere una frase, un periodo, un aggettivo …
Libri per sapere che le idee sono il vero capitale, quello che rende ognuno di noi unico e prezioso.
Libri per non cedere all’ignoranza, alla solitudine, alla depressione, al qualunquismo. Libri per celebrare l’amore, per cantare la libertà, per migliorare la propria salute, per scegliere il proprio destino, per salvarsi la vita.
Buon Otto Marzo alle mie donne piccole e grandi.

Montalcino e un sabato di sorprese

Intanto, la nebbia:  … non è una novità – penserà qualcuno – e non lo sarebbe, se non accadesse in una serata (ormai i giorni si raggrumano in sere) con più appuntamenti. E la seconda sorpresa la trovo nel titolo, quello di un libro che è una specie di scatola cinese (ilcinese?!) in cui scovi fili e fila che si svolgono pian piano raccontando storie.
Succede così che forando la nebbia densa, odorosa di fumi di legna e di essenze aromatiche, arrivo fino al ventre del municipio, in tempo per assistere alla presentazione di quel libro.
“Ma che sorpresa è!”, obietteranno alcuni; non c’è ora, minuto, in cui non si presenti un libro. Da quando si è saputo che paesaggio, cultura, libri, arte sono chic e sarebbero anche l’ancora di salvezza del paese, tutti ci danno dentro … e che sarà mai un libro?
Ma qui sta la sorpresa, appunto nel titolo – “Montalcino di sorpresa” – e la successiva sorprendente sorpresa (ancora!) è che il contenuto è poetico, lieve, accattivante e attraente. In altre parole: ci ho trovato dentro la bellezza dei luoghi, che non è affatto oleografica – al contrario è piuttosto scabra e pungente -, l’ironia dell’autore, i sarcasmi degli abitanti, la parola che i luoghi ti rivolgono se li sai ascoltare.
E’ con il librino di Alessandro Schwed sottobraccio per ripararlo dall’umido che mi sono rituffata nella nebbia per avventurarmi su una strada sterrata che frequento poco e conosco ancora meno.
Con il finestrino a tratti aperto, per orientarmi meglio, bioccoli di nebbia che si impigliavano nei filari di viti che costeggiavano la discesa balzellante – difficile vedere le indicazioni, ma appassionante il percorso, soprattutto se l’auto non decide di abbandonare la partita sul più bello – giungo al podere ormai saldamente in mano milanese, per ritrovarmi a cena con gli affabili padroni di casa. La nebbia dunque ha un suo perché, se vai a cena come fossi a Milano …
“Trippa!”, annuncia giubilante la padrona di casa. “Troppo!”, penso con un po’ di rammarico, già rimpiangendone l’abilità non comune in cucina.
Dovevo aspettarmelo: autunno, nebbia, quasi come a Milano; la trippa è un must proprio come il Cartier della pubblicità d’antan.
Ma, sorpresa nell’ultima kokeshi della serata, c’è anche il pollo fritto. Che bontà! (e questa non è una sorpresa). Come quando fuori piove, a Milano. Ma qui siamo a Montalcino e il padrone di casa mi fa assaggiare un Rosso così profumato che penso “sì, Montalcino ti porta di sorpresa in sorpresa …”. E chissà che anch’io non ne sforni una!

Mi mangio un libro

“Mi mangio ‘sto libro” sembra comunicarmi, con squittii, mugolii, versi un po’ canterellanti, la piccola nipote a cui faccio un po’ da balia asciutta, per un paio d’ore. Per evitare che si annoi, appena sveglia, e che piagnucoli facendo sapere a tutti che sono una che i piccini li ama ma non li sa intrattenere comme il faut, estraggo un libro dallo scaffale nella camera in cui dormiva e le mostro la copertina di un bel rosa carico – narrativa di serie ‘A’ -, la collana è degli Oscar Mondadori e ricordo quando la lanciammo.
Le apro il libro sotto il naso (nasino), piego il volume chiuso tra il dito medio e il pollice e lascio che le pagine scorrano come in una sfogliatura accelerata: le piace e io rieseguo. Ma la terza volta che ci provo è di troppo, si tuffa a capo in giù tra le pagine e lecca la costola del volume, poi tenta di morderlo, ma è bello spesso, è un romanzone dall’avviamento lento … poi ci si appassiona.
Mentre lei fruga freneticamente tra le pagine, tentando di assaggiarle, mi viene in mente mia madre che quando compii cinque anni mi regalò un libro bellissimo che tutt’ora rileggo a pezzetti, ogni tanto; e ogni volta ci ritrovo qualcosa di sorprendente. L’altra nipotina, che sta lontano da qui e la vedo più raramente, quando sta qualche ora con me, mi mette un suo libro in mano, lo apre, mette un dito su una parola e lo fa scorrere, poi chiede a modo suo, con un grammelot infantile, di leggere la parola indicata, quindi si procede per tutta la storia, con quel piccolo dito impertinente che saltella da una parola all’altra, chiedendo di sapere di conoscere il significato di quei segni, che mano a mano e un giorno dopo l’altro acquistano significato (e forse qualcuno di loro avrà un senso particolare, magari associato a un momento, a un suono o a una luce particolare). Per crescere, niente è meglio che mangiarsi un bel libro e magari berci sopra un po’ di musica!

Guarda come dondolo…

sangiovese

Guarda come dondolo e non fare brutti pensieri. Mi piace questo soffio di tramontanella che passa fra acino e acino e solleva un po’ le mie foglie. Guarda come dondolo, invece di continuare a scrutare il cielo, e lasciami dondolare piano, con il sole che disegna ombre sempre diverse e le foglie che si agitano lente. Quando cammini e mi sfiori posso sentire il fruscio dei tuoi pensieri; tu corri in avanti, mi vedi già diraspata con i sughi che scorrono e macchiano dappertutto…Calma! Ho diritto anch’io al mio autunno – non temere, maturerò bene – però fammi prendere tutto il sole che posso; lascia ogni cosa a suo tempo, fammi godere il fresco di queste serate (tu intanto infilati un golf) dopo il caldo breve (sempre più breve) del sole settembrino. Vuoi sentire il mio profumo? Abbi pazienza e non maledire il meteo. Io intanto ce la metto tutta, voglio lasciare un buon ricordo di questa mia stagione. Vorrei che tu ti ricordassi le mie forme, i chicchi, le nuvole che cambiano le ombre, l’odore della terra, e il vento… guarda come dondolo e pensami, un giorno, guardando nel bicchiere.

Numerology

guarda come volo!Gli animali sanno contare?
Secondo gli specialisti, la nozione di numero non è estranea al comportamento di certi animali. Anche i più scettici attribuiscono ad alcune specie una rudimentale capacità di contare, che si esplicita in svariati modi.
E’ quanto afferma Georges Ifrah, nell’introduzione di “Storia Universale dei Numeri” (Mondadori 1983), un libro coinvolgente, in cui si può anche cercare – junghianamente – la spiegazione di qualcosa di particolare, di un evento che ci sembra in sincronia con qualche nostro pensiero.
Perché, come scriveva Aristotele, ben più di duemila anni fa, a proposito dei seguaci di Pitagora, “pareva loro evidente che tutte le cose modellassero sui numeri la loro natura e che i numeri fossero l’essenza primordiale di tutto l’universo fisico“.
Il numero appare sempre di più, oggi, la chiave per comprendere i fenomeni più diversi.
Il libro che cito qui sopra si impegna a raccontare e spiegare una fase eroica dell’umanità: quando gli uomini che abitavano la pianura lungo il Nilo, i giardini di Babilonia o le foreste dello Yucatan hanno inventato i modi per rappresentare i numeri.
Io, più modestamente, ho capito l’essenza dei numeri quando mi sono resa conto di avene smarriti ottocento. Quelli telefonici che – più o meno – sono in grado di dare voce a un amico, prenotare un ristorante, raggiungere qualcuno che (càpita) si è perso di vista, in una fase successiva della vita, chiamare qualcuno in aiuto, in un momento critico; oppure lavorare.
Ottocento numeri non erano tutti quelli della mia/nostra esistenza, tuttavia sono quelli che – con o senza sei gradi di separazione – mi connettono con il mondo, o con quella sua porzione che ha acquisito spazio e vitalità nella mia vita di ora. Grazie alla rete ne ho recuperati quattrocentoventitré; poi si è materializzata Vodafone – un po’ in ritardo, ma con la voce gentile di Rafaela – e mi ha dato altri tre numeri, che dovrebbero mettermi al riparo da altre incresciose disavventure.

Per tornare a ciò che ho perso e spiegare a me stessa come sia potuto accadere, mi rifaccio al messaggio di Aristotele che ho trascritto qui sopra. Questa perdita è come doppiare una boa e misurarsi con un vento nuovo, la cui forza è tutta da misurare.

In vista del Ferragosto.

12 agosto (08) 2013: numero antroposofico: (1+2+8+2+0+1+3) = 8