Esco di casa abbastanza presto – ogni mattina o quasi – per avere il privilegio di un “a tu per tu” con il cielo, la natura e il paesaggio. Quest’ultimo è parecchio cambiato rispetto al 1975, anno in cui mi sono meritata la definizione di “strulla di Milano” per aver acquistato un podere ‘in mezzo al nulla’ (che fa rima con ‘strulla’!), un bel podere giusto qui sotto, poco sotto questo borgo incantato nel tempo.
Sono passati più di quarant’anni da quel tempo ed esattamente quarant’anni dalla nascita delle mie figliole secondogenite (seconda e terzogenita, per essere tecnicamente corretti),la cui nascita è avvenuta a Milano – ieri, quarant’anni fa – .
Un tempo che è volato, ma durante il suo volo sono successe molte cose; non tutto quello che è successo è piacevole, Ma tutto è interessante e significativo, e molte cose andrebbero raccontate, perché la memoria è un dono importante senza il quale ci perdiamo di vista.
Raccontare non vuol dire rimpiangere e nemmeno rivangare (che bello questo verbo così agricolo che mi si piazza nel mezzo della frase e la contestualizza in questa stupenda campagna.
IL luogo per raccontare non è questo: questo è un blog, una località utile per assaggini vari e per saggiare come fluisce l’adrenalina, all’idea di sgranare ricordi di fatti avvenuti, di incontri straordinari, del paesaggio che cambia sotto l’egida (e l’impulso) di una trasformazione mossa dal successo di un vino divenuto così famoso da sopraffare quasi la notorietà del comune in cui diviene … Una trasformazione a cui hanno partecipato le due creature nate quarant’anni fa (le gemelle di Fonterenza) che hanno nel frattempo creato una piccola azienda agricola, messo in giro pel mondo la loro etichetta e la firma – Fonterenza – che racconta una storia. La loro e quella dei luoghi.
Un racconto nel racconto dunque; perché i ‘quattro sassi nel nulla che fa rima con strulla’, cioè il vecchio podere – vecchissimo, e non scriverò ‘antico’ trattandosi di aggettivo strausato anche per le banalità più banali – il vecchio podere, dicevo, non si limita a essere una casa, una costruzione in tutta la sua concretezza, ma è soprattutto una storia, storia di luoghi in cui si incastona perfettamente la storia delle due bambine che i luoghi li amano e li hanno amati, riconoscendone i caratteri originali, cioè quello che molti (troppi) pur non conoscendo affatto il significato dell’espressione, ma comprendendo che può significare qualcosa di notevole, chiamano “Genius loci”.
Il Genius loci va di moda un sacco; in realtà vanno di moda tutte le espressioni che raccontano e significano tutto il patrimonio che la povera Italia annovera e troppo spesso si è lasciata convincere a svendere. Non che quelli che usano queste espressioni le pronuncino con accorata consapevolezza; no lo fanno per via del business. A dire la vera verità c’è un bel po’ di gente che ha capito – alcuni (pochi) da sempre – che un paese che viene chiamato belpaese avrà di certo qualche merito in tal senso, ma sono ancora troppo pochi quelli che si rendono conto di quanto costruire in modo volgare e invadente, o sbancare disinvoltamente una collina significa – in verità – violentare il paesaggio. Cioè quella cosa concreta e virtuale (perché il paesaggio ce l’abbiamo anche nella nostra mente!) di inestimabile valore, ma il cui valore (pure monetizzabile, perché una casa in un bel paesaggio vale molto di più di una casa nel piattume) si deteriora, si consuma, si opacizza, se chi amministra e i sodali de cuius non capiscono che devono tutelare il paesaggio come si tutela un’opera d’arte.
Ecco, quando ho fatto gli auguri di compleanno (40!!!) alle mie gemelle ho pensato, con uno sfrizzico d’orgoglio “be’ però questo loro lo capiscono e se lo capiscono c’entra anche un po’ la loro mamma, cioè io”. Quella che invecchia facendo e pensando, con buona pace dei criticoni.