E’ Primavera

DSCN9857E’ primavera e ho il mal di gola. Che implicitamente dà ragione alla stagione. Le montagne russe della temperatura – sale e scende da un minuto all’altro, con dei grandi nuvoloni che svelano e velano, rivelando il vero spirito di questo maggio ballerino – ci suggeriscono prudenza (“maggio, adagio”). Io ho avuto il dono di una seconda nipote, dopo una prima che era giunta a ravvivare il paesaggio umano un paio d’anni fa. E questa seconda nipote mi si affaccia in tutta la sua diversità, dalla prima; già un po’ aliena come visual (avrebbero detto gli art director d’antan), emette anche suoni polarmente diversi, più sonori, più pieni e meno acerbi.

Con un po’ di spirito d’osservazione si può già intuire, anche nelle creature alla loro alba, qualche carattere particolare e cogliere i primi fili di una comunicazione che inevitabilmente, nel suo strutturarsi, perderà qualcosa della propria essenza e acquisirà, in cambio, suggestioni dal circondario. Non sono innamorata dei bambini a prescindere; talvolta mi conquistano, altre volte mi sono un po’ antipatici. Ma di solito questa antipatia sboccia nei momenti particolari, quando hanno dalla loro parte un adulto che li ‘manda avanti’, come fossero dei fenomeni.

Ci sono cose che mi parrebbero obbligatorie, con i bambini: di certo sarebbe bello che tutti conoscessero alberi, fiori, erbe e animali. Ho l’impressione che la gente di campagna (cioè chi ci sta da sempre) non colga l’importanza di questa conoscenza, che potrebbe dare un valore diverso alla vita vissuta – almeno in parte – vicino alla terra: una cosa che sospetto sia sentita come un minus, rispetto alla vita in città.

Certo la città offre più libertà e un ventaglio di opzioni – per vedere, informarsi, divertirsi, conoscere – e poi l’anonimato, che in campagna è totalmente sconosciuto, come anche la discrezione, la riservatezza, il riserbo, il rispetto della privacy … sono argomenti che ogni tanto sfioro, per poi rinunciare ad andare più a fondo, perché mi pare di scorgere – in certe circostanze – anche calore e affetto, ma so che è un’illusione. Tuttavia la campagna dà così tanto alla mente, la stimola e la nutre di suggestioni continue; spinge a osservare e già veder crescere le piante (non è affatto come avere l’orto sul balcone!) come in un dialogo continuo tra di loro e con la stagione, vedere come reagiscono all’acqua e perfino alla grandine – la meteorologia è decisamente più vivace – arricchisce la mente e i sensi, con sentimenti più forti. Queste emozioni nutrono la psiche e dovrebbero essere rese accessibili a tutti i bambini. La campagna li può far sognare, e mi lascia perplesso quel modo di dire di certe madri – cresciute in campagna – che la rinnegano ai loro figli, come se la terra sporcasse le mani …

 

Il Paesaggio è come il Viagra

DSCN9830Parlavo avant’ieri con una donna che stimo e a cui mi rivolgo per avere consigli – è anche il suo mestiere quello di dare consigli, ma lei ha una marcia in più, perché si vede che ci mette del suo, un’attenzione appassionata che dice molto di lei – e questa signora vivace e intelligente mi ha raccontato che ha bisogno di camminare, per problemi di salute. Va quindi a camminare, impegnandosi con il marito in giri anche lunghi, nella campagna in cui è nata e cresciuta e a cui ha finora fatto poco caso, indaffarata a crescere la famiglia, lavorare in ufficio, occuparsi dei genitori e così via. Mi ha scaldato il cuore sentire l’emozione nel suo racconto, mentre mi diceva con parole sue (che assomigliavano così tanto ai miei pensieri!) quanto guardare i paesaggi che la campagna offre, qui nel senese, intorno al bel paese in cui sta e lavora, le stia facendo bene allo spirito e perciò alla salute …

Di solito chi è nato in un paesaggio non ha molti strumenti per riconoscerlo e quindi dargli il valore che si merita; ci vorrebbero tanti medici a prescrivere di curarsi con il paesaggio e questo farebbe bene assai ai luoghi, all’economia, alla spesa pubblica … Al grido di “meno statine più paesaggio” si spenderebbe di meno in antidolorifici, in statine (ovviamente), in anti diabetici, in antidepressivi, in viagra (il paesaggio fa bene anche al pisello).

Se il paesaggio fosse riconosciuto e interiorizzato dai politici e dagli amministratori pubblici, accadrebbero alcuni miracoli di cui abbiamo bisogno con urgenza: 1)- anziché costruire per compiacere un elettorato avido e ignorante, si lancerebbe una campagna per “restaurare e mettere in sicurezza” il nostro patrimonio, con identico risultato in termini di fatturato e posti di lavoro (ma meno business per i cementieri, però), con una riqualificazione professionale dei lavoratori del settore edilizio e dintorni, che recupererebbero anche capacità artigianali che minacciano di scomparire; 2)- agricoltori e lavoratori del settore agricolo avrebbero uno status diverso e verrebbe finalmente riconosciuto anche il loro compito sociale di salvaguardia e di custodia, con valorizzazione di prodotti e fatturato; 3)- le amministrazioni pubbliche (e sulla loro scia, i suddetti agricoltori) la smetterebbero di sversare, appena possono, ettolitri di sostanze che hanno lo scopo di seccare l’erba “risparmiando lavoro” (con gli effetti che illustro nella foto qui sopra): otterremmo due benefici e il primo riguarda proprio il paesaggio che rimarrebbe dei suoi colori naturali, con vantaggio per gli occhi e per la mente; il secondo riguarda la salute, perché si tratta di sostanze su cui gravano dubbi e sospetti.

Questo pensavo, dopo aver svoltato su per una stradetta scoscesa, dopo un camminata benefica in mezzo al verde e alle vigne; quel verde così incompreso e bistrattato, eppure così benefico, per la  mente e per la bilancia del turismo.

Largo ai polli

DSCN9792Come si è “vecchi” nell’immaginario della gente? Me lo chiedevo stamattina, dopo un caffè al bar in piazza, in questo paesello in cui i vecchi abbondano e sono parecchio variegati, ma l’accezione in cui viene letta la vecchiaia li uniforma (di ogni erba un fascio!), li accomuna in un unico vissuto, accantonandoli come persone che devono stare in disparte.

Me lo sono chiesta, un po’ sorpresa dal ‘giovane’ Marcello a cui ho raccontato che metterò il ritratto dei suoi genitori, che ho disegnato (e mi pare anche piuttosto bello) forse un paio d’anni fa, in un certo libro sul Brunello – ma con un taglio molto particolare (perché io di vino in quanto tale so davvero poco!) – a cui sto lavorando e sulle prime mi è anche sembrato contento, ma poi ha soggiunto, lasciandomi indignata, ma quante cose fai?, devi stare un po’ calma, ne vuoi far troppe …

Confesso sono rimasta sconcertata, sulle prime, poi però ho pensato che il Marcello in questione – essendo ancora giovane e non avendo vissuto che poco della vita che potrà vivere e in cui potrà spaziare – non ha la benché minima idea di quante cose si possano fare, quante idee mettere in campo, quanto lavoro, quanti pensieri sono realizzati da gente che lui (e il buon Matteo Renzi) probabilmente vedono come relitti, come risulta, oppure come persone che dovrebbero starsene quiete, perché sono altri quelli che devono “andare avanti”.

Tutto sommato può essere vero, se la visione del lavoro, degli affetti, della sessualità, della socialità, delle infinite attività umane è limitata; ma non lo è se si riflette a quanti talenti un uomo o – meglio specificare: non si sa mai – una donna possono mettere a disposizione degli altri e quanta esperienza si accumula in una vita.

Perché chi glielo va a dire a Dorfles – con i suoi centoquattro anni e un articolo settimanale sul Corsera – che deve darsi una calmata. E chi sussurrerà a Maurizio Pollini che sarebbe meglio smettesse, che ci sono alcuni pianisti di grande talento a cui deve lasciare spazio(?), o a Chomsky, chi suggerirà di smetterla, a più di ottant’anni, di scrivere e insegnare (ai più giovani) le sue teorie? E Carol Rama non dovrebbe forse smettere di dipingere? E il nostro Napolitano? …

Ma tu – mi pare di sentirlo il Marcello (ma anche i giovanilisti renziani e non) – mica sei una di loro! Infatti no, non lo sono: sono altra, diversa, come ognuno di noi è e ognuno di noi, possedendo talento (qualsiasi talento), esperienza, visione, affettività, deve “esserci” e spenderli, per chi ha occhi, orecchi, sensibilità per capire e imparare, ed energia per prendere il testimone. Attenzione: può non essere banale ed essere pesante da portare!

Cipolletta

Stamattina, tra le notizie che ho ascoltato, ne ho annotate tre, da mettere in relazione tra di loro. Una è ovviamente quella che riguarda il Pil, che dai dati della prima trimestrale dell’anno in corso segna una contrazione; la seconda è un’apparente notiziola da niente sull’imminente apertura di farmacie per vegani di stretta osservanza (i vegani sono osservanti per antonomasia) e la terza notizia era il commento di Cipolletta al dato del Pil. Un commento sui cui contenuti e sul cui senso concordo totalmente.

Parto dall’ultima. Cipolletta ha dichiarato che si continuano a leggere i dati sui consumi (e sul Pil) con quelli che ha definito molto felicemente ‘occhiali vecchi’, cioè inadatti alla bisogna, e così finalmente ho sentito un commento utile e sensato a questa (ormai non più così definibile) “crisi”. Infatti chi vive la vita di ogni giorno in famiglia, in ufficio, in azienda, in metro in città, tra i piccoli imprenditori …, non ha potuto non accorgersi che tutti consumano – consumiamo – meno. A una seconda occhiata, non si può non accorgersi che i nostri consumi sono in evoluzione, in movimento; nel senso che dietro a ogni spesa c’è un pensiero, e se il primo pensiero è “posso?”, “ce la faccio?”, cioè riguarda la quantità l’ammontare della spesa (rispetto al proprio budget), cioè la ‘grandezza’, dietro questo primo (per molti inconsueto) pensiero ha cominciato ad affacciarsene un altro, di tipo qualitativo, che prende in considerazione la tipologia della spesa. E qui passo a considerare la piccola notizia dell’apertura di una catena di farmacie per vegani – cioè per quelli che non consumano nessun prodotto o sostanza di origine animale: no latte, no miele, no uova, no propoli; no a tutto ciò che appartiene al mondo animale -; non è una notizia così strana, in Europa, ma in Italia è abbastanza inedita. In Germania e nei paesi anglosassoni, lo stile vegano è molto più diffuso che da noi; personalmente sono almeno venticinque anni che scrivo ogni tanto su temi analoghi. Ricordo una lezione tenuta alla LUISS, agli studenti di giornalismo, a cui dissi che la nostra alimentazione sarebbe mutata di pari passo (e in conseguenza) con l’evolversi del nostro comportamento con gli animali e con la nuova sensibilità nei confronti della natura. Per andare un po’ sbrigativamente, la cosiddetta crisi ci ha spinti ad accelerare i nostri sentimenti in talune direzioni. Chi mangia di meno (indotto a fare un po’ di risparmio a causa della crisi) inevitabilmente si accorgerà di stare meglio (di salute) e allo stesso tempo contribuisce a creare una cultura, un’opinione, in quella direzione. Ancora una volta, il mercato si muove, in direzioni che non riguardano solo i numeri, ma anche generi, abitudini, stili, cultura; perciò leggere le quantità non è sufficiente per sapere dove stiamo andando. Cipolletta lo sa e lo sappiamo tutti noi che abbiamo lavorato – con passione e serietà – nel mondo della pubblicità, che – va sottolineato – non è quello di Berlusconi (semmai il suo è quello della propaganda che ha forzato e spaccato il mondo della pubblicità!). Peccato che non lo sappia chi governa, che non lo sappia la politica che si agita spesso a sproposito e in modo ignorante. Abbasso i sondaggi e viva le ricerche qualitative, dunque, che danno non solo i numeri ma anche conoscenza e pensieri per guardare al futuro con maggior consapevolezza.

Onda su Onda

Episodio 05 Sant’Angelo in Colle
https://vimeo.com/93391065
psw: grandmas

Eccolo lì il paesello, la sua gente, le vigne e le vecchie case. E poi Fonterenza e i suoi abitanti e un format che ci ha catturati e ci manda in onda per il mondo … Un giovane di talento – grande talento! – Donal Skehan, uno pieno di energia e di vera curiosità, con una affettività spiccata che usa in modo abile e intelligente, ha fatto un giro d’Italia con un occhio ai luoghi (ha grande senso estetico), un altro alla cucina (è bravo e in crescita di popolarità), un terzo occhio (sarò un caso?) alle donne più vecchie – le nonne! – usandole come testimonial dell’attualità delle tradizioni culinarie (e non solo).

Con una storia semplice e ripetitiva – un format, appunto – scopre un posto, un piccolo paese, e i suoi abitanti; con un copione che viene sceneggiato di volta in volta, con la tecnica dell’istantaneità, su misura delle circostanze e delle storie personali. Un format che fa il giro (televisivo) del mondo, riproponendo la cucina casalinga (pre-made in Italy), per niente folk e un po’ pop. E in questo luogo canta pure la grandezza di un terroir … Enjoy Sant’Angelo in Colle.

Ciao Luciano!!!

Dopo una settimana di tormenti – ma chi dice che è finita qui? – sono riuscita a rientrare nel mio blog. Tutto dipende dalla mia ignoranza degli strumenti più elementari, e dalla mia supponente convinzione che “avere contenuti ti esime dalle competenze astruse, come quelle tecniche” … Invece no!, davvero non è così e io dovrei pure saperlo, perché se il media è (almeno un po’, ma invece lo è molto) il messaggio, allora bisogna acquisire almeno le basi, almeno quelle che ti permettono di padroneggiarlo e non vagare per giorni alla ricerca del tuo sito perduto.

Però lasciatemi almeno scrivere che queste macchine sono davvero create da addetti (una setta vera e propria) che usano logiche da cui mi sento tagliata fuori. Lasciatemi dire anche quanto ci si senta tagliati fuori – qui in campagna – con connessioni insufficienti e ballerine, onde vaganti e capricciose: insomma lo so che a Milano non ci sono problemi, ma proprio là dove ti serve di più la connessione è qualcosa di aleatorio. Questa campagna sarebbe perfetta se potessi dialogare a mio piacimento, invece è come se ci si dovesse sempre preoccupare degli aspetti tecnici, anziché della sostanza delle cose!

Per fortuna c’è Luciano, per fortuna c’è Alessandra, per fortuna ho recuperato un bel po’ di memoria, anche se non sono a mio agio – nemmeno come postura – davanti a questo portatile alieno.

Per fortuna c’è il sole, caldo e convincente, quasi un messaggio rivitalizzante. La luce cambia le cose: te ne accorgi quando fotografi e scopri che la campagna ha mille volti.

Ho disegnato un fiore a Montalcino

Quando frequentavo la scuola media avevo un professore di disegno che si chiamava Francesco Speranza; lo ricordo come un uomo piuttosto bassino, animato da un sacro fuoco che lo entusiasmava quando ci faceva copiare le nature morte allestite sulla cattedra. Era, mi ricordo, sempre sorridente ma fermo nei suoi propositi, fervente cattolico, ogni tanto ‘tirava in ballo’ dei soggetti religiosi (mi par di ricordare) ma risultavano molto meno appassionanti delle nature morte in cui io sistemavo delle belle mele renette un po’ rugginose … erano gli anni della Scuola Media Tadino, che associo mentalmente a “I Promessi Sposi” e capisco subito perché: il cortile della scuola, dalla parte che confinava con via San Gregorio, era delimitato (e lo è tutt’ora, ovviamente) da una costruzione seicentesca, con un fossato e con dei camini piuttosto appariscenti; tutto in mattoni scuri e ancor più scuriti dal tempo e dalla fuliggine milanese; perché quello era uno dei lazzaretti ai tempi della peste.

Tutti questi ricordi vengono all’unisono, affiorano bruscamente mentre rifinisco un disegno – ci sono giornate in cui il desiderio di mettere la penna sulla carta e lasciare che la mano vaghi sul foglio è un’urgenza irresistibile e mi dà una soddisfazione totale, come mangiare appagando un appetito vero – che mi è venuto il bisogno di fare dopo aver visto in una camminata pomeridiana il cisto in fiore, il fiore più strepitoso (anche più degli iris!) che ci offre la macchia mediterranea e che segna, da queste parti, l’inizio del mese di maggio.

Ho sempre disegnato, da piccina e poi da adolescente, fino agli anni del liceo e poi all’Accademia di Belle Arti. Ricordo che quello che disegnavo, a disegno terminato non mi piaceva: gli trovavo tutti i difetti, soprattutto una certa pesantezza che mi sembrava togliere verità alla raffigurazione e appesantirla con una certa goffaggine …Poi ho imparato a staccarmi da quello che avevo disegnato e a riguardarlo dopo qualche giorno e allora riuscivo a vedere anche qualche aspetto più convincente. Ma ben presto ho smesso di disegnare per il mio piacere e ho disegnato per lavoro, come designer prima e in seguito come art director. La vita poi mi ha portato lontano dall’Accademia e dal disegno per diletto o per ricerca personale e il mio lavoro ha avuto sviluppi imprevedibili e piuttosto singolari.

Mi sono ritrovata con una penna e un taccuino da disegno tra le mani solo molti anni più tardi, in un luogo affascinate e antico, Jerash, sulle rive del Wadi Jerash a nord di Amman, sito abitato sin dai tempi del Neolitico, ma ricco soprattutto di vestigia romane. Avevo lasciato a Milano la macchina fotografica e non ho trovato niente di più pratico che disegnare quello che volevo memorizzare e riportare visivamente a casa. Da allora non ho più smesso di disegnare e ho scoperto che i disegni mi arrivano da dentro e da lontano, e che posso disegnare tutto, se lascio che la mano vada per conto suo …

Anche oggi con il fiore del cisto – disegno raramente dei fiori, ma il cisto era irresistibile –  ho capito che volevo metterlo nel mio cahier, senza leziosi compiacimenti, solo per ricordare quei cinque petali color magenta, il cuore giallo oro quasi zafferano, le foglie solo in apparenza spente, con una barbina morbida che ne vela il verde, spegnendolo e velandolo di grigio, come fossero impolverate.

Mi è venuto in mente dopo, con un sentimento di gratitudine, il professor Speranza, pittore di vaglia che si guadagnava da vivere come insegnante in attesa del successo giunto qualche anno dopo; mi sono tornati in mente di colpo i suoi pungolamenti, le sue esortazioni, e poi i commenti di mia madre (che forniva le mele renette per gli still life sulla cattedra). Mia madre che voleva fermamente che avessi anche una formazione artistica e ambiziosamente mi sospingeva alle lezioni – di disegno e di piano – perché bisogna allenare tutte le nostre sensibilità, senza pretendere di padroneggiare i risultati (o di diventare degli artisti), ma prima di tutto per il piacere di imparare e di mettersi alla prova.

Tutto questo avveniva prima. E poi oggi ho disegnato il fiore del cisto, a penna in bianco e nero ma pensandolo con tutti i suoi colori.