Destino

Tanto non piove, mi sono detta uscendo, e mi sono incamminata. Poi ero seduta come in un patio – a metà strada tra un localino alla moda e un luogo di vecchi – con un caffè molto buono e molto lungo davanti. Ai tavoli intorno gente che chiacchiera e la lingua incomincia a suonarmi familiare, come succede quando oltrepassi una certa soglia e non resisti più a un idioma che ti era sconosciuto fino a quando ti sei ritrovato a doverlo imparare. Dentro c’è uno con il Sole 24ore aperto; sono le pagine del domenicale e il titolo “Porte aperte ai migranti” mi dice qualcosa; mi provoca una fitta, di nostalgia. Ma certo!, sono nel paese della ‘saudade’ e finora non mi era toccato mai di provare qualcosa che le assomigliasse. Dicono che sia una parola intraducibile, ma io penso che tutte le parole di ogni lingua lo sono: sono intraducibili. Perché il suono e lo sguardo con cui vengono dette non è simile a nessun altro, in nessun’altra lingua, anche se si pensa che il significato sia uguale.
Mentre lo penso – e intanto guardo intorno: colori pallidi e acidi: giallo limone e ocra rosso del cancello di fronte, e il palazzotto della farmacia (pronunciata con l’accento sulla seconda ‘a’) appena dipinto di azzurro che chiamerei cielo se qui il cielo non avesse tutt’altro colore, e il cielo stesso oggi è grigio perla, ma variegato e lentamente mobile – e ho appena sorseggiato e riguardato intorno, cercando di capire di più dove sono e (forse anche) che cosa voglio fare, mi sveglio dal mio pensiero e sento minutissime gocce sulle mani, sul naso e sulle guance … intorno nessuno si scompone, io imparo velocemente e non mi muovo. Mi godo le gocce e invece che ‘pioggia’ le penso ‘mist’, che è anche l’inizio di un mistero.
Ah è questo il febbraio promesso, quello che piove sempre ed è il mese peggiore di tutti; io so solo che è il mese della solitudine, almeno l’ho sempre pensato così, ma non è per via di mia madre che c’è nata. E’ solo perché ti dicono che gennaio è l’inizio dell’anno nuovo e tu pensi che succederà qualcosa di estremamente nuovo, poi arriva febbraio e ti mette la vita in stand-by.
Lo penso e mi alzo, perché le gocciole minute sono diventate una pioggerella e mi bagno. Ripenso all’uomo seduto con la pagina del Sole aperta su “Porte aperte ai migranti”, lo sbircio entrando a pagare: il giornale è chiuso e le persone stanno conversando un po’ accigliate. A casa ho un disegno nuovo appena iniziato a cui voglio mettere mano; guardo i platani spogli che crescono intorno a un’araucaria immensa e sono tentata di paragonarli a quelli della mia adolescenza, ma non ci riesco. Questi parlano un’altra lingua e sono più alti e più contorti. Grigio su grigio, una cortina di pioggia lievissima che suggerisce di stare in stand-by e andare a comprare il giornale.

Poche illusioni e nessun idraulico

Un piccolo carnet e una piccola penna, o una matita, ma anche una biro; anzi, una biro può disegnare meraviglie, e farlo in un modo così rozzo che chi guarda il disegno non potrà fare a meno di considerare quella rozzezza una cosa molto raffinata. E può anche essere vero. I miracoli del disegno – quando si disegna davvero, senza remore, senza paura, lasciando che la mano segua quello che il braccio le segnala, e il braccio e la spalla e il collo lasciano che fuoriesca dal loro tremito quello che vaga per la mente, vagamente – sono autentici miracoli. Anzi, non lo sono; sono pensieri e paure che vengono a galla e se li lasci uscire a girellare sul foglio possono diventare segni piacevoli, anche emozionanti … basta lasciarli uscire per quello che sono, senza pretendere troppo da loro (dai risultati sulla carta) o da sé stessi. Senza illudersi di essere artisti, ammesso che pensarsi artisti, in qualsiasi arte, possa essere un pensiero lusinghiero.
Conosco famiglie o clan i cui membri sono tutti artisti – registi, poeti, fotografi, attori, modelli, scultori, pittori, performer, e ovviamente scrittori -, neanche un bravo idraulico; tutto crolla quando un tubo perde. Nessuno che si illuda di essere un idraulico perfettamente performante. Quando lavoravo in un’agenzia pubblicitaria c’era gente che mi guardava con sospetto, perché pronunciavo spesso la parola mercato, che allora era ‘proibita’, perché aveva a che fare con i soldi e i soldi non avevano (in apparenza) niente a che vedere con la creatività e comunque era meglio non nominarli.
Mi sono resa conto che tutt’ora essere idraulico – o peggio!, ragioniere – è qualcosa di cui in certi gruppi ci si vergogna un po’; anzi, ci si vergognerebbe, perché nessuno si sogna anche lontanamente di essere idraulico. Al massimo si può sognare di essere falegname. Penso che molti credano che essere idraulico (o ragioniere) non sia creativo: e si sa che molti (tutti) vorrebbero essere creativi.
Quando disegno io mi sento un po’ idraulico: perché metto a posto le cose, naturalmente a modo mio. Un tratto dopo l’altro, incrocio i segni come mi scendono dalle spalle, giù per il collo, prima, e poi nel braccio e nel polso che si flette veloce, e poi le dita e finalmente la pennina e la carta. Non importa niente: quello che viene, viene. Tanto si sa già che sarà bellissimo, e armonioso. Perché l’hai lasciato uscire, così com’era, da un misterioso orifizio della mente. E poi ti senti bene, svanisce tutto ciò che era oscuro e angosciante; tutto s’illumina e le cose tornano al loro posto. E anche se non è così, il tuo disegno lo fa sembrare. Per questo tutti dovrebbero disegnare, e il mondo sarebbe meno inquieto, perché molti smetterebbero di pensare che bisogna essere creativi. Anzi, smetterebbero di pensare e basta.