La vera storia di Fratel Coniglietto

Che il mondo fosse pieno di esseri disumani già lo sapevamo. Che quegli esseri lì – davvero immondi – abbandonassero gli animali, lo sapevamo pure. Che ogni tanto agli animali abbandonati succeda di trovare qualche essere che invece si merita l’aggettivo “umano”, può capitare; ma al nostro eroe – Fratel Coniglietto – è capitata un’avventura singolare e sublime. Buttato (si presume) fuori dall’auto da un bastardo che aveva fretta di raggiungere il mare (magari con i figli, a cui era stato regalato il suddetto coniglietto bianco da compagnia), si è trovato nei pressi di una bella vigna di sangiovese, in un sobborgo di Montalcino. Accanto alla vigna abita un uomo che ci lavora e che possiede una bella coniglia – grande, robusta e materna – che ha subito adottato Fratel Coniglietto. (Pare che l’adozione non fosse così disinteressata; pare che ci fossero di mezzo mire sessuali: le coniglie, si sa, sono note erotomani, ma chissenefrega, l’ha adottato e, vi assicuro, lo difende dagli intrusi, ben consapevole di essere più forte di lui, più grossa e abbastanza aggressiva.). Lui, Fratel Coniglietto, è stato adottato anche dal padrone della coniglia e gode delle simpatie del proprietario della vigna; inoltre ha anche conosciuto una lepre con cui ha acquisito una certa familiarità.

Insomma, tra le tante storie di campagna, questa non prevede ‘cattivi’ e lascia intendere che tra tanti ‘capitani coraggiosi’ a volte può di più un cuor di coniglia ….

Perché pago le tasse.

Me lo domando troppo spesso, quando sento le manfrine – spesso idiote – della politica. Me lo chiedo ogni volta che Monti non taglia ciò che mi immaginavo fosse stato messo lì a tagliare. Mi viene in mente ogni volta che realizzo che ho fatto la sciocchezza di lavorare – nonostante la tarda età, l’indipendenza economica e (così dicono benevolmente gli amici) i talenti di cui mamma e papà m’hanno dotata, in grado di allietarmi l’esistenza dandomi pure  l’impressione di fare cose -.

Per una volta mi son risposta “ecco perché hai finora pagato le tasse” e vivendo pure in campagna, in un luogo che somiglia piuttosto a un esilio (seppur bellissimo) fuori mano, la risposta è stata doppiamente (seppure a livello mentale) entusiasta.

Inoltre ho doppiamente odiato tutti quelli che evadono, con l’esclusione di coloro che sono costretti a farlo, altrimenti non mangerebbero. Sì, perché diciamocelo francamente, le tasse sono sacrosante, tuttavia, per una serie di distorsioni pianificate scientemente a tavolino dagli inqualificabili gestori del nostro destino, esse sono regolate in modo tale per cui i ‘piccoli’ soccombono, i Goliath (troppo avidi e ferocemente ignoranti) godono di servizi gratuiti perché paiono nullatenenti, e i grandi evasori (però solo quelli grandi) se la passano allegramente.

Ci sono infatti due categorie cui non spetterebbe l’accesso a servizi (scuola, sanità) gratuiti, una è quella dei grandi evasori – per intenderci gli “scudati” a zero penalità, per esempio – e quella dei grandi proprietari di patrimoni che sono sotto gli occhi di tutti, verso cui l’occhio delle amministrazioni competenti è spesso incredibilmente benevolo (ungeranno?, mi chiedo ogni tanto).

E dopo aver espresso lo sdegno verso i parassiti che assediano il nostro paese, ecco la “menzione d’Onore” all’ospedale che sarebbe riuscito certamente a salvarmi la vita – nonostante la lontananza, la strada impervia, il traffico e la mia stupidità (di cui parlerò solo in privato) – se i sintomi che facevano presumere il pericolo si fossero concretizzati in qualcosa di più drammatico ancora.

Se ci fosse un Tripadvisor degli ospedali, vi raccomanderei Le Scotte di Siena e il suo pronto soccorso che è davvero pronto e davvero soccorre, i medici competenti, gli infermieri bravi ed efficienti, ma anche gentili, il senso dell’urgenza e della carità umana. Scusate se è poco, e di ciò offro uno spicchio “rubato” con la mia camera dalla mia camera dove sono rimasta in osservazione, per essere osservata in modo puntuale, rigoroso e … salvavita. Le Scotte: perché talvolta pagare le tasse ti salva la vita.

Il Buon Governo della Lingua

Poteva essere il luogo ideale, uno dei luoghi ideali per farci una sosta. Le pareti esterne tinteggiate di rosa, il portico ombreggiato e profumato dagli alti pini circostanti, i tavolini di plasticaccia senza pretese che ti fanno intendere cose semplici, gente senza pretese; tutto faceva pensare a un luogo vero, come quelli che ancora immagini per un relax, dopo una giornata al mare…

E’ sabato, c’è poca gente, per essere in luglio; tanto meglio per quelli che sono qui, senza pensarci su troppo. Lo spread impazza, forse l’unico giornale non ansiogeno sarebbe La Gazzetta dello Sport, ma insomma, siamo in Italia – pur sempre un grande paese, pieno di risorse, come ci sottolinea la stampa quotidiana – abbiamo paesaggi (ancora) bellissimi, un sacco di storia antica testimoniata da piazze, chiese, palazzi, archeologia, quadrerie sconfinate, affreschi commoventi, ruderi suggestivi. Abbiamo storie più ruspanti e caserecce che hanno generato prodotti e prodottini; vini maestosi, pane croccante, formaggi che battono la Francia, zuppe da sogno, verdure profumate, frutti succulenti, pesci in tutte le salse, dolci per tutte le infanzie. Un paese da fiaba, con una lingua, inoltre, che tutti ci invidiano, che molti studiano; lingua considerata la più musicale, la più amabile, la più ambita …

Siamo riusciti a far fuori quasi tutto – paesaggi, siti archeologici, luoghi che riuscivano a raccontare secoli di storia solo a guardarli – ora smantelliamo anche la nostra lingua, attraverso il rassicurante politichese.

Per la cronaca: il caffè era buono, il prezzo giusto, lo scontrino in regola. Il panino invece era stato “effettuato” con un ciaccino che grondava olio stantio e racchiudeva formaggio fuso che sapeva di plastica ( avevo chiesto pecorino). Un panino osceno, ma effettuato, burocraticamente.

Per dimostrare che non solo siamo sempre più ignoranti, ma ci vogliamo pure male.

 

Tradizione senza Tradimento

Quando mi ha messo sotto il naso quattro fior di zucca alla sua maniera, il giovane Luca – che ha guardato con attenzione la su’ nonna che li faceva ripieni, nella cucina di famiglia anni fa – forse non si è reso conto di aver toccato un tasto delicatissimo.
Come si fa a rimanere fedeli alla propria terra e alle sue tradizioni, senza tradirle ma riproponendole con passo più leggero e moderno?
Forse solo un giovane appassionato ci poteva riuscire: il risultato si intuisce facilmente dalle immagini: non sono riuscita nemmeno a stabilire l’inquadratura giusta. Le forchette si sono allungate nel piatto, la soffice ricotta, coi suoi profumi, era stata magistralmente avviluppata dai fiori che sentivano ancora la freschezza dell’orto (proprio come una volta, ma con più leggerezza). Mi sono immaginata la nonna di Luca che buttava giù uno sguardo compiaciuto a ‘sto nipote che si diverte a riproporre le sue ricette, mettendoci pure un pizzico di gioventù. Buon appetito. al Leccio, as usualfior di zucca, pensando alla nonna

Signore e Donzelle

Credo sia stata la cena in onore dei maggiolai – insomma di quelli che a maggio vanno cantando e suonando, vestiti in costume, secondo tradizione – e pazienza se la suddetta cena si è svolta due mesi dopo.
Quello che conta è che quando le “ragazze” di Sant’Angelo, come le chiamo io, si mettono ai fornelli, per una cena di paese, c’è sempre la fila a prenotarsi, e vengono anche da lontano..
Il giorno in cui ritroverò, nel mucchio dei numerosissimi documenti fotografici che raccontano i miei ricordi  – storie e  paesaggi paesani, immagini delle cene  con “Picchio” che cucinava, il tavolo serpeggiante che attraversava la piazza, i piatti conditi di buona volontà e voglia di essere vivi e lì – mi verrà un colpo, perché quella gente se n’è andata per sempre, insieme alle storie, alle ricette poverissime, al lavoro che era pura fatica (ormai dimenticata). Per questo la dedizione (parola desueta, ma precisa) con cui le donne del paese puntualmente ricordano a loro stesse, a quelli che restano, ai parenti e agli amici lontani (e agli immigrati, quali la sottoscritta) ciò che resta di allora – le vecchie ricette, il fare insieme, un senso di solidarietà che travalica le rivalità paesane – questa dedizione non ha prezzo. Nella speranza che il gesto venga raccolto da chi succederà a queste mani e a questo sapere. Per la solidarietà son altri tempi, quelli di oggi; per il riposo, invece, il paese è pieno di angoli forniti di fresco, brezza giusta nonché panorama stupendo (per ora).

Beata solitudo

Una spiaggia quasi all’alba permette di pensare, prendendosela comoda, senza scotto alcuno. “Beata solitudo sola beatitudo” l’ho letto su qualche ‘regola’ monastica, forse; di certo sta scritto su una formella decorata fissata al muro di un podere bellissimo che sono andata a guardare da vicino, durante una camminata … solitaria.

Da sotto la sabbia tutto intorno alla mia postazione mattutina occhieggiano centinaia di migliaia di mozziconi, che impiegheranno qualche decina di anni a disfarsi rilasciando sostanze ad ogni ondata. Dopo la cocaina nelle fogne di Milano, la nicotina nel Mediterraneo.

Da soli, in mezzo a tanta bellezza ancora intatta ancorché contaminata dai rimasugli di bagnanti e vacanzieri, non si può non pensare a quanto siamo ingombranti e dannivi: raccogliere plastica, avanzi e mozziconi per lasciare solo avanzi della nostra biologia ci permetterebbe di illuderci di non avere lasciato tracce del nostro passaggio.

Italia in Fumo

Se una sera d’estate un architetto, o un avvocato, o un commercialista, o un medico – uno che è reduce da anni di studi, culminati in una laurea – va a cena in un bel ristorante, dopo aver ammirato il suggestivo paesaggio toscano, in uno dei luoghi più famosi per i costosi vini e la cucina schietta e nostrale – un luogo conosciuto e ri-conosciuto di là d’oceano e nell’universo mondo per la cultura e le bellezze naturali – e si gode la serata con altri architetti o avvocati o commercialisti e/o medici, tutti professionisti competenti e rispettati, tutti accompagnati dalle loro signore – signorili, eleganti, abbronzate, profumate con discrezione e con sciarpe di voile ton sur ton -, tutti in grande familiarità col batista di lino e il tasmanian.

Se una sera d’estate questi signori vanno a cena e, chiacchierando amabilmente dei loro fatti e di varia mondanità nel dopo cena, sublimano la serata in fumo di sigaretta, come mai gli è venuta l’amnesia del posacenere? Si vede che il fumo nuoce gravemente. Alla buona educazione. 

 

Distribuendo Bruttezza

Urbanistica, questa sconosciuta. Almeno così mi sembra, leggendo i giornali e guardandomi intorno. Mentre il buon Visco – neo Governatore della Banca d’Italia (non il solito pericoloso sovversivo) –  sostiene dalle pagine del Corriere della Sera (e non dalle colonne di un foglio alternativo e rivoluzionario) che per risollevare il nostro paese bisogna curarne l’estetica (oltre a consolidare il patrimonio immobiliare, cominciando da quello storico, per metterlo in condizioni di resistere ai terremoti), gli italiani – complice il caldo, la miopia acuta e la proverbiale sventatezza – provvedono a una tempestiva redistribuzione della bruttezza.
E in Toscana ciò ha una sua logica, perché questa sarebbe la regione della bellezza, sarebbe la regione che ha sdoganato la campagna, la ruralità, l’agricoltura e i suoi prodotti tipici e naturali, ad una Nazione di cittadini che andavano al mare o in montagna e che alla campagna associavano solo povertà, solitudine, lontananza dal mondo attivo. E la Toscana è anche la regione che ha saputo riproporre valori antichi – ora più attuali e ambiti che mai – all’universo mondo!

Ma la Toscana ora deve diventare più brutta, per poter stare nella media nazionale. Lunghe strade costeggiate unicamente da noiose colline coltivate, da noiosi oliveti, noiosissimi campi di grano con vecchi casali noiosi, pievi noiosamente millenarie, file di noiosi cipressi, tigli, lecci, pini italici, finalmente si svecchiano, lasciando il posto a fabbriche, fabbrichette, capannoni, e, eziandio!, un po’ di distributori di benzina, gas, gasolio eccetera, di cui sentivamo acuta nostalgia (ma non avevano detto che la rete dei distributori di carburanti doveva ridursi? Ma nessuno è mai andato oltre le Alpi, dove prima di costruire in paesaggi molto meno pregiati di questo, ci studiano a fondo?).
Dunque finalmente opere per sviluppare il turismo e incoraggiare la visita: affinché chi viene in Toscana non resti sconcertato dall’eccessiva armonia e dall’innegabile, ma noiosa, bellezza del paesaggio.

Forse c’era bisogno di un distributore, forse le centrali a biogas servono per far diventare la regione un modello del “carbon free”, ma a quest’ultimo proposito consiglio di fare un giretto dalle parti di Grosseto Est per ammirare l’incoraggiante accoglienza consistente nella centrale a biogas, completa di cupola (!), piscina puzzolente, e traffico di camion che trasportano i materiali che la alimentano.

Invece, a proposito del distributore che ha già fatto tabula rasa di un bello scorcio di paesaggio laddove venendo da Siena si svolta a destra, dalla Cassia, per raggiungere Montalcino e le famose vigne, basta passare di lì e gettare uno sguardo, perché si capisca come un avvocato – Giancarlo Cignozzi –  amante del vino e della musica si sia sentito in dovere di chiamare un po’ di giornalisti e dichiarare il suo sconforto.

Nessuno dice che non si deve fare nulla, ma prima di consumare suolo, ambiente, paesaggio e risorse economiche, siamo tutti ormai convinti di ciò che ha scritto il Governatore Visco: “perché la nostra economia si riprenda bisogna incominciare a curare l’estetica del nostro paese”. Magari incominciando a ricordarsi che esiste una scienza in cui gli italiani sono reputati: si chiama urbanistica e serve a conferire un aspetto armonioso alle attività produttive, alle abitazioni, alle situazioni paesaggisticamente rilevanti, affinché si costruisca migliorando l’aspetto estetico di ciò che ci circonda, per non distribuire bruttezza.

Paesaggio Toscano News

Chi non ha mai sentito parlare della delicata bellezza del paesaggio toscano alzi la mano.
Chi non ha mai fatto un viaggio anche lungo, per fare un “week end in Toscana”, o non ha mai desiderato ardentemente visitare i luoghi cantati da poeti, ispiratori di musica e protagonisti della grande arte italiana, alzi la mano.
Sto, ovviamente, rivolgendomi a coloro che in Toscana non risiedono o non vi sono immigrati. Tutti quelli che non hanno alzato la mano, perché conoscono o frequentano la Toscana, oppure ci sono nati (e guarda un po’, ci sono pure affezionati); che non alzano la mano perché hanno scelto la Toscana come luogo di vita e di  rinnovamento, come luogo di valori di civiltà altrove scemata; oppure non alzano la mano perché in Toscana vanno a fare vacanza o ci sono stati, almeno una volta nella vita – come pellegrini sulla via Francigena, come turisti, come studenti, come visitatori colti e appassionati -, tutti costoro potrebbero ricevere un colpo al cuore, prossimamente, quando e se uno dei punti della Via Francigena sarà (rischia di essere) arricchito da tre centrali a biogas, proprio a ridosso di una pieve che non ne sente proprio il bisogno.

Arricchito è un participio passato un po’ forte, che mal si adatta sia al percorso della Francigena e al paesaggio a cui fa riferimento il progetto che alcune (?) aziende stanno proponendo alla comunità locale, sia a questa stessa comunità e ai suoi amministratori, che contro questo tipo di arricchimento si sono schierati.

Perché è vero che il mondo sta cambiando e bisogna guardare a nuove energie – rinnovabili e sostenibili – ed è vero che bisogna essere attenti al “nuovo” e all’innovazione, ma bisogna innanzi tutto salvaguardare la salute e l’economia (e la bellezza!) delle comunità e dei luoghi. Bisogna tassativamente mettere in atto queste salvaguardie, altrimenti rischiamo di perdere la ragione stessa per cui il nostro paese piace e ha incantato per secoli gli uomini più intelligenti e sensibili dell’Europa e del mondo intero.

Ora il nostro paese piace anche – e molto – agli uomini del business; forse perché siamo in un periodo di immensa debolezza, e la nostra ‘pancia molle’ lascia preludere svendite e occhi semichiusi davanti alla prospettiva di qualche soldo (o qualche posto di lavoro).

Voglio ricordare, allora, che proprio ieri, sul Corriere della Sera – non una testata in mano a pericolosi sovversivi – il direttore Ferruccio De Bortoli ha intervistato il Governatore della Banca d’Italia – un uomo che ha familiarità (by definition) con l’economia e le banche – e questi ha sottolineato l’importanza di un restauroestetico” e sottolineo estetico oltreché  strutturale del nostro paese, per rilanciare la nostra economia e rimettere ai primi posti il turismo. Perché, come ha detto un americano che ha visitato il luogo recentemente, “se voi costruite fabbriche nel paesaggio che noi veniamo ad ammirare per la bellezza (e per la serenità che è capace di comunicarci), noi in Italia non torneremo più”.

Non NIMBY, dunque ma una progettualità che tenga conto della delicatezza dei luoghi, della loro unicità a livello mondiale, della loro sostanza come risorsa attrattiva e come vantaggio competitivo rispetto a chi non ha storia né memoria.

Il documento che documenta le ragioni dei “no” alle tre centrali a biogas, alle monocolture indispensabili alla loro alimentazione, al traffico pesante per trasportare i materiali per integrarne l’alimentazione, all’inquinamento ambientale e paesaggistico connesso a un’operazione che sembra più orientata al business di pochi, anziché ai vantaggi collettivi – turismo in primis – è stato sottoscritto dai cittadini di un comune – Buonconvento – che è stato segnalato come uno dei “Borghi più belli d’Italia“. 

 

Laura Grimaldi

Un anello disegnato apposta per lei, l’eterno fumo di una sigaretta, la voce roca intessuta d’umorismo, l’inglese in tutte le sfaccettature e accezioni, l’incedere femminile e sicuro, alcuni vestiti molto belli. Le presentazioni alla forza di vendita.
L’insofferenza per certi tipi di mediocrità, l’amicizia un po’ spazientita con un grande editore; il coraggio e il sorriso.
Gli anni di incontri e lavoro, alla Mondadori.

L’intelligenza e il coraggio; il sorriso. Ciao Laura, non mi scriverai la dedica sul tuo libro.