E’ primavera: meglio il diserbo o gli F35?

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Ci si era già messo il tempo: appena scoccata la data, è caduta la neve, è scesa la temperatura, una grandinata ha imbiancato le strade. Ma temperatura e intemperie a parte, la gelata è arrivata con le risposte della signora Pinotti a un’altra signora di cui ho dimenticato il nome, sull’utilità degli F35 (a che servono gli F35?, era la domanda), risposte che hanno ulteriormente abbassato la mia fiducia nella compagine femminile di questo governo.

Ma sul genere femminile al governo avevo già – negli ultimi decenni – avuto le mie delusioni. In effetti prima dei discorsi di genere, bisognerebbe pensare al genere di persone … ma è meglio pensare alla primavera. Però anche quest’anno la primavera, oltre al freddo ha portato con sé un bel po’ di diserbante. Con una piccola novità, anzi con una novità per i piccoli!

La frazione è quella di Sant’Angelo Scalo, il luogo preciso è quel grazioso pratino costellato da alberi (molti tigli …) con una deliziosa panchetta accanto a una fontanella e un bel glicine che aggiunge al tutto un tocco liberty. Il pratino è una distesa di pratoline così fitte da distrarre chi passa accanto in auto, e ognuno pensa, guardando e ammirando: è primavera!

Oggi, stavo proprio pensando agli F35 e a quanto (e in che modo) graveranno sulle nostre prossime primavere quando l’occhio per consolarsi da quei brutti pensieri mi è caduto sul meraviglioso pratino di cui sopra, e … il pratino non c’è più!

Al suo posto, un po’ di chiazze giallastre nel rimanente verde; le pratoline fiorite ridotte a poche chiazze – qua e là -, lo scivolo dei bimbi deserto e lucido di pioggia … e proprio dietro un F35 in attesa del dottor Stranamore.

Domenica alle Termopili

molon labeMi viene da dirlo così, all’amica che stasera al telefono mi ha chiesto se i capelli me li sono fatti tagliare molto corti, rispondo che “no, ma sembravo un leone e non mi piacevo, semmai vorrei essere Leonida,  e affrontare i persiani”; mi è uscita questa frase che in altri tempi sarebbe rimasta una battuta e invece – dall’altra parte del telefono – la voce della mia amica diventa seria, mentre commenta che davvero non si può pensare che uccidendo la madre dell’Europa, con tutto il suo portato di storia e di miti, in cui affondano le radici della nostra psiche e della nostra conoscenza, non vi saranno conseguenze.

E’ l’epilogo di una giornata iniziata quasi all’alba, al mare – dove le aguglie schizzavano fuori dall’acqua, lasciando lievi tracce in piccole onde che facevano l’acqua più scura, con arabeschi lievi, eleganti -. Sulla lunga spiaggia, rinfrescata da un vento che veniva da sud ed era fresco, quasi freddo, c’era poca gente (forse un terzo dei bagnanti dell’anno scorso) e ancora meno spensieratezza vacanziera.

Sono con un’amica (un’altra) che è stata, come me, una habitué di questa spiaggia per decine d’anni; il nostro punto di vista è consapevole, ma non abbiamo molta voglia di piangere su questo nostro paese dove pare che politica e intrallazzi siano diventati sinonimi. Le racconto che sto scrivendo “un pensiero” per un imprenditore che mi sembra interessato a certe idee che gli ho accennato. Le racconto di un amico americano che ha avuto esperienze analoghe alla nostra, ma in un contesto elettorale del suo paese; ci vengono in mente episodi della nostra vita di lavoro, chiacchieriamo di libri e ridiamo, persino.

Sembra di parlare di un altro mondo; io le racconto che ho appena terminato l’ultimo libro di Markaris, ambientato come sempre, ad Atene, in una Grecia sfinita dalle privazioni. E’ pensando a Markaris e alle sue analisi sempre lucide messe in bocca ad alcuni personaggi nei dialoghi  acutamente disegnati, che mi tornano in testa la Grecia e l’eroico Leonida, la sua risposta irridente a Serse che gli chiede di arrendersi e deporre le armi – “Molòn Lavé” (venite a prenderle), risponderà il greco -.

Quella risposta mi piace molto: è il contrario della rassegnazione al peggio, allo scivolo narcotizzante, alle recriminazioni sulla politica e i suoi uomini incapaci. E’ uno spirito che mi sembra anche di avvertire qua e là, nella corrispondenza con gli amici, e che va facendo breccia nell’opacità del pessimismo generale. Forse bisogna essere vecchi, per ricordarsi del dovere della dignità? E fa niente se la battaglia delle Termopili è costata la vita a Leonida. Perché è dal 480 a.C. che lui ci insegna, con una battuta, a non piangerci addosso.

Quando Hosting suona hostile

Rimasta in panne con il mio piccolo blog, leggo la mia posta, ieri, e mi accorgo con raccapriccio di non aver pagato la fattura relativa all’hosting del mio dominio. Meno male che – anche di domenica – si può pagare con una carta di credito e sopperire alle proprie disattenzioni (e alla mia – non lo nego – trascuratezza).
Inoltre anch’io sono diventata più attenta ai costi dei servizi – inclusi quelli bancari (ma va?!) – e sei (6!) euro per bonificarne diciotto mi sembra uno scotto eccessivo.
Mi accingo perciò a pagare on line e sistemare rapidamente la cosa – così fan tutti – ma incoccio subito in una difficoltà stupida, ma apparentemente insormontabile. Non ricordo più con quale nome mi sono registrata, tra i tre o quattro che legittimamente avrei potuto usare. Niente paura, però, perché mi chiedono anche con quale mail e questo è molto più facile e accessibile. Difatti compito la mail e la pass. No, mi risponde il sistema, non è quella giusta (di certo la password). Riprovo tre volte, ma chissà quali associazioni mentali stavo facendo, quando mi sono registrata qui?! Inoltre penso, con un po’ di risentimento, a quanti numeri e codici tengo a mente per accedere a irrinunciabili servizi (almeno dieci, mi par di contarne).
Insomma non ce l’ho fatta; il sistema però mi conforta comunicandomi che posso cambiare password. Ora è un po’ difficile riportare qui tutti i passaggi che devo avere sbagliato ieri, perché sono stati molti e ho buttato un bel po’ di tempo, prima di lasciar perdere e pensare che avrei chiamato direttamente al telefono l’hosting, all’indomani, a uffici aperti. Cosa che ho fatto, ricevendo una spiegazione puntuale, ma velocissima, nel consueto gergo del settore, per addetti ai lavori. Comunque mi mandano una password che il sistema partorisce per default e che è complicata e cervellotica (ma si sa, la sicurezza ha un suo prezzo: ora lo sa anche Obama!). Quindi procedo, ma al momento in cui devo pagare, cliccando sul marchio che corrisponde alla mia carta di credito, non c’è alcuna reazione. Richiamo l’hosting, che questa volta è una donna e mi pare spazientita,   mi fa rifare tutta la procedura – inclusa composizione della supercomplicata password – la sbaglio tre volte, sentendo come fosse sul collo l’inequivocabile sbuffo di impazienza da parte dell’operatrice all’altro capo del filo. Mi sento vecchia e obsoleta, subito dopo mi sento incapace e anche un po’ scema. Per consolarmi penso che ‘quella lì’ non ha (ancora) affrontato nemmeno un centesimo delle montagne che ho dovuto scalare nella vita; poi mi pento e ‘quella lì’ torna ad essere una donna giovane a cui non hanno insegnato che l’educazione conviene, sempre, anche quando chi hai di fronte ti sembra una cacchetta.

Poi finalmente, riesco a pagare, ma non è merito dell’efficienza di ‘quella lì‘, ma solo del ‘sistema’ che finalmente alla terza sollecitazione (identica alle due precedenti) si sblocca. Ora ho pagato e posso postare questo post, fregandomene della ripetizione. E posso iniziare a cercarmi un hosting meno ostile e più educato.