De Gatos se trata

 Verso una nuova Gattoterapia, con un pensiero segreto a Sinè e ai suoi gatti.

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Quando ho parlato a Gabo Marquez del poeta cubano che avevo ospitato in Toscana a Fonterenza, e delle poesie che aveva dedicato a ognuno di noi (perfino all’incidente d’auto in cui avremmo potuto morire tutti insieme), mi sono impappinata sul nome, che non riuscivo a ricordare; ma quando gli ho citato la poesia gattofila e cosmicamente triste che Pablo Armando Fernandez aveva scritto, al Gabo si illuminarono gli occhi, riconoscendolo come “el hombre electrico!”, sì, un uomo con occhi elettrico-magnetici!

“Si me preguntan: donde està El Dorado? / podrìa responder: Està en el antifaz de Bastet, deidad de los felinos. / y en las siemprevivas, / en una calle alegre entre la flor del agua / y el verano …     e poi  …  Es Zaida entre la yerba / juguetando / a ser la gata eterna / de la luna, / a ser su rìo / que corre / y lento va al encuentro / del gato azul / que colme sus quimeras.

Ho sempre pensato che l’inizio e la chiusa di questa poesia racchiudano la vita vissuta dai gatti, anche quella che essi vivono conto terzi, cioè la nostra vita. Anche se non sono in grado di razionalizzare questo pensiero … Questi versi mi ritornano in mente ogni volta che guardo un gatto e ne osservo comportamenti ed espressioni. E la poesia di Pablo Armando mi è tornata in mente quando ieri ho pubblicato sul mio profilo FB le foto del gattone ‘in carica’ a Fonterenza, il podere che ha emozionato le nostre vite e quelle di molti che ho conosciuto. Di tutti quelli che hanno percepito l’atmosfera speciale e il magnetismo del luogo.

I gatti, che hanno abitato il podere anche più intensamente degli umani fino a intridersi dello spirito del luogo e impersonarlo, sono stati una presenza continua, con sovrapposizioni caotiche (ricordo nidiate frenetiche e invasive, oltre alle mamme gatte, come Frisby, che hanno figliato per anni, spargendo la loro prole nei boschi e nei dintorni, fino a colonizzare parzialmente il vicino paese di Sant’Angelo in Colle). Una quindicina di anni fa c’è anche stato un gatto guercio, di pelo lungo e grigio, che aveva l’abitudine di arrampicarsi addosso ai visitatori, con effusioni imbarazzanti. Poi una pattuglia di gatti ninja, battaglieri e corpulenti, che bussavano sfacciatamente alla piccola finestra che dà sul tetto a nord chiedendo cibo e minacciando ritorsioni con zampate unghiute.

Per diciassette anni è venuto in visita da Milano gatto Abril, cacciatore di topi e ahimè pure di uccelletti, fino a morire vecchio e afflitto da numerosissimi orribili acciacchi ed essere sepolto in un luogo che al momento non svelo. Presenza costante, sentinella del mattino, ombra bianca dotata di poteri speciali, consigliere e consolatore, con un miagolio apparentemente buttato lì commentava un pensiero pensato a occhi chiusi, che magari uno non osava neppure dire a se stesso; ma lui, dotato di telepatia, sapeva. Poi c’è (ancora ne avverto la presenza silenziosa e felpata) Matilde, che ho sempre – nel mio immaginario – associata al realismo magico e alla poetica della Cronica de una muerte anunciada: nera, magra, lustra di pelo, sinuosa, aveva il vezzo camminando sul tetto, di voltarsi a guardarti allontanandosi da te, per poi arrampicarsi sui regoli delle finestre, per chiedere di entrare, magari infastidita (o impaurita ) dai cani che l’hanno inseguita innumerevoli volte in un’interpretazione esagitata e furibonda di entrambi i generi (canino e gattesco). E ora c’è Tom che sta studiando da gatto di famiglia e si lascia fare carezze pesanti da una bimba piccola e curiosa, in attesa di essere acquisito nelle vesti di custode di un suo imminente animalismo.

E mano a mano che ne scrivo – Gatti di Fonterenza – mi appare come un pamphlet (saranno stati una cinquantina, i mici,  finora?), pieno di episodi, screzi, avventure, buffonate, tenerezze e magie. De gatos se trata …

Pasta e Fagioli a Milano

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Lascio questo cielo mutevole e un po’ esibizionista, per quello di casa mia – più vasto e pallido e più abituato all’indifferenza degli sguardi -. Uno scenario per gente che era abituata all’understatement … modi di pensare e di essere un tempo venati da calvinismo, intrisi di voglia di non apparire. E’ una pasta e fagioli a suggellare la cena familiare, di famiglia larga – ma non allargata – con tre generazioni presenti, in una casa che è stata abitata soprattutto dai miei genitori e che trattiene, negli stipiti delle belle porte vecchie e nelle crepe del pavimento ‘seminato’ inizio novecento, ricordi di loro genitori e nonni, e di guerra, e poi del dopoguerra cittadino con poco cibo e ancora meno fantasia, di me bambina e poi fanciulla e poi ragazza un po’ ribelle.

La pasta e fagioli è assai saporita e viene da luoghi diversi, lontani e vicini. Montevideo, la repubblica Centroafricana, Genova e il negozio bio lì vicino. E’ fatta con semplicità e molta sicurezza, dalla nonna di mia nipote – l’altra nonna (“quella vera” dico sempre tra me e me) – una che mantiene il coraggio di vivere ben vivo e alto, che non ce l’ha mai avuta facile, ma con imperterrita eleganza.

C’è una bella atmosfera: la cena è breve e le emozioni sottaciute; le novità sono parecchie, la vita scorre e si sviluppa, come un ruscello che s’ingrossa e si adatta a sassi e foglie e erba. Mi risuonano in mente i versi di una poesia dedicata alle mie figlie, da un amico poeta che difficilmente tornerà a visitarci e a cui penso spesso.

Francesca y Margherita  /  Margherita y Francesca.  /  No seràn las homigas  /  negras de las acequias,  /  ni las blancas polillas,  /  ni el verde de los pinos.  /  Serà la mano firme, la mirada  /  alerta, vigilante, el corazon cuidando  /  la mano, la mirada  /  para volver a casa.  /  Y allì reunidos todos  /  hablar de los caprichos  /  del azar y còmo  /   someterlos por amor  /  al flujo de la vida.