Lascio questo cielo mutevole e un po’ esibizionista, per quello di casa mia – più vasto e pallido e più abituato all’indifferenza degli sguardi -. Uno scenario per gente che era abituata all’understatement … modi di pensare e di essere un tempo venati da calvinismo, intrisi di voglia di non apparire. E’ una pasta e fagioli a suggellare la cena familiare, di famiglia larga – ma non allargata – con tre generazioni presenti, in una casa che è stata abitata soprattutto dai miei genitori e che trattiene, negli stipiti delle belle porte vecchie e nelle crepe del pavimento ‘seminato’ inizio novecento, ricordi di loro genitori e nonni, e di guerra, e poi del dopoguerra cittadino con poco cibo e ancora meno fantasia, di me bambina e poi fanciulla e poi ragazza un po’ ribelle.
La pasta e fagioli è assai saporita e viene da luoghi diversi, lontani e vicini. Montevideo, la repubblica Centroafricana, Genova e il negozio bio lì vicino. E’ fatta con semplicità e molta sicurezza, dalla nonna di mia nipote – l’altra nonna (“quella vera” dico sempre tra me e me) – una che mantiene il coraggio di vivere ben vivo e alto, che non ce l’ha mai avuta facile, ma con imperterrita eleganza.
C’è una bella atmosfera: la cena è breve e le emozioni sottaciute; le novità sono parecchie, la vita scorre e si sviluppa, come un ruscello che s’ingrossa e si adatta a sassi e foglie e erba. Mi risuonano in mente i versi di una poesia dedicata alle mie figlie, da un amico poeta che difficilmente tornerà a visitarci e a cui penso spesso.
Francesca y Margherita / Margherita y Francesca. / No seràn las homigas / negras de las acequias, / ni las blancas polillas, / ni el verde de los pinos. / Serà la mano firme, la mirada / alerta, vigilante, el corazon cuidando / la mano, la mirada / para volver a casa. / Y allì reunidos todos / hablar de los caprichos / del azar y còmo / someterlos por amor / al flujo de la vida.