Parking e l’Evoluzione della Specie

DSCN1224Anche se ormai è superato il criterio di ‘misurare’ il prossimo usando come parametro l’auto (“ce l’ho grossa quindi sono”), e i più furbi si sono accorti che c’è pure qualche potente che va a piedi (magari per ragioni di fitness), io continuo a usare quel parametro, ma secondo un altro criterio rispetto alle dimensioni (e cilindrata) del mezzo. Perché non sempre “auto grossa uguale a cervello piccolo”: talvolta anche “auto piccola uguale a minus Habens”!

Ho notato infatti (ma lo confermano i sociologi) che i nostri comportamenti inerenti l’uso dell’auto parlano di noi, non solo dando conto del nostro livello di civiltà (o del nostro grado di educazione), ma sono anche testimoni dello stato evolutivo della nostra psiche in modo eloquente e inequivocabile. Intanto (come diceva un mio vecchio e stimato AD, Sergio Polillo, il cui eloquio nasale, ai tempi era famoso, “ha visto signora che gli italiani se non hanno l’auto a portata di mano diventano terribilmente irrequieti!?”) quanto riescono a stare distanti dal proprio mezzo di locomozione; qui in paese il fenomeno assume dimensioni quasi patetiche, c’è chi non si fa scrupolo di parcheggiare sull’uscio del vicino (magari contando sull’assenza cronica di costui) pur di sapere che l’adorato mezzo è lì: allungando un po’ il collo lo puoi vedere e puoi osservare (magari non visto) se qualcuno – non dico gli fa un graffio – lo sfiora. Manco fosse una moglie la cui virtù rischi di essere offuscata da una ‘mano morta’ estranea. Poi c’è chi (è estate e fa caldo o almeno dovrebbe) tiene il motore acceso mentre va a farsi un po’ di spesa, oppure quando telefona da fermo (vuoi mettere telefonare al fresco quanto ti rinfresca le idee?).

Poi ci sono gli estremisti del parcheggio: non c’è prato, non c’è ingresso di ristorante, non c’è prossemica alcuna che argini i loro sentimenti: si ferma il mezzo in modo da poter aprire la portiera e poi con mezza rotazione del busto (da seduti) si buttan fuori le gambe e con due passi due (tre al massimo) sei nel luogo dove vuoi recarti: e fa niente se la tua auto diventa una specie di diga metallica che impedisce a tutto il resto del mondo di passare di lì (“gli altri chi?”).

Ma abitando in un paesetto piccino e carino, con un centro storico il cui diametro è di cinquanta metri circa, servito da un parcheggio sufficiente, situato però a ben venti metri dalla ‘cinta muraria’, nell’ora che volge al pranzo (o alla cena) se ne vedono davvero delle belle. A quell’ora capisci che a un certo punto il processo evolutivo che si dice abbia coinvolto il genere umano, distinguendolo dalla bestialità (che stento sempre di più ad attribuire agli animali) si è bloccato (o si è invertito di colpo) nel momento in cui l’automobile è diventato un mezzo di locomozione diffuso e comune; e non c’è ‘livello’ né ‘ceto’, e nemmeno ‘carica’ sociale che esima l’animale alla guida da comportamenti bestiali, con mille sfumature – dall’incivile semplice all’incivile con tendenza al criminale, con in mezzo un bel po’ di tamarri e di “lei non sa chi sono io” sottaciuti e sottintesi (sovente è un ‘chi credo io di essere’). Perciò trovi la bbestia che parcheggia nell’unico posto riservato ai portatori di handicap (incurante delle cautele apotropaiche, che lo sconsigliano vivamente) e in cinque balzi cinque fa il suo ingresso in uno dei due (ottimi!) ristoranti a portata di … portatore di handicap (ebbene sì, lo fanno pure i danesi e i “top” manager). Oppure c’è l’auto simil – bara, grande quanto una casa, parcheggiata addosso a una casetta più piccina di lei. O anche una ex-leggiadra piazzetta imbottita di auto, trasformando la suddetta piazza – paesaggio incluso – in un raviolo al gasolio. Per non parlare di coloro che ficcano l’auto possibilmente monumentale (testimonianza esclusiva di un’idea di sé) nel parcheggio a rastrello contando sull’assenza (magari un malore?) del vicino di parcheggio a cui tolgono lo spazio d’accesso. Ma l’antologia potrebbe continuare …

I parenti più stretti ancora viventi di Homo sapiens sono le due specie appartenenti al genere Pan, comunemente noti come scimpanzé: il bonobo (Pan paniscus) e lo scimpanzé comune (Pan troglodytes). Le due specie sono ugualmente vicine, ovvero condividono lo stesso antenato comune; la differenza principale tra essi è l’organizzazione sociale: matriarcale per il bonobo e patriarcale per lo scimpanzé. Il tratto che accomuna le due specie è il modo di parcheggiare particolarmente bestiale.

 

Sassi

Mi capita di andare alla Coop; non spessissimo però, da quando sono entrata in silenziosa polemica con alcuni articoli – lenticchie, fagioli, ceci – che vengono ‘vestiti’ da prodotti italiani e invece sotto la foglia di stelline (marchio bio della UE) spesso c’è la scritta che precisa “Agricoltura non EU”, ma scritta piccola quasi microscopica, perché i fagioli &c spesso vantano naming ingannevoli. E questo da chi se la canta e se la suona, come la Coop, non me lo aspetto davvero…

Ci sono andata stamattina, però rinunciando eroicamente alle lenticchie (cercherò altrove) e mentre girellavo di fronte al bancone dei latticini, dove non ho trovato quello che cercavo, ma pazienza, ho visto una scena. Indugiando in mezzo alle insalate, indecisa se prendere le banane (potassio!), mi ha colpito  una coppia abbronzata e ben messa, ma vestita più per apparire a se stessi che per convincere (davvero) gli altri. Lei aveva belle gambe che esibiva con un paio di shorts molto corti e una camicetta a pois un po’ dozzinale, ma si davano un tono, accompagnati da una figliolina sui dieci anni circa. Mentre meditavo sui pomodori mi cade l’occhio su una manovra della moglie che munita di guanto regolamentare mette in un sacchetto qualche pesca, pesa, stacca l’etichetta che esce dalla bilancia e l’appiccica in un angolino del mobile sottostante; poi riparte verso la cassetta delle pesche, ricolma il sacchetto e lo chiude e ci appiccica l’etichetta uscita dalla pesatura precedente e mette nel carrellino. Rifà la stessa operazione con una verdura, solo che io nel frattempo avevo scelto finalmente dei pomodori e nel pesare il mio sacchetto ho ritrovato, appiccicato al mobiletto sotto la bilancia, un’altra etichetta appena piazzata lì dalla donna (coadiuvata dal marito): prendo con aria distratta l’etichetta/scontrino, l’appallottolo e la butto nel contenitore dei rifiuti. Loro (marito e moglie) si guardano smarriti, ma io ho davvero l’aria di una babbea distratta e un po’ maniaca (del resto lo sono). Riprendono a pesare qualcos’altro, mentre io mi autoconvinco ad acquistare le pesche: stavolta mi precipito (ho improvvisamente fretta, pare) verso la bilancia, peso, prendo il mio scontrino, e l’incollo sul mio sacchetto, ma per prenderlo mi appoggio sullo scontrino (il terzo!) appena abbandonato dai coniugi che continuavano le loro performance e con il mio corpo lo faccio aderire completamente al mobile, schiacciandocelo sopra ben bene. Loro non si sono accorti e ritornano con il bottino (il sacchetto pesato prima semivuoto ora è colmo) e restano un po’ smarriti, questione di un attimo: si riprendono subito e ripesano. Mi avvio all’uscita e loro sono dietro di me. Caricano il loro BMW serie qualcosa, nuovo di zecca. Mi domando se sono finti ricchi o finti poveri e a che gli serve la bell’auto foderata di pelle similumana …

A dire il vero, mi sono posta la stessa domanda quando ieri sono incappata in un cicciottone coi piedi piatti, che scendeva dal suo mezzo (sempre auto tedesca) dopo averlo parcheggiato per andare al ristorante, nel paese dove abito, in un’area riservata ai residenti, ma in modo da occupare il posto di due auto; era preceduto da un tirapiedi a cui ho tentato mitemente (mento: l’avrei sbranato a morsi) di dire che un parcheggio più ‘social’ sarebbe stato più ‘carino’, ma quello al posto degli occhi aveva due portamonete ed è filato via. Il suo capo non mi ha sputato addosso ma ho capito benissimo che l’avrebbe fatto volentieri. L’ho salutato solo per costringerlo a ricambiare il mio saluto…