Pensi a Lina?

Io l’ho chiamata “Lina” – con tutto il rispetto per tutte le Lina conosciute o sconosciute – perché definirla “pensilina” mi è sembrato eccessivo. E’ sembrato un po’ troppo anche agli abitanti di Sant’Angelo in Colle che me ne hanno segnalata la presenza chiedendomi implicitamente se l’immagine dell’oggetto in questione corrisponde davvero all’idea che l’ignoto installatore s’è fatta di loro. Certo gli abitanti di questa frazione di Montalcino non sono fieri di Lina; loro vedono centinaia, migliaia, di visitatori salire la strada che porta in cima al Colle per ritrovarsi nella piccola piazza del paese, dove Re Liutparndo, nell’ultimo quarto del primo millennio (non mi ricordo la data esatta) radunò una settantina di notai per dirimere una grana scoppiata tra due vescovi che litigavano per i confini delle rispettive diocesi (Arezzo e Roselle). Allora Sant’Angelo in Colle aveva un nome un po’ diverso, ma sempre Sant’Angelo era; la cima del colle era ricoperta di lecci, mentre ora la strada è bordata da alti cipressi popolati da nidi. In cima al colle c’era probabilmente solo un edificio religioso, mentre ora è un villaggio che conserva una forma medievale, con case quasi tutte ben restaurate. Allora le campagne erano diverse e non c’erano tutti questi vigneti circondati da boschi e scanditi da sentieri; anche le strade saranno state poco diverse da tratturi percorsi da carri e carretti, ma anche da molti uomini che andavano a piedi. Oggi invece c’è un pullman che porta i bimbi a scuola, a Montalcino. E il pullman arriva fino alla fermata, dove i bimbi l’attendono al riparo. Da qualche giorno per ripararli dal sole e dalle intemperie  è stata installata Lina: mi hanno raccontato che è reduce da un onorato servizio alla Coop di Torrenieri, altra frazione del comune di Montalcino, dove riparava i carrelli del supermarket. Un riciclo, dunque. Oggi è importante riciclare tutto; hanno trovato un modo per riciclare i morti, facendoli diventare alberi: un bellissimo pensiero in questi tempi un po’ troppo gretti.

Vorrei però che Lina fosse vestita meglio, che le togliessero le scritte che le danno quell’aria un po’ troppo vissuta e anche un po’ sciatta; vorrei che le togliessero quell’erba che le cresce in testa e la fa sembrare forfora di una capigliatura trascurata; vorrei che Lina fosse pulita, linda e bella, per far capire ai bimbi che attendono il pullman che li porterà a scuola che così si entra nella vita, avendo cura di sé stessi, non per apparire, ma per essere i degni abitanti di luoghi di rara bellezza.

Non conosco l’autore o gli autori di questa installazione; bisogna avere pazienza e aspettare che trovino il tempo per completarla e renderla degna dell’idea che chi abita i luoghi deve avere di sé. Ma vorrei suggerire di farlo velocemente, per evitare che qualche bambino venga colto dal sospetto che Lina sia l’emblema di quello che si pensa di lui e che – di conseguenza – cresca pensando di comportarsi di … conseguenza. Chi ha messo Lina pensi a lei come a una pensilina, degna di tale nome.

Sassi

Mi capita di andare alla Coop; non spessissimo però, da quando sono entrata in silenziosa polemica con alcuni articoli – lenticchie, fagioli, ceci – che vengono ‘vestiti’ da prodotti italiani e invece sotto la foglia di stelline (marchio bio della UE) spesso c’è la scritta che precisa “Agricoltura non EU”, ma scritta piccola quasi microscopica, perché i fagioli &c spesso vantano naming ingannevoli. E questo da chi se la canta e se la suona, come la Coop, non me lo aspetto davvero…

Ci sono andata stamattina, però rinunciando eroicamente alle lenticchie (cercherò altrove) e mentre girellavo di fronte al bancone dei latticini, dove non ho trovato quello che cercavo, ma pazienza, ho visto una scena. Indugiando in mezzo alle insalate, indecisa se prendere le banane (potassio!), mi ha colpito  una coppia abbronzata e ben messa, ma vestita più per apparire a se stessi che per convincere (davvero) gli altri. Lei aveva belle gambe che esibiva con un paio di shorts molto corti e una camicetta a pois un po’ dozzinale, ma si davano un tono, accompagnati da una figliolina sui dieci anni circa. Mentre meditavo sui pomodori mi cade l’occhio su una manovra della moglie che munita di guanto regolamentare mette in un sacchetto qualche pesca, pesa, stacca l’etichetta che esce dalla bilancia e l’appiccica in un angolino del mobile sottostante; poi riparte verso la cassetta delle pesche, ricolma il sacchetto e lo chiude e ci appiccica l’etichetta uscita dalla pesatura precedente e mette nel carrellino. Rifà la stessa operazione con una verdura, solo che io nel frattempo avevo scelto finalmente dei pomodori e nel pesare il mio sacchetto ho ritrovato, appiccicato al mobiletto sotto la bilancia, un’altra etichetta appena piazzata lì dalla donna (coadiuvata dal marito): prendo con aria distratta l’etichetta/scontrino, l’appallottolo e la butto nel contenitore dei rifiuti. Loro (marito e moglie) si guardano smarriti, ma io ho davvero l’aria di una babbea distratta e un po’ maniaca (del resto lo sono). Riprendono a pesare qualcos’altro, mentre io mi autoconvinco ad acquistare le pesche: stavolta mi precipito (ho improvvisamente fretta, pare) verso la bilancia, peso, prendo il mio scontrino, e l’incollo sul mio sacchetto, ma per prenderlo mi appoggio sullo scontrino (il terzo!) appena abbandonato dai coniugi che continuavano le loro performance e con il mio corpo lo faccio aderire completamente al mobile, schiacciandocelo sopra ben bene. Loro non si sono accorti e ritornano con il bottino (il sacchetto pesato prima semivuoto ora è colmo) e restano un po’ smarriti, questione di un attimo: si riprendono subito e ripesano. Mi avvio all’uscita e loro sono dietro di me. Caricano il loro BMW serie qualcosa, nuovo di zecca. Mi domando se sono finti ricchi o finti poveri e a che gli serve la bell’auto foderata di pelle similumana …

A dire il vero, mi sono posta la stessa domanda quando ieri sono incappata in un cicciottone coi piedi piatti, che scendeva dal suo mezzo (sempre auto tedesca) dopo averlo parcheggiato per andare al ristorante, nel paese dove abito, in un’area riservata ai residenti, ma in modo da occupare il posto di due auto; era preceduto da un tirapiedi a cui ho tentato mitemente (mento: l’avrei sbranato a morsi) di dire che un parcheggio più ‘social’ sarebbe stato più ‘carino’, ma quello al posto degli occhi aveva due portamonete ed è filato via. Il suo capo non mi ha sputato addosso ma ho capito benissimo che l’avrebbe fatto volentieri. L’ho salutato solo per costringerlo a ricambiare il mio saluto…