Se io fossi Claude Juncker andrei a nascondermi; anche se conosciamo abbastanza il retroscena di questo referendum – la pretesa di Cameron di usarlo per riaffermare la propria primazia nel partito conservatore -, referendum dall’inauspicato esito, non si può dimenticare che l’Europa che Britannia si è lasciata alle spalle è presieduta proprio da quell’ometto lì, dotato di doppia morale, doppio sguardo, doppio tutto (probabilmente anche l’anima). Da quell’uomo che rappresenta tutto ciò che sta all’opposto dell’Europa come ce la siamo raccontata.
Ora non possiamo limitarci al rammarico (insomma “che cosa diavolo pretendono gli inglesi”), ma dobbiamo premere affinché la UE torni verso la gente e non resti ostaggio di quelli che rappresentano le lobby dell’affarismo internazionale – più o meno pulito – . Dobbiamo farlo in fretta, prima che le piazze, i campanili, i musei, i paesaggi – per tacere di tutto ciò che è (stato) mobile e asportabile (esportato) – vengano ceduti, in nome di qualche fantasmagorica ‘privatizzazione’ con criteri “europei”, cioè secondo le regole che convengono ai succitati lobbysti.
Altrimenti, quando toccherà a noi andare alle urne per esprimere la nostra voglia (o rassegnazione) a rimanere, o no, cosiddetti europei, ci ritroveremo (ci ritroveremmo) nudi e crudi, senza nemmeno la possibilità di un tuffo in mare, senza poter bere un bicchier d’acqua, senza più accesso alla nostra cosiddetta ‘bellezza’ (grande o piccola).
Intanto consoliamoci dismettendo l’inglese e usando una lingua europea: questo doveva essere un “Message in the Bottle”, ma invece – con buona pace di Sting – è divenuto un “Message dans une Bouteille”.