Oggi si vola alto

dscn0941Prima delle sette del mattino il cielo ha un colore d’opale che ti fa venir voglia di volare in Australia – luogo agli antipodi dei miei desideri (ma l’opale non viene forse da quelle lande?) -; il volo in cui mi imbatto alzando per un attimo il naso in su dev’essere il Roma Milano, il primo volo del mattino.

Ho iniziato questa breve camminata proprio pensando ai voli mattutini a Roma di cui sono stata per decenni un’assidua frequentatrice; ma era un controcampo di pensiero, perché allora, da lassù, quando il mattino era terso e illuminato dalle luci radenti dell’alba, a questo punto del viaggio guardavo giù per riconoscere i luoghi in cui accorrevo appena possibile. E mi succedeva ogni tanto di ritrovare – oltre al riferimento della grande Amiata – i laghi di Banfi che luccicavano incastonati tra vigne e bosco.

Oggi, nell’ ultimo giorno dell’estate finita qui, ho anche incontrato un plotone di balestrucci che facevano le ultime prove di volo, prima di cimentarsi nel grande balzo e attraversare il mare in una migrazione all’incontrario, sotto gli occhi impietriti di alcuni leoni bianchi. Ma il volo più alto l’ho trovato a pagina 49 del Corriere della Sera in un articolo a firma di Paolo Di Stefano. Il cui titolo ci dice solo che si tratta di saloni del libro (Milano o Torino, o Milano e Torino), e il volo alto lo trovo nella chiusa dell’articolo: “…fossi un insegnante di scuole elementari (sì, di elementari) o di medie sfiderei l’ipersensibilità protettiva dei genitori chiedendo ai miei allievi di imparare a memoria, tra l’altro, anche A Zacinto (“né più mai toccherò le sacre sponde …”) e Alla sera: “Forse perché della fatal quiete/ tu sei l’imago a me sì cara vieni,/ o sera”. E proporrei a uno dei soloni dei possibili Saloni di aprire un concorso, per la prossima edizione, in cui premiare la memoria della poesia nelle scuole. …”

Io non amo Foscolo, ma l’ho imparato a memoria e mi ha tenuto compagnia, insieme a altre poesie. La chiusa di Paolo Di Stefano nel suo articolo (giustamente) polemico a proposito dei Saloni del libro in corso di discussione, mi è apparso come un volo – alto, così alto – da farmi nascere il desiderio di dotare di queste ali le mie piccole nipoti.

Tutti quelli che amano e ricordano la poesia sanno quanto spigolando tra i versi si ritrova nel pensiero dei poeti un aiuto, una via di scampo dalla grettezza che spesso ci riserva la vita quotidiana (e viceversa, noi a lei), anzi un rifugio per ripararsi.

E prepararsi a un volo.

La terza quercia

 

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Non ho idea del rumore – avrà fatto un tunff sordo e pesante – e nemmeno del perché sia successo. Però è la terza quercia che cade, ed è quella che cadendo ha fatto più scompiglio; e ha dato maggior dispiacere. Un dolore che all’inizio ho avvertito poco, sollevata dal rischio corso da Francesca che ha evitato per un soffio di pochi secondi di restare sotto al tronco (era proprio lì, nell’auto  facendo marcia indietro); sollevata dal fatto che il tetto non sia caduto in testa a Margherita – in casa ha visto una folata di polvere e calcinacci volare sotto il naso -, emozionata dallo spettacolo dell’immensa chioma riversa sulla casa, quasi in un saluto d’addio, dopo qualche secolo di ombra e cinguettii. Ma ora la vedo ammucchiata, come resti di una persona, come una compagna di vita stramazzata di colpo. E la mancanza comincia a farsi sentire; cambiano i rumori circostanti, è cambiata la luce e durerà il passare di tutte le stagioni il cambiamento.

Un anno fa, quasi preciso, arrivava il Morino giù per la strada dei frontisti e mi fa “uhm questa quercia la vedo male …”. Il Morino è caduto prima lui, della quercia, anche lui di colpo e repentinamente. Se l’aldilà degli alberi è il fuoco, ne avrà da raccontare questa bestiona, a chi siederà intorno a quel focolare. Sarà pura poesia, mentre a noi tocca affrontare il prosaico.