Un incontro a Montalcino

DSCN2515Non solo vino, “quel vino”, mitico, spesso straordinario, talvolta sublime. Se scrivo di un incontro a Montalcino, l’associazione è immediata, invece l’incontro è quello fotografato qui sopra. Un incontro un po’ ‘giapponese’ – forse penso così, per via delle mie passioni (Hiruki, Banana, Mishima e le loro suggestioni di un modo diverso di guardare le ‘cose’)-. No, niente animismo, né ombre o magìa, forse solo un pizzico di oriente che si insinua nel mio occidentalissimo (e un po’ rigido) modo di pensare: un oriente necessario, per i vecchi, massimamente per i vecchi occidentali – abituati a reagire e ad agire con schemi obsoleti -; ma in realtà il mio pensiero, incontrando questo ramoscello portato sui miei passi dal vento gelido che soffia sul primo giorno dell’anno nuovo (spingendolo a forza, mi pare, sulla terra) è stato molto paesano. Un ricordo della recentissima povertà degli abitanti di questo angolo famoso della famosissima Toscana.

Il ricordo me lo suscita proprio questo fuscello da niente e di nessuno. “Eh no, se stava su una proprietà – per vasta che fosse  – raccoglierlo era rischioso, perché il proprietario, o uno dei suoi famigli, aveva da ridire: era suo”. Durante una delle innumerevoli camminate domenicali nella campagna, in compagnia di qualche camminatore locale piuttosto colto (e piuttosto riflessivo), incontrando pezzetti di legno, pigne, frutti selvatici, fichi maturi (quando è la stagione), asparagi selvatici, e tutte le piccole grandi scoperte che si fanno (e che si impara a vedere, andando a piedi), ho avuto questa rivelazione (per me stupefacente, ma poi acquisita e ben digerita).

Fino a qualche decennio fa – si parla del dopoguerra, abbondantemente dopo -, in campagna non circolava denaro, piuttosto ci si arrangiava; i bimbi e i ragazzetti, oltre a lavorare molto precocemente, quando girellavano, avevano sempre cura di tornarsene in casa con legnetti trovati,e altri piccoli beni, utili per accendere il fuoco (Gazprom e Putin non erano ancora stati inventati), o per insaporire un pasto. Ma guai se la cerca avveniva su proprietà privata: si rischiava, mi è parso di capire, anche qualche manata pesante …

Mi è già capitato di riflettere sul significato sociale, ma anche etico e spirituale, di questa realtà che in superficie ora è inintelligibile, ma che (re)esiste nel DNA di tante persone, cresciute dentro questi pensieri che talvolta hanno tarpato il meglio della loro intelligenza – che spesso fa capolino in quello che dicono e nel loro sguardo – e della loro sensibilità.

Mentre mi chinavo per afferrare il ramoscello, prima di pensare che non ho fuoco, in casa, ho cercato di immaginare come avrei fatto a portarmelo via senza farmi cogliere sul fatto dal proprietario del terreno su cui stavo camminando. Zen? No, empatia (o allenamento).