Ho capito che riconosce la mia auto e sa che rallento, mi fermo pure se serve (voi non lo fareste?). Ne sono certa: imbocco la curva e lei è lì che pascola – come fanno gli uccelli: chissà che ci troveranno in mezzo alla strada? -, solleva la testa e mi guarda; cioè io dico così ma in realtà lei guarda l’auto e, appunto, la riconosce e ne conosce i comportamenti.
Le prime volte in cui mi è capitato di osservare il suo indugio, prima di camminare, quasi avesse i piedi (le zampine) piatti, un passetto dietro l’altro, come fanno anche le upupe.
E la sua livrea, nei toni del grigio, ma decisamente grigio freddo, quasi metallico – qualche striatura nera, è quasi da cocktail: elegante e senza fronzoli.
E’ forse il passeraceo più bello e meno grazioso che ci sia. La salita a Sant’Angelo è tutta abitata da cutrettole, il paese no.
Le cutrettole stanno nei cespugli di rosmarini, spiccano brevi voli e vanno a frugare nella terra tra gli olivi, dall’altra parte della strada. Incuranti delle auto che passano, come se giocassero una spericolata roulette russa.
Ho visto che si tolgono di mezzo leste, quando passano le altre auto; con la mia no: prima guardano, soffermandosi, con quella breve esitazione in cui io leggo quasi un gesto di riconoscimento, un saluto.
Tutto il contrario di quelli che per pigrizia o antipatia si voltano da un’altra parte per non salutare, o per un torcicollo.
Cutrettole e no
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