Piazza del Carmine


La piazza è dietro Brera, la raggiungi – e sono pochi passi – per una via che mi pare porti lo stesso nome, che risuona come una campana. C’è una bella vecchia chiesa che fa da quinta su di un lato. E’ una Milano silenziosa, lì, soprattutto in certe ore della giornata e certo il sabato mattina. E’ il posto perfetto per incastonarci un gran signore. Ricco e signore, un uomo d’acciaio, come l’idea che ti potevi fare di lui incontrandolo, o osservandolo da lontano; un uomo senza sbavature, signore (e pure bello!) come lo sono alcuni uomini che hanno il mondo dentro, senza un filo di compiacimento.
Devo andare subito a Milano per riguardare la piazza e ricordarmelo; per ritrovare quell’idea di sorriso che viene da una storia di coraggio, passioni, buona educazione e grandi progetti; una storia che non conosce volgarità, lontana mille anni da violenza verbale e l’arroganza da quattro soldi che qualche volta – da vecchi – si ha la sfortuna di incontrare.
Come in una foto d’autore, lui era seduto parlando con amici, i tavolini seminascosti dalle siepi scure coltivate nei vasi, la bella chiesa nello sfondo, i colori di Milano d’autunno, cielo compreso, a compattare il ricordo, la camicia bianca e il mormorio beneducato circostante. La nostalgia è birbona, ma la memoria è brava a sostituirla perfino da lontano nel tempo e di chilometri. No, non era una fantasia, l’eleganza non me l’ero sognata e il ricordo è vivo, nonostante la lontananza.