Dipende dalla capra, dipende dal pastore della capra, dipende da dove abita (cioè pascola) la capra. Nel caso in questione si tratta delle capre di Maria De Dominicis e consorte; si tratta di quella leggenda chiamata “Podere Santa Margherita” via del Colle 711 a Ville di Corsano, una frazione di Monteroni d’Arbia, un luogo dove sembra di essere in Toscana, nel senso che giri gli occhi tutt’intorno e provi quell’impressione profonda e acuta di cui noi milanesi andavamo in cerca, venendo da queste parti. Ci si veniva magari per il week end, mettendo a dura prova portafoglio e ore di sonno, ma ne valeva la pena. E io vorrei tanto che gli amici toscani – e magari, perché no?, qualche amministratore dei più dialettici e con l’occhio acuto – assaggiassero quel sentimento che noi provavamo, allora, e che è riservato ai forestieri – a quelli che la Toscana la perseguono – e non può che essere sconosciuto a chi ci è nato, perché inevitabilmente dà tutto per acquisito …
Le capre di Maria hanno corna calde e occhi penetranti, pascolano in quel paesaggio e quel paesaggio le induce a produrre ciò che vedete nelle immagini che allego a questo post. Volentieri ho fotografato anche l’avvertimento sui prezzi, perché è più attuale che mai. E nessuno pensi che non si vuole bene agli impiegati nel settore pubblico: vorremmo solo che fossero meno, pagati benissimo e lavorassero anche loro a produrre qualità uniche al mondo, come il paesaggio in cui pascolano le pecore di Maria, e che (di conseguenza) costassero meno. Non è un’utopia è uno degli obiettivi che ci dobbiamo dare per far funzionare questo paese.
Quelle che scorgete nelle immagini sono le mani di Maria; mani manuali, mani da manuale: per produrre e offrire al mondo formaggi unici, di cui andare orgogliosi. Nelle scodelle accanto ai tocchetti dei formaggi ci sono i semi di papavero e altre erbe. www.poderesantamargherita.it
conosco conosco. Dagli albori, penso, e sempre ammirato persone e prodotti, magari da lontano… Così ce ne fossero. Eppoi il problema grosso è sempre quello: distribuzione
Quello della distribuzione dei prodotti di questo tipo – realmente artigianali, cioè con altissimo valore intrinseco (altro che aggiunto!) – è una delle opportunità perse da questa società di ladri (talvolta ladri annidati nel settore pubblico) perché è chiaro che chi lavora al prodotto non può che vendere direttamente, ma potrebbero esserci delle ‘figure’, che non so definire, che potrebbero rendere il servizio distributivo e promozionale (di pura conoscenza) a gruppi di produttori piccoli come questo….
non è solo quello: è che siamo una massa di ignoranti, che non sa distinguere e non ha voglia di provare
C’è chi non sa distinguere – oer mancanza di cultura, esperienza e per disinformazione (vedi anni ’70 a Milano: l’olio d’oliva è troppo ‘grasso’!) – e poi non c’è apprezzamento da parte di chi dovrebbe sostenere queste realtà, mica finanziandole, semplicemente sottoponendole all’attenzione del pubblico adatto!
È sempre una boccata di ossigeno leggerti e scoprire con te luoghi e persone uniche.
Un saluto da una molto nebbiosa giornata milanese
Ciao Max: qui non c’è solo ossigeno, ma anche un po’ di grassi. Ma mi dicono che il latte di capra (e i formaggi di conseguenza) ha molte qualità. Diete a parte, questi formaggi sono un dono straordinario e ormai sono stufa di ripetere che bisognerebbe dare più spazio (e ossigeno) a queste realtà.
Ma si sa, noi dobbiamo “crescere”. Con quali obiettivi e a scapito di che, non si sa molto bene.
All’assemblea della Confesercenti a Siena un relatore con gli occhiali e ben messo fisicamente di cui mi sfigge ruolo e nome in questo momento, ebbe a dire che le piccole produzioni non soddisfano le richieste e i grandi numeri e quindi non hanno motivo di essere perchè non possono avere risonanza e visibilità.
Se avesse ragione lui tutto si adeguerebbe al sapore omogeneo di uno stracchino in serie, e certi luoghi, certe perle, certi paesaggi si perderebbero.
E certi luoghi e sapori, per piccoli che siano, insieme ad altre perle sono quelle che tanti si mettono a cercare e si muovono,alla ricerca di una Toscana più buona e più vera…. come i milanesi capitavano da quelle parti o dalle mie parti al lumicino degli anni ’60 e fino o poco oltre la metà degli anni ’70, prima si diventasse Etruscany.
Non posso che aderire al tuo commento… un giorno qualcuno mi ha detto che a Montalcino al massimo avrebbero dovuto esserci non più di due o tre aziende belle grandi, per “diminuire i costi di produzione”, “aumentare le superfici delle vigne”, “meccanizzare”, “risparmiare sul numero degli addetti”.
Un economista, di sinistra, tra l’altro!
Le targhette destra-sinistra adesso non so che senso abbiano, basterebbe fossero definizioni di buon senso.
Quanto scrive quell’economista mette a rischio sapori, paesaggio, vino e cura del territorio.
Le grandi aziende vede e auspica lui sono delle industrie la cui sorte del territorio dove operano è solo pari al cipressino e alla poesia del paesaggio useranno per autopromuoversi, per il resto indietro ai luoghi dove sono, non daranno niente.
Forse un poco di diserbante per accelerare i tempi.
no che non hanno senso, se non come appartenenza a lobbies.